Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-05-2011) 20-07-2011, n. 28928 Bellezze naturali e tutela paesaggistica Costruzioni abusive e illeciti paesaggistici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello ha confermato la condanna alla pena di 10 giorni di arresto e 15.000 e di ammenda inflitta all’odierno ricorrente per avere violato il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.

L’accusa nasce dal fatto – incontestato – di avere, il S., eseguito lavori di asportazione di vegetazione arborea ed arbustiva in assenza di autorizzazione paesaggistica.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) erronea applicazione della legge penale sotto il profilo della individuazione della nozione di bosco nella fattispecie concreta qui in esame. Ed infatti, si ricorda che, in base alla definizione datane dal D.Lgs. n. 227 del 2001, art. 2, comma 6 ed alla lettura datane da questa S.C. (sez. 3, 24.12.01 n. 6011) per "macchia mediterranea" si deve intendere quella "alta" e, comunque, non è sufficiente la presenza sul terreno di qualche pianta di alto fusto ma "necessario che l’intera area sia contraddistinta da una dominante vegetazione arborea o alto arbustiva che realizzi un ecosistema completo". Nella specie, dalle stesse parole dell’isp. Sp. emerge che l’area in questione era "caratterizzata dalla presenza di macchia mediterranea bassa con la sporadica presenza di qualche pianta di sughero e, pertanto, non certo da bosco". 2) violazione di legge perchè la norma citata, sulla nozione di bosco, richiede che l’area abbia una estensione superiore ai 2000 mq e copertura non inferiore al 20% ma sul punto la sentenza non risponde limitandosi a ricordare che la copertura del 20% era sussistente mentre sulla misura dei 2000 mq non risulta che gli agenti abbiano fatto alcun accertamento specifico;

3) violazione di legge in quanto i lavori sono stati eseguiti dal S. al fine di proseguire l’attività di allevamento del bestiame che, da tempo immemorabile, la sua famiglia svolge ed, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, lett. b) per detta finalità si fa eccezione e non è necessaria alcuna autorizzazione. Del resto, lo stesso teste Sp. ha confermato che i lavori eseguiti non hanno compromesso l’assetto idrogeologico;

4) violazione di legge perchè, sempre il teste Sp., ha riferito la impossibilità di accertare l’eliminazione di piante di alto fusto e la presenza di polloni non chiarisce se essi provenissero dalla eliminazione di qualche quercia ad opera del S. ovvero a seguito di un incendio verificatosi nel 1994;

5) violazione di legge per eccessività della pena, stante l’incensuratezza del S.. Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

2. – Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

2.1. Quanto il ricorrente sostiene nel primo motivo non è esatto.

Egli si rifà, infatti, ad una decisione che, in realtà, afferma qualcosa di diverso.

Il concetto, infatti, è stato meglio puntualizzato in altra successiva pronunzia di questa stessa sezione (sez. 3, 14.12.06, Tozzi, Rv. 235879) nella quale si è ribadito (come già avvenuto in Sez. 3, 11.3.04, Cont, Rv. 228452) che, ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico ai sensi della L. 8 agosto 1985, n. 431, art. 1, lett. g), la nozione di "territorio coperto da bosco "non può assumere una portata riduttiva" (v anche sez. 3, 10.4.00, Cice, Rv.

216980).

Si è anche precisato che la natura di zona boscata è determinata dalla presenza effettiva di bosco fitto di alto fusto o di bosco rado, indipendentemente dal dato che la zona sia riportata come tale dalla Carta tecnica regionale (Sez. 3, 21.3.06, Bagnasco, Rv.

234318). Pertanto, in applicazione di tali principi, si è affermato che "anche la macchia mediterranea interessata dalla predominanza, rispetto ai sottostanti cespugli, di alberi di medio fusto o di essenze arbustive di elevato sviluppo rientra nella previsione dell’art. 1, lett. g) citato".

L’unica distinzione viene fatta, quindi con la macchia bassa o rada, ma, come riconosciuto anche in altra decisione (sez. 3, 4.11.04, Cani, Rv. 230483) è macchia mediterranea alta anche quella costituita da vegetazione comprensiva di lecci e sugheri che superano l’altezza di un uomo fotografato.

Detto in estrema sintesi, pertanto, per bosco e macchia mediterranea, meritevole di tutela ai sensi della norma citata, si intende anche quella caratterizzata dalla assenza di alberi di alto fusto.

Trasferendo i principi che precedono al caso in esame, deve ribadirsi la giustezza della decisione adottata dalla Corte d’appello ove si ricorda che, dalle foto e dalle parole dell’ispettore, risulta che l’area interessata dai lavori era caratterizzata dalla presenza di "piante di quercia da sughero e la tipica vegetazione qualificabile come macchia mediterranea" (f. 5), Ricorda, inoltre, la Corte che "dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni del teste era risultato che la superficie boscata interessata aveva una estensione di copertura vegetale qualificabile come bosco superiore al 20%". 2.2. A tale ultimo riguardo, ugualmente infondato è il secondo motivo. La replica della Corte alla – del tutto formale – deduzione difensiva è chiara e corretta.

Ed infatti, all’evidente fine di evitare deturpamenti "a macchia" di aree boschive la nozione di territorio deve intendersi in senso normativo e non naturalistico (f. 5) proprio perchè è finalizzata ad individuare le zone che, per loro caratteristiche, debbono essere sottoposte a vincolo paesaggistico, la disposizione normativa "prende in considerazione le caratteristiche di tutte le aree omogenee limitrofe a quelle interessate dalla opere, e non solo queste ultime, giacchè in tal caso si potrebbero realizzare senza autorizzazione, interventi di modifica di territori aventi estensione inferiore ai 2000 metri quadrati, ancorchè limitrofi a più ampie aree omogenee ed aventi copertura boschiva. Fatto che, invece la normativa citata ha appunto voluto vietare". 2.3. Il terzo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente perchè affetti dal medesimo erroneo taglio prospettico circa le competenze di questa S.C..

In altri termini, il giudice di legittimità (che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge) non può divenire giudice del "contenuto della prova" non competendogli un controllo (riservato esclusivamente al giudice di merito) sul significato concreto di ciascun elemento probatorio.

Al contrario, il ricorrente, nei presenti motivi, richiamando l’attenzione di questa Corte sulle finalità pratiche per le quali i lavori di asportazione della vegetazione erano stati compiuti, sottolineando le dichiarazioni del teste Sp. (a proposito degli effetti prodotti dai lavori) ed evidenziando che i lavori avevano comportato solo la rimozione del sottobosco, incorre in una evidente confusione di ruoli come se, nella presente sede, si potessero rivalutare i dati processuali e le dichiarazioni di testi e parti per trarne conclusioni differenti.

L’unico apprezzamento consentito è sulla congruità e logicità della motivazione quale desumibile dal testo del provvedimento impugnato. Ed a tale riguardo, la pronuncia oggetto di gravame, si sottrae a qualsiasi critica quando, alle analoghe obiezioni, ribatte (f. 7) che, per opera civile deve intendersi ogni attività di intervento artificiale che comporti l’eliminazione della vegetazione esistente e, secondo quanto detto dal teste e rilevabile dalla documentazione fotografica, "Il S. aveva realizzato importanti interventi di eliminazione radicale del bosco e sottobosco e quindi di modificazione permanente dello stato dei luoghi", concludendo, in tal modo, che tali fatti dovevano essere considerati "oggettivamente non rilevanti ed idonei a compromettere l’ambiente". 2.4. Ai limiti dell’inammissibilità, è, infine, il quinto motivo di ricorso stante la sua palese genericità. Essa, infatti, si risolve nella mera asserzione della "eccessiva severità" della pena senza svolgere alcuna critica argomentata alla motivazione con al quale la Corte ha riaffermato la giustezza della decisione presa sul punto dal giudice di primo grado. Sia pure sinteticamente, infatti, i giudici di secondo grado hanno ribadito che il trattamento sanzionatorio doveva ritenersi "del tutto adeguato e proporzionato alle connotazioni oggettive e soggettive del fatto". In tal modo dando atto di avere tenuto conto anche della incensuratezza del S. (evocata dai ricorrente) e, comunque, fondendosi con la adeguata motivazione del giudice di primo grado che, nel fare richiamo ai parametri dell’art. 133 c.p., risulta più che congrua sul punto (sez. 3, 26.6.09, Denaro, Rv. 245596; sez. 6, 12.6.08, Bonarrigo, Rv.

241189; Sez. 2, 19.3.08, Gasparri, Rv. 239754).

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e segg. c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2011

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