Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-05-2011) 20-07-2011, n. 28839

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.M. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 21 aprile 2010 che ha confermato la responsabilità della prevenuta, accertata in primo grado a seguito di giudizio abbreviato, in ordine al delitto continuato di truffa in danno di Bassi Gino e ricettazione per avere acquistato merce del valore di Euro 25.058,40 pagandola con un assegno falso. Il difensore deduce violazione di legge per avere la corte di appello ritenuto essere passato in giudicato il capo della sentenza che ha ritenuto ammissibile il concorso tra i reati di truffa e insolvenza fraudolenta in ordine ai quali la ricorrente nel merito con l’appello ha invece contestato la responsabilità. Con altro motivo deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento al delitto di ricettazione rilevando la veridicità delle sue dichiarazioni di avere ricevuto il titolo dai non identificati Rino e Giampaolo, che erano amministratori di fatto della società da essa formalmente gestita e che non era stata in grado di fare identificare. Deduce che il fatto può essere qualificato nella minore fattispecie contravvenzionale dell’incauto acquisto, avendo effettuato lunghe trattative con il venditore,che era consapevole che quanto venduto non costituiva l’oggetto sociale commercializzato dalla società acquirente.

Il primo motivo di gravame è inammissibile in quanto il primo giudice ha debitamente motivato l’assorbimento del delitto di insolvenza in quello di truffa con ciò escludendo il concorso formale tra i due delitti che con i motivi di ricorso si vuole escludere.

Il ricorso proposto avverso la motivazione della decisione che non avrebbe debitamente considerato l’elemento soggettivo del delitto di ricettazione è infondato, prospettando una diversa valutazione dei fatti non consentita nel giudizio di legittimità. Ai sensi del disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è manifestamente carente di motivazione o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti operata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali (Cass. S.U. 19.6.96, De Francesco). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv.

207944, Dessimone). Non è quindi consentito un diverso apprezzamento di un fatto valutato non con manifesta illogicità da parte del giudice di merito che ha debitamente considerato che il prevenuto non ha mai indicato la causale nonchè le specifiche modalità di tempo e di luogo di ricezione del titolo, con ciò debitamente applicando il principio di legittimità che statuisce che la consapevolezza di avere ricevuto un bene proveniente da delitto è idoneamente provata in forza dell’omessa o non attendibile indicazione relativa alla provenienza della cosa ricevuta, circostanza che è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento logicamente spiegabile con un acquisto di mala fede (Cass. 2^ 13.3.97 n. 2436, ud. 27.2.97, rv.

207313; Cass. 2^ 16.3.92 n, 2804, ud. 5.7.91, rv. 188130).

Deve invece affermarsi che nella concreta fattispecie la Corte territoriale ha espresso un giudizio probatorio non illogico avendo accertato che l’imputata era ben consapevole della falsità dell’assegno, essendosi limitata a fornire al venditore generiche assicurazioni in ordine ad un pronto pagamento sostitutivo del falso titolo, non essendo credibile la sua non conoscenza dei due fantomatici personaggi per i quali ebbe a firmare "su loro ordine" "pacchi di cambiali". Non è cioè assolutamente illogico quanto ritenuto dal giudice di merito, vale a dire che la prevenuta non è una mera testa di paglia, ma una diretta complice di fantomatici personaggi di cui ha voluto celare l’identità. L’accertato elemento intenzionale esclude valore a doglianze concernenti una valutazione solo colposa della prevenuta.

L’impugnazione è pertanto inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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