Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-07-2011, n. 4506 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. per la Campania ha respinto i tre, riuniti, ricorsi proposti da S. P. avverso, rispettivamente, l’ordinanza di demolizione n. 240 emessa il 17.2.2000 dal Comune di Napoli riguardo ad opere edilizie realizzate in via Manzoni n. 185, la disposizione dirigenziale n. 187 del 17.3.2000 con la quale l’amministrazione ha denegato la concessione edilizia in sanatoria per il manufatto già oggetto della predetta ordinanza di demolizione ed ha ribadito contestualmente l’ordine di ripristino, il provvedimento dirigenziale di data 18.4.2001 con il quale veniva ordinato il pagamento della somma (Euro 8.508,21) occorsa per i lavori di demolizione in danno, e, conseguenzialmente, respinto altresì la domanda, proposta con il terzo ricorso, di risarcimento del danno subito per effetto dei provvedimenti impugnati.

Appella la sentenza il sig. P., deducendone l’erroneità sotto i vari profili segnalati con gli otto motivi proposti.

Si è costituito il Comune di Napoli.

Le parti hanno dimesso memorie, illustrando le rispettive tesi.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 12.4.2011.

Con i primi due motivi l’appellante deduce errores in iudicando in relazione ai profili procedimentali dedotti in primo grado di violazione dell’art. 7 legge n. 241/90 e del principio partecipativo e di violazione dell’art. 4 legge n. 47/85, sostenendo l’illegittimità del ricorso, in presenza di opere non più allo stato iniziale ma in fase di ultimazione, ad ordinanza di demolizione delle opere e ripristino dello stato dei luoghi ai sensi dell’art. 4, comma 2, legge n. 47/85, anziché al più complesso procedimento ordinario di cui all’art. 7 legge cit., che si attua attraverso il diverso meccanismo della previa diffida a demolire, e tanto senza assicurare all’interessato le garanzie partecipative, comunicandogli l’avviso di procedimento ai sensi dell’art. 7 legge n. 241/90.

Le censure non persuadono.

E’ la localizzazione delle opere in aree soggette (incontestatamente) a vincolo di inedificabilità, ivi comprese quelle sottoposte a vincolo ambientale, che legittima l’esercizio del potere sanzionatorio attribuito al Comune dall’art. 4, comma 2, della legge n. 47/85 e costituisce lo specifico presupposto che differenzia il relativo procedimento da quello previsto dal successivo art. 7, mentre non assume rilievo discriminante la fase, iniziale o di ultimazione, dei lavori, diversamente da quanto affermato dall’appellante. Parimenti non è decisiva la mancata comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’emanazione dell’ordinanza n. 240 del 17.2.2000, trattandosi di atto vincolato in ordine al quale l’attivazione del contraddittorio non avrebbe potuto condurre ad esito diverso (non risultando, come tra breve si dirà, ragioni sostanziali per la conservazione del manufatto realizzato); va osservato, comunque, che tale ordinanza è stata superata dal successivo atto del 17.3.2000, di diniego della chiesta sanatoria ex art. 13 legge n. 47/85 e conferma dell’ordine di demolizione, e che, quindi, si è comunque, in concreto, avuto uno spazio di interlocuzione, nel quale far valere le difese della proprietà; l’atto del 17.3.2000, d’altra parte, conclude un procedimento avviato ad istanza di parte.

Possono esaminarsi congiuntamente i successivi motivi III (error in iudicando – violazione dell’art. 21 legge 1034/71 in connessione con l’art. 2967 c.c. ed in connessione con le risultanze processuali e con il principio dell’onere della prova), IV (error in iudicando – violazione e falsa applicazione art. 31, comma 1, lett. c), legge 5.8.1978 n. 457, violazione e falsa applicazione del piano territoriale paesistico di Posillipo approvato con D.M. 14.12.1995) e V (in riferimento al diniego di sanatoria, erroneità della sentenza quanto all’affermato contrasto dell’opera eseguita con gli artt. 6 e 7 della variante di salvaguardia approvata con DPGRC n. 9297 del 29 giugno 1998).

L’appellante sostiene, in sintesi, che, in relazione alla questione circa lo stato dei luoghi preesistente all’intervento, egli aveva adempiuto all’onere, che gli incombeva, di fornire un principio di prova e che la disposta CTU, in definitiva, avrebbe confermato le sue tesi, smentendo quella degli uffici comunali, secondo la quale preesistevano solo alcune tettoie su spazi diversi da quello interessato dal fabbricato in questione, la cui considerazione alla stregua di edificazione ex novo costituisce presupposto dell’ordinanza di demolizione e del diniego di sanatoria; sostiene, quindi, di aver posto in essere un intervento qualificabile come risanamento conservativo, assentibile alla luce del PTP di Posillipo; afferma, inoltre, l’insussistenza del contrasto dell’opera eseguita con gli artt. 6 e 7 della variante di salvaguardia, precisando che trattasi di zona di risanamento conservativo e che i requisiti soggettivi cui fa riferimento il Comune rilevano per il caso di nuove edificazioni e non per opere di risanamento conservativo di immobile preesistente.

Le censure non possono trovare accoglimento.

Non risulta, contrariamente a quanto lamentato dall’appellante, alcuna violazione da parte dei giudici campani del principio dispositivo/acquisitivo regolante il funzionamento dell’istruttoria nel processo amministrativo; il TAR non disconosce che il ricorrente avesse fornito un principio di prova e menziona i "rilievi fotografici ed aerofotogrammetrici realizzati dall’IGM (in particolare, voli del 5.5.1956 e del 4.6.1974)"; detto principio di prova, peraltro, vale soltanto a legittimare l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio, difatti esercitati dai primi giudici disponendo CTU.

Della relazione peritale l’appellante valorizza l’aspetto della corrispondenza di sedime tra la costruzione in contestazione ed un manufatto di cui il CTU ha confermato la preesistenza al 4.4.1981, in contrapposizione alla affermazione del Comune che dalle cartografie ufficiali le preesistenze riscontrabili consistevano in tettoie con diversa ubicazione (il CTU ha, infatti, rilevato discordanze planimetriche).

Ma tale notazione non risulta risolutiva, in quanto, come evidenziato nella sentenza impugnata, il CTU, dopo aver indicato una preesistenza sul luogo occupato dall’immobile contestato e chiarito che quest’ultimo presentava una configurazione planimetrica che poteva definirsi coincidente con quella riportata nella planimetria del Comune di Napoli, che indicava il simbolo di baracca su due corpi adiacenti un piccolo edificio, ha poi dichiarato: "Ma non sono in grado di poter affermare che si tratti di un immobile di natura, forma e consistenza volumetrica tale da rendere legittima la esistenza del fabbricato che oggi copre quell’area di sedime".

Condivisibile è, quindi, l’avviso dei primi giudici che non era risultato concretamente provato l’assunto che l’immobile contestato (descritto nel verbale di sequestro redatto il 7.2.2000 dal Comando Stazione Carabinieri di NapoliPosillipo come avente dimensioni di mt 17,30 x 8,60 ed altezza mt. 3,50, completo di tramezzature per un totale di 9 vani, con impiantistica per uso abitativo) fosse il risultato di un intervento qualificabile quale risanamento conservativo, così come si concorda sull’ulteriore rilievo che, anzi, la stessa documentazione dimessa dal ricorrente (la sentenza menziona la perizia giurata di parte, evidenziante che era stato effettuato l’abbassamento del piano di calpestio originario di circa ml. 0,40, portando l’altezza originaria dei vani, variabile da ml 2,40 a 2,80, all’altezza interna di m. 3,15, erano stati demoliti alcuni vecchi corpi di fabbrica vicini ed era stata totalmente sostituita la copertura, nonché effettuata la suddivisione interna), denotava l’infondatezza della qualificazione prospettata, palesando un organismo edilizio comunque diverso nella sua consistenza, in particolare volumetrica, da quello preesistente. Né, può soggiungersi, risulta che l’intervento abbia comportato "trasformazioni allo scopo di ripristinare la struttura tipologica e l’assetto originario", o mere "trasformazioni d’uso", consentite dall’art. 7 titolo I del PTP di Posillipo invocato dall’appellante.

Una volta esclusa la riconducibilità dell’intervento alla fattispecie del risanamento conservativo, caratterizzato dall’esser rivolto a conservare l’organismo edilizio preesistente nel rispetto dei suoi elementi tipologici, formali e strutturali, senza modificarne la struttura e la volumetria, risulta corretta, come puntualmente rilevato dal TAR, la reiezione dell’istanza di sanatoria, trattandosi di intervento eccedente il risanamento conservativo e pertanto soggetto ai limiti di cui agli artt. 6 e 7 della variante di salvaguardia del 1998.

Infondate sono anche le contestazioni (punto VI) rivolte alla sentenza nella parte in cui ha respinto l’impugnazione dell’ingiunzione di pagamento della somma occorsa per i lavori di demolizione in danno, non dandosi il caso di illegittimità derivata, trattandosi di atto meramente esecutivo e vincolato rispetto alle precedenti determinazioni, in relazione al quale non necessitava autonoma comunicazione ex art. 7 legge n. 241/90, ed essendo previsto dalle norme puntualmente richiamate dal TAR la possibilità di riscossione delle entrate patrimoniali (quale è quella in questione) del Comune con gli strumenti propri delle entrate tributarie.

Corretto, contrariamente all’assunto di cui al VII motivo (error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 21 legge n. 1034/71) è il giudizio di infondatezza della censura di violazione dell’ordinanza della V sezione del Consiglio di Stato n. 5373/2000, che accogliendo l’appello cautelare del sig. P. ha sospeso il provvedimento di demolizione impugnato in primo grado, considerato che i lavori di demolizione risultavano già eseguiti, come evinto dalla relazione del direttore lavori del 10.10.2000, e che l’ordinanza predetta era stata assunta nella camera di consiglio del 24.10.00; ed infatti l’appellante si limita a segnalare la circostanza della notifica, il 3.10.00, dell’atto di appello avverso l’ordinanza del TAR reiettiva dell’istanza cautelare, per dolersi della "fretta" dell’amministrazione, ma riconosce che solo "successivamente" l’ordinanza è stata riformata.

La domanda di risarcimento danni, riproposta con il motivo VIII, deve essere, conseguenzialmente, anch’essa respinta perchè priva di fondamento.

L’appello va, dunque, respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere al Comune di Napoli le spese del giudizio che liquida in Euro 3.000,00 (tremila), oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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