Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2011) 20-07-2011, n. 28924

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 4.12.2006 il Tribunale di Brindisi, Sezione distaccata di Fasano, dichiarava M.F., D.R. e I.R. colpevoli del reato di cui all’art. 110 c.p. e art. 349 c.p., comma 2, commesso in agro di (OMISSIS), "perchè, in concorso tra loro, violavano i sigilli apposti all’interno della sala ristorante del complesso alberghiero Grand Hotel e Terme di (OMISSIS), sottoposta a sequestro preventivo il (OMISSIS) e affidato in custodia a M. F.. In particolare il D., quale direttore dei lavori in corso, autorizzava l’ I. ad accedere all’interno della struttura sottoposta a sequestro, mentre il M. – contravvenendo ai suoi obblighi di custode – ometteva di impedire tale accesso". Il tribunale, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante, li condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di quattro mesi di reclusione e 100 Euro di multa ciascuno.

Nella motivazione della sentenza il Tribunale esponeva che il complesso turistico alberghiero Grand Hotel e Terme di (OMISSIS) era stato sottoposto a sequestro preventivo il (OMISSIS) per reati in materia edilizia e paesaggistica, ed affidato in custodia a M.F.. In particolare, i sigilli erano stati apposti al ristorante situato al primo piano della struttura di nuova costruzione, sui balconi della vecchia struttura, su tutto il nuovo corpo di fabbrica e sugli ingressi al ristorante, in modo da circondare la struttura all’esterno, mentre all’interno vi erano una serie di corridoi tutelati con del nastro a strisce rosse in modo da impedire il passaggio da tutte le porte di ingresso del nuovo stabile; detto ristorante ricadeva nei lavori di ampliamento oggetto di sequestro e la nuova struttura era collegata alla vecchia tramite un corridoio preesistente. Il (OMISSIS) personale della Guardia di Finanza di Fasano era entrato all’interno del ristorante in fase di ristrutturazione, ove riscontrò la presenza di una serie di operai intenti ad effettuare diversi lavori; alla vista degli operanti, gli operai si erano dati alla fuga ed i finanzieri riuscirono a fermarne solo uno, identificato in I.R., che era intento a pitturare il muro. Il direttore dei lavori, D.R., era presente quel giorno presso la struttura, tanto che fu portato dagli operanti presso la sala ristorante proprio per fargli constatare che vi erano recipienti colmi di cemento fresco, che erano state appena sistemate alcune mattonelle e che vi erano chiari segni di lavori in corso, in violazione del vincolo di sequestro. M., che era stato nominato custode e che era amministratore delegato della società proprietaria dell’Immobile (la Carlo Maresca Hotel S.p.A.), non era presente il giorno dell’accertamento.

2. Avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi hanno proposto tempestivi e distinti atti di appello i difensori di fiducia degli imputati D. e M.; non è stata invece presentata impugnazione nell’interesse di I..

La Corte d’appello di Lecce, pronunciandosi con sentenza del 9.4.2010, ha ritenuto che il ricorso nell’interesse del D. fosse infondato mentre potesse essere accolto quello nell’interesse del M..

Riteneva la Corte distrettuale che non era nè verosimile nè logico che le ditte appaltatrici avessero deciso, di loro autonoma iniziativa, di proseguire i lavori nella zona in sequestro senza prima interpellare il direttore dei lavori, che era il loro referente diretto sul posto, mentre la proprietà, rappresentata dal M., era più difficilmente raggiungibile avendo sede in Pescara. Inoltre, una simile iniziativa non poteva certo passare inosservata alla direzione dei lavori (ossia al D.), per cui, anche ammettendo che essa fosse partita dalle ditte appaltatrici, avrebbe comunque dovuto trovare il preventivo consenso da parte di D..

Quest’ultimo era perfettamente a conoscenza che la sala ristorante in questione era sottoposta a sequestro.

La Corte d’appello ha anche osservato che dal verbale di sequestro del (OMISSIS) risultava che, al momento dell’esecuzione del decreto di sequestro preventivo, era presente proprio il D., il quale quindi era a conoscenza di quali aree fossero interessate dal provvedimento, anche perchè aveva dovuto trattenersi a lungo con gli operanti ed era stato inizialmente incaricato di sottoscrivere il verbale. Peraltro – prosegue la Corte d’appello – poichè gli operai sorpresi successivamente a lavorare si diedero alla fuga alla vista degli operanti, era evidente che gli stessi sapessero che stavano operando in un’area sequestrata.

3. Avverso questa pronuncia il D. propone ricorso per cassazione con un unico motivo.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso illustrato, anche dalla successiva memoria, il ricorrente censura la sentenza impugnata per la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonchè travisamento dei fatti; deduce che egli aveva semplicemente richiesto all’operaio I. di prelevare un pannello di cartongesso che rischiava di deteriorarsi in considerazione dell’assenza di infissi nell’area ristorante del complesso alberghiero sottoposto a sequestro. Tale operazione – deduce il ricorrente- non risulta in alcun modo idonea e illudere il vincolo di indisponibilità ed di immodificabilità sotteso all’apposizione dei sigilli.

2. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente deduce una circostanza di fatto che è stata valutata e apprezzata dalla Corte d’appello la quale ha tenuto conto di questa prospettazione difensiva, ma l’ha argomentatamente disattesa rilevando in particolare che il teste C., capitano della Guardia di Finanza, che aveva effettuato un controllo presso la struttura alberghiera sottoposta a sequestro, aveva dichiarato che nel momento di entrare nel ristorante ebbe a riscontrare la presenza di diversi operai intenti a lavorare. Quindi la prospettazione difensiva del ricorrente, che peraltro ripete analoga deduzione svolta in appello, è destituita di fondamento in quanto implica una diversa valutazione delle risultanze dibattimentali rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e non censurabile in sede di giudizio di legittimità. 3. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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