Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-07-2011, n. 4504 Costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. per il Molise ha deciso, dichiarando improcedibile il primo e respingendo il secondo, due, riuniti, ricorsi, integrati da motivi aggiunti, proposti dalla ditta G., il primo avverso una prima determinazione, n. 247 del 13 novembre 2002, del Segretario Generale del Comune di Termoli di revoca della determinazione dirigenziale n. 20335 del 10.1.2002, autorizzativa dell’occupazione di mq. 113 di suolo pubblico nella Piazza Vittorio Veneto e realizzazione di un chioscobar di 53 mq., e la susseguente diffida 15.11.2002 alla rimozione delle opere eseguite, ed il secondo avverso la determinazione n. 9073 del 20.3.2003, con la quale il Segretario Generale ha nuovamente disposto la revoca della predetta determina n. 20335/2002, ed avverso gli atti presupposti e conseguenti, ivi compresi il diniego della concessione edilizia richiesta con istanza del 19.2.2002 e la determina n. 13735 del 6.5.2003 con la quale il dirigente del settore gestione del territorio ha comunicato la conferma del diniego di concessione edilizia.

La ditta soccombente ha proposto appello, con atto notificato il 22.7.2004, deducendo: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 21 legge n. 1034/71 e degli artt. 273 e 274 c.p.c., errata presupposizione in fatto, sostenendo che il TAR non avrebbe potuto dichiarare improcedibile il primo ricorso, che, per effetto dei motivi aggiunti includeva tutti i provvedimenti per cui è causa, gli ultimi due dei quali tuzioristicamente impugnati anche con l’autonomo secondo ricorso; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. per illogicità e carenza di motivazione nonchè per errata presupposizione dei fatti, così come risultanti dagli atti di causa, anche in relazione agli artt. 3 e 4 del d.p.r. n. 447/98 e al d.lgs. n. 112/98, sostenendo che il provvedimento del S.U.A.P. n. 20335 del 2002 conteneva tre distinte autorizzazioni – all’occupazione di mq. 113, alla realizzazione del manufatto da adibire a chiosco bar di cui ai disegni allegati,al pubblico esercizio di bar – ed erroneamente il giudice di primo grado avrebbe inteso il provvedimento unicamente quale assenso all’occupazione di suolo pubblico, quando lo stesso commissario ad acta regionale, il cui compito era quello di rilasciare appunto la concessione edilizia, nel suo provvedimento, mai annullato, ha ritenuto la valenza di autorizzazione edilizia dell’atto emesso dal SUAP; illegittimi, conseguentemente sarebbero i provvedimenti n. 9073 del 4.3.2003 e 13735/03; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. per illogicità e carenza di motivazione, errata presupposizione dei fatti risultanti dagli atti di causa, anche in relazione alla legge reg. Molise n. 16/94 e al d.lgs. 490/99 nonché al d.m. n. 1444/68, rilevando che: a) il vincolo paesaggistico non concretizzava un vincolo di inedificabilità assoluta e che vi era stato un parere favorevole, mai revocato, da parte dell’organo competente comunale mentre non sarebbe determinante la mancata emissione, per inadempienza dell’ente, della formale autorizzazione ambientale da inviare alla soprintendenza per il nulla osta; l’atto n. 20335/02, quindi, non avrebbe potuto essere annullato per una mera carenza procedimentale ma solo dimostrando un prevalente interessa pubblico attuale, consistente del diniego di nulla osta da parte della soprintendenza; b) non vi sarebbe violazione delle distanze minime tra pareti finestrate in quanto il chiosco del fioraio sul lato prospiciente l’area sulla quale realizzare il chioscobar sarebbe privo di finestre o vedute mentre l’apertura esterna dei bagni del chioscobar prevista in progetto non rileverebbe in quanto l’ASL ne ha prescritto la chiusura, imponendo l’accesso ai bagni dall’interno; comunque l’eventuale difformità avrebbe potuto giustificare, al più, una richiesta di modifica progettuale, non l’annullamento in autotutela di un provvedimento favorevole già rilasciato; c) non convincerebbe la motivazione della sentenza in punto sussistenza in re ipsa dell’interesse pubblico alla rimozione del precedente provvedimento; 4) violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. anche in relazione all’art. 2034 c.c., all’art. 7 legge n. 205/2000 e all’art. 35 d.lgs. n. 80/98 sostenendo che la dichiarata improcedibilità del primo ricorso non giustificherebbe la declaratoria di inammissibilità della domanda di risarcimento danni, tanto più avendo lo stesso giudice di primo grado stigmatizzato il comportamento poco diligente ed i ritardi dell’amministrazione.

Con motivi aggiunti notificati il 20.9.2004 la ditta appellante ha ulteriormente dedotto: 1) carenza di motivazione della sentenza, violazione dell’art. 3 legge n. 241/90, carenza di motivazione e di istruttoria, carenza dei presupposti di fatto e di diritto, violazione ed errata applicazione dell’art. 4 del d.p.r. n. 447/98 modificato ed integrato dal d.lvo n. 440/2000, errore di fatto e di diritto per violazione della legge reg. n. 16 del 12.9.94, violazione dell’art. 9 del d.m. 2.4.1968, ribadendo la tesi che l’atto del SUAP costituisca concessione edilizia ai sensi e per gli effetti del d.p.r. 447/98 e sostenendo che l’atto di autotutela, adottato in considerazione di ravveduti vizi genetici dell’atto precedente, non potrebbe dirsi legittimo, mancando una adeguata valutazione comparativa degli interessi pubblico e privato, nonché dell’affidamento riposto dall’interessato nell’atto rimosso, così come ogni considerazione della possibilità di rimuovere i vizi, regolarizzando la procedura; 2) violazione ed errata applicazione del combinato disposto degli artt. 3, 7 e 10 della legge n. 241/90 e carenza assoluta di motivazione della sentenza anche sotto tale profilo; l’appellante, inoltre, lamentando omissione di pronuncia o assorbimento, ripropone le seguenti censure: 3) violazione dell’art. 3 legge n. 241/90 e carenza dei presupposti di fatto e di diritto, lamentando la carenza di motivazione della sentenza quanto alla ritenuta legittimità del diniego di concessione edilizia, privo di qualsivoglia indicazione a norme urbanistiche ed edilizie violate; 4) omissione di motivazione della sentenza quanto al denunciato vizio di incompetenza del segretario comunale, riproponendo la contestazione di violazione dell’art. 17 d.lgs. n. 29/93 così come integrato dall’art. 12 del d.lgs. n. 80/98 e così come riconfermato dall’art. 107, comma 3, F, del T.U. n. 267/2000, eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, sviamento, in considerazione di pareri favorevoli in merito alla regolarità formale degli atti espressi dallo stesso segretario comunale; 5) violazione degli artt. 7 e ss. legge n. 241/90, omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, errore di fatto e di diritto, violazione dell’art. 3 legge n. 241/90, difetto di motivazione e carenza di istruttoria, sostenendo che la concessione edilizia era già stata rilasciata dal Commissario regionale e che del tutto ultroneo sarebbe il diniego di concessione n. 5347 del novembre 2002 che, ove inteso quale atto di autotutela risulterebbe illegittimo per carenza di avviso di avvio del procedimento e difetto di motivazione; 6) illegittimità derivata del predetto diniego da quella della revoca disposta con l’atto del segratario generale n. 237/2002; 7) violazione degli artt. 3 e 10, comma 1, lett. b) legge n. 241/90 sostenendo l’illegittimità, per carenza di motivazione, del verbale con il quale il Comune di Termoli, in conferenza dei servizi riunita il 18.2.2003 ha autorizzato i dirigenti alla revoca dei provvedimenti sino ad allora adottati, disponendone il riesame, su impulso di parte dopo l’adozione da parte del Consiglio comunale di una nuova regolamentazione relativa ai chioschi; 8) violazione del combinato disposto degli artt. 32 e 35 legge n. 142/90 così come riconfermati dagli artt. 42 e 48 T.U. approvato con d.lgs. n. 267/2000, incompetenza, quanto alla deliberazione della Giunta municipale n. 46 del 24.2.2000, determinativa della superficie massima lorda di 20 mq. di suolo comunale concedibile per installazione di chioschi nelle zone centrali, trattandosi di regolamentazione di spettanza consiliare, illegittimità derivata dell’atto di revoca n. 237/2002 che a detta delibera fa riferimento, violazione del’art. 41 Cost.; 9) violazione dell’art. 3 legge n. 241/90, carenza dei presupposti, carenza di istruttoria, violazione dell’art. 97 Cost., contestando che la predetta delibera G.M. n. 46/2000 è stata superata dalla successiva delibera giuntale n. 287 del 21.11.01, non revocata, con la quale era stato approvato l’intervento produttivo in questione; 10) reiterazione dalla domanda di risarcimento del danno già formulata, quantificata, in termini aggiornati, in Euro 113.071, 42 per quanto concerne il danno emergente, e, quanto al lucro cessante,in Euro 20.000 annui per ciascun partecipante all’azienda familiare, per i dieci anni rappresentanti mediamente i tempi tecnici di vita e di ammortamento di una struttura produttiva adibita a bar.

Resiste il Comune di Termoli, che eccepisce l’inammissibilità dell’appello perché non notificato alla ditta "P. E. F." di F. B., ripropone le eccezioni di inammissibilità e improcedibilità sollevate in primo grado e, nel merito, replica diffusamente; in particolare sostiene che la determina n. 20335/2002 del dirigente del settore finanze non è una concessione edilizia, che nel Comune di Termoli non è stato ancora istituito la Sportello Unico per il rilascio del permesso di costruire, con conseguente inapplicabilità dell’art. 4 DPR 447/98, che correttamente è stata negata la concessione edilizia in quanto la storica piazza centrale di Termoli è sottoposta a vincoli ambientale e monumentale e difettavano i necessari pareri favorevoli, inoltre si riscontrava violazione delle distanze tra pareti e finestre prescritta dalla normativa di piano e dal DM 1444/68; nega, quindi, la sussistenza dei presupposti per ottenere il risarcimento dei danni, che, peraltro, sarebbero insussistenti, essendo la ditta dei fratelli G. tuttora nel pieno dell’esercizio commerciale.

Con ordinanza n. 4615/2004 è stata respinta l’istanza cautelare.

Parte appellante illustra ulteriormente le proprie tesi in memoria.

Il ricorso è stato posto in decisione all’udienza del 12.4.2011.

L’appello si rivela infondato; si prescinde, pertanto, dall’esame delle questioni preliminari sollevate dal Comune.

Con il primo motivo si sostiene che il TAR non avrebbe potuto dichiarare improcedibile il primo ricorso, il quale, per effetto dei motivi aggiunti includeva tutti i provvedimenti per cui è causa, e avrebbe, piuttosto dovuto dichiarare improcedibile il secondo, tuzioristicamente proposto avverso gli ultimi due provvedimenti. La censura è, per un verso, infondata, in quanto la declaratoria di improcedibilità riguarda il solo originario primo ricorso ed è del tutto condivisibile, essendo i provvedimenti con esso impugnati stati superati dai successivi provvedimenti parallelamente impugnati tanto con i motivi aggiunti che con il secondo ricorso; per altro verso, rimane priva di interesse, prescindendosi dalle eccezioni preliminari, la questione se dovessero essere decisi nel merito i motivi aggiunti (dichiarati inammissibili, stante la pendenza di autonomo ricorso, e non improcedibili) piuttosto che il secondo ricorso.

Il secondo e terzo motivo pongono le questioni sostanziali, riprese e ulteriormente sviluppate coi motivi aggiunti, relative alla vicenda, concernente l’installazione di un chioscobar nella centrale piazza Vittorio Veneto di Termoli.

E’ pacifico che tale tipo di intervento richieda l’ottenimento tanto di autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico che di concessione edilizia.

Parte appellante sostiene, in primo luogo, di averli ottenuti entrambi col rilascio del provvedimento del dirigente del settore finanze e sviluppo n. 20335 del 10 gennaio 2002 e segnala che lo stesso Commissario ad acta nominato dalla Regione Molise su istanza della ditta G. perché provvedesse sostitutivamente al rilascio del titolo concessorio ha ritenuto che detto provvedimento già costituisse concessione edilizia (la ditta, successivamente alla determina n. 20335 del 10.1.02 con la quale era stata autorizzata ad occupare 113 mq. di suolo pubblico per realizzarvi un chioscobar, ha presentato, il 19.2.2002, istanza di concessione edilizia per la realizzazione del predetto manufatto – nonché, in data 24.6.2002, nuovi elaborati progettuali "corretti secondo le prescrizioni della delibera di Giunta n° 46 del 24.02.2000" (v. doc. 4 produzione del Comune in primo grado ricorso n. 504/02), delibera giuntale che stabiliva le dimensioni massime concedibili per l’installazione di chioschi in mq. 20 – e, in mancanza di riscontro del Comune, lo ha diffidato, in data 26.8.2002, a concludere il procedimento, indi ha attivato, lamentando che a torto il Comune aveva sospeso la conclusione del procedimento con atto del 9.8.02 n. 18616/23949 in attesa dell’approvazione da parte del Consiglio comunale del regolamento per l’occupazione di spazi pubblici, i poteri sostitutivi regionali (docc. 13 e 14 parte ricorrente nel ricorso di I grado), ottenendo dal Commissario ad acta un atto, di data 6.11.2002, nel quale si "conferma che la determina dirigenziale descritta costituisce concessione edilizia ai sensi e per gli effetti del D.P. R. n. 447/98").

La tesi non persuade.

L’esame del provvedimento n. 20335 del 10.1.2002 evidenzia come sia assai più condivisibile l’avviso del T.A.R. che si tratta solo di un assenso alla occupazione del suolo pubblico. Il provvedimento è reso con riferimento ad istanza in data 11/07/2001 con la quale veniva chiesta la concessione "di mq. 113 in località P.zza Vittorio Veneto" e, dunque, ad un istanza di concessione di suolo pubblico (v. docc. 1 e 8 produzioni ricorrenti, fascicolo primo grado), e specifica il corrispettivo annuale per l’occupazione di detta metratura; il riferimento alla realizzazione del manufatto funge, nel contesto, essenzialmente da indicazione dello scopo per il quale l’area pubblica è concessa ma non integra anche un provvedimento di concessione edilizia, difettando tanto il richiamo che la stessa esistenza dei presupposti (domanda di concessione edilizia, trattandosi di atto adottabile su istanza di parte, parere della commissione edilizia, parere in ordine al vincolo ambientale e più in generale l’istruttoria propria di un procedimento edilizio) così come dell’ordinario contenuto di un permesso di costruire (termini per l’esecuzione, oneri).

L’atto del Commissario ad acta, che (come condivisibilmente ritenuto dal TAR) ha erroneamente interpretato il significato della determina n. 20335, a sua volta, non è un provvedimento di rilascio di concessione edilizia ma un atto interpretativo, o al più meramente confermativo, della predetta determina, privo di autonoma incidenza sulle situazioni soggettive (onde, contrariamente all’assunto di parte appellante, non vi era alcun onere del Comune di impugnare tale atto).

La determina dirigenziale n. 20335, non appena emanato l’atto commissariale del 6.11.2002, è stata revocata dapprima con determinazione n. 247 dell’8.11.2002 (oggetto del primo ricorso al TAR), indi, previa comunicazione di avvio del procedimento e presentazione di osservazioni della ditta G., con determina del Segretario generale n. 9073 del 4.3.2003, sulla base del verbale della conferenza dei servizi tenutasi in data 18.2.2003 "dal quale risulta che dalle controdeduzioni prodotte dalla ditta non sono emersi elementi nuovi e/o diversi rispetto a quelli già conosciuti ed analizzati e contestati".

Alla determinazione n. 9073 ha fatto seguito il provvedimento di data 6.5.03 n. 13735 del dirigente del settore gestione territorio di diniego, in sede di riesame dell’istanza anche alla luce delle osservazioni di parte istante del gennaio 2003, della concessione edilizia.

Entrambi detti ultimi provvedimenti, sui quali si concentra l’interesse del sig.ri G., si sottraggono alle critiche ad essi, ed alla sentenza che ne ha confermato la legittimità, rivolte.

Ampia e articolata è la motivazione della deliberazione di revoca n. 9073, che fa seguito alla conferenza dei servizi del 18.2.03, della quale il presidente, Segretario generale, ha appunto esternato le conclusioni mediante il predetto provvedimento (onde non persuade la censura di incompetenza riproposta col quarto motivo aggiunto).

Il provvedimento, richiamato il verbale della conferenza dei servizi, evidenzia, in sintesi, a) che nella conferenza dei servizi del 27.1.2001 non si era giunti ad alcuna valutazione positiva, ritenendosi di rinviare la decisione in attesa di direttive della G.M. nelle more dell’approvazione di un regolamento, e che dopo tale pronuncia interlocutoria la conferenza non si era più riunita; b) che la conferenza non si era per nulla espressa quanto all’aspetto urbanistico, mancando persino la domanda di concessione e qualunque istruttoria al riguardo; c) che di ciò era ben consapevole la ditta Gaviani, che infatti presentava domanda di concessione edilizia in data 19.2.2002, poi modificandola, riducendola a mq. 20 in conformità alla delibera della G.M. n. 46/2000, in data 24.6.2002; d) che la piazza Vittorio Veneto è sottoposta a vincolo ambientale; e) che la pratica edilizia era stata sospesa con provvedimento del dirigente del settore urbanistica n. 18616 del 9.8.02, in attesa dell’approvazione da parte del Consiglio comunale del regolamento per l’occupazione di spazi pubblici.

Detto provvedimento risulta idoneamente, per quanto stringatamente, motivato anche con riferimento alle osservazioni (principalmente dedicate alla pretesa inclusione di concessione edilizia nel provvedimento n. 20335/01) degli interessati, non occorrendo analitica confutazione ed essendo stato fatto richiamo all’unanime avviso espresso in sede di conferenza di servizi, e dallo stesso chiaramente emerge, altresì, la considerazione dell’interesse pubblico ad escludere l’uso privato di un bene pubblico in assenza dei presupposti e delle condizioni, in relazione anche alla mancanza di situazioni di affidamento denotata dai rilievi di cui sopra (domanda presentata solo in seguito, modifiche al progetto, sospensione della pratica e relativa motivazione).

Il diniego di concessione del 6.5.03 è stato disposto in considerazione dell’insussistenza di un titolo all’utilizzo dell’area, alla non ancora intervenuta approvazione del regolamento relativo alla disciplina concessoria delle aree pubbliche, al mancato rispetto delle distanze minime tra fabbricati e superfici vetrate, in relazione a preesistente chiosco adiacente.

Infondata, trattandosi di carenze e vizi di natura sostanziale, risulta la critica, rivolta ad entrambi gli atti, che l’amministrazione avrebbe dovuto, anziché procedere alla revoca ed al diniego di concessione edilizia, far luogo a regolarizzazione della pratica.

In particolare, per quanto riguarda l’aspetto della violazione delle distanze (che costituisce solo una delle autonome ragioni su cui è fondato il diniego, e neppure la principale, stante la mancanza di titolo ad usufruire dell’area) questa è comprovata dalla documentazione grafica dimessa in primo grado e non rileva la circostanza, valorizzata tanto nell’atto di appello che nei motivi aggiunti, che l’ASL abbia prescritto la chiusura dell’accesso al bagno dalla strada, in quanto tanto i grafici relativi al progetto originario che quelli "corretti" del progetto ridimensionato presentato il 24.6.02 mostrano due aperture dal lato dell’assai vicino (circa m. 1,50) chiosco preesistente, una soltanto delle quali è relativa al locale bagno.

Si concorda, inoltre, con i primi giudici, quanto al rilievo che nella sostanza l’intervento de quo trova un limite anche nella situazione di presenza di un vincolo ambientale, il quale, se non esclude in assoluto l’edificabilità, richiede volta per volta che l’autorità preposta alla tutela del vincolo si pronunci sulla compatibilità dell’intervento progettato, a nulla rilevando che già esistano strutture analoghe a quella progettata (nella specie si era avuto un primo parere favorevole della commissione edilizia del 16.5.02, poi superato dal successivo parere contrario del 21.11.02).

Le doglianze di cui ai motivi aggiunti relative ad atti antecedenti i due considerati provvedimenti di revoca e diniego rimangono, a questo punto, prive di interesse.

La domanda di risarcimento del danno risulta, stante la legittimità degli atti da ultimo adottati, priva di fondamento; né giova agli appellanti valorizzare, nell’ottica risarcitoria, la notazione dei primi giudici circa i ritardi nel concludere il procedimento edilizio e l’adozione, in un primo tempo, di atti di autotutela in assenza delle garanzie di partecipazione procedimentale, giungendo la riedizione del potere quando i lavori per la realizzazione del chiosco erano già avviati, considerato che il primo atto di revoca era stato adottato non appena intervenuto l’atto del commissario ad acta e, per quanto non preceduto (proprio per la fretta) da debito preavviso, era almeno idoneo ad informare la ditta interessata della volontà del Comune, ciò che ulteriormente (insieme alle incertezze dimensionali derivanti dalle diverse progettazioni presentate) esclude la configurabilità di affidamenti in relazione ai quali imputare all’amministrazione comunale il verificarsi di danni per l’inutilmente avviata realizzazione del chiosco.

L’appello, come integrato dai motivi aggiunti, va, pertanto, respinto.

Si ravvisano, in considerazione delle particolarità della controversia, motivi di compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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