Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-07-2011, n. 4503 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. I prodromi della presente vicenda sono già noti a questo giudice di appello in dipendenza di altre decisioni già emesse al riguardo.

Nondimeno è utile riprendere in esame i presenti fatti di causa muovendo proprio dai prodromi medesimi, e ciò per un’opportuna considerazione d’insieme della fattispecie resa oggetto del presente giudizio.

1.2. A seguito del rilascio, da parte del Comune di Caserta e in favore della I. S.p.a., della concessione edilizia n. 101 del 22 luglio 1997, delle concessioni edilizie in variante n. 162 del 30 agosto 2000 e n. 71 del 28 marzo 2001, nonchè in forza dell’ordinanza n. 5211 del 21 settembre 1999 e della convenzione urbanistica del 17 agosto 2000, è stata realizzata, sul fondo ubicato in Caserta, alla via Paolo Borsellino, e censito in catasto al foglio 36, particelle 124, 275, 328, 5022, 5327, 5329, 5331, 5334, 5337, 5339, 5341, 5343, 5346, 5349, una struttura adibita a centro commerciale, avente una volumetria complessiva pari a mc. 60.932 (di cui mc. 14.080 fuori terra) ed una superficie pari a mq 24.620, onde installarvi un supermercato, circa 40 esercizi commerciali e un parcheggio.

Con sentenza n. 7606 del 19 giugno 2003, il T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione Terza resa su tre ricorsi ivi riuniti e proposti dall’Avv. Luigi Adinolfi e da vari operatori commerciali di Caserta è stato disposto l’annullamento dei summenzionati titoli edilizi, nonché degli atti di autorizzazione all’apertura del centro commerciale I. presso la struttura sopradescritta e, all’interno di essa, all’apertura di un supermercato gestito dalla M. Tre S.p.a. e di circa 40 esercizi commerciali.

Tale statuizione di annullamento è stata segnatamente motivata in base al rilievo che un simile insediamento era incompatibile con la destinazione a "verde pubblico attrezzato (zona F3)", riservata dal vigente Piano regolatore comunale all’area di intervento: la zona F3 era, in particolare, definita dallo strumento urbanistico generale come "territorio destinato a uso pubblico", entro il quale era consentita "la realizzazione delle attrezzature pubbliche e di uso pubblico espressamente individuate nelle tavole di zonizzazione e rete viaria allegate, comprendenti attrezzature sportive, per lo svago, la cultura e il tempo libero, attrezzature commerciali compatibili con l’uso pubblico, con esclusione degli impianti rumorosi o comunque nocivi all’igiene fisica".

Soltanto dopo il rilascio dei predetti titoli abilitativi edilizi in favore della I. e la realizzazione dell’opera con essi assentita, ossia soltanto a decorrere dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 17 del 22 aprile 2003 della deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 4474 dell’11 ottobre 2002, era infatti entrato in vigore lo strumento di intervento per l’apparato distributivo (SIAD), approvato dal Consiglio Comunale di Caserta con deliberazioni n. 172 del 18 dicembre 2000 e n. 24 del 1° agosto 2002, il quale aveva per l’appunto previsto che nella zona F3 (destinata a verde pubblico attrezzato) avrebbero potuto essere localizzate le grandi strutture di vendita configurate come grandi aggregazioni commerciali polifunzionali (GACP), con indice di fabbricabilità pari a 1,00 mc/mq.

Più in dettaglio, l’art. 9, comma 4, delle norme di attuazione del SIAD aveva ammesso "la localizzazione di attività commerciali nelle zone territoriali omogenee F3… a condizione che l’intervento in predicato sia strutturato in parte per la realizzazione delle aree di verde pubblico, in parte per la costruzione del sistema infrastrutturale di comunicazione viaria, in parte per l’insediamento dell’esercizio di vendita".

Il successivo art. 19 aveva, poi, stabilito che, "per quanto riguarda l’apertura di grandi strutture di vendita, nel Comune di Caserta sono autorizzabili solamente le grandi strutture di vendita che siano configurate come centro commerciale di aggregazione commerciale polifunzionale (GACP), così come definito dalla L.R.. Campania 7 gennaio 2000 n. 1, articolo 7, comma 4".

Si trattava, cioè, dei "centri commerciali individuati con la sigla GACP e costituiti da aggregazioni formate per almeno l’80 per cento da aziende commerciali preesistenti sul mercato da almeno un anno e con sede nelle rispettive zone individuate dall’allegato A di cui all’art. 1 o con esse confinanti, costituite in consorzi o società aventi lo scopo d’incentivare il commercio e le attività degli associati mediante la creazione di "centri di aggregazione commerciale"", beneficiari "di deroga liberatoria rispetto ai contingenti di superficie per aree funzionali di cui alla tabella riportata nell’allegato C" (art. 7, comma 4, della L.R.. Campania 7 gennaio 2000, n. 1).

L’art. 20, comma 1, delle norme di attuazione del SIAD aveva, quindi, precisato che "le grandi strutture di vendita di cui alla l. r. Campania n. 1/2000, articolo 7, comma 4, possono essere insediate nelle zone territoriali omogenee di tipo D3, D4, F3".

Al riguardo, la relazione illustrativa allegata al SIAD aveva evidenziato che:

– "le zone centrali e semicentrali" del Comune di Caserta "risultano essere ormai in preda a fenomeni di intasamento sia delle strutture edilizie che del flusso veicolare, senza la possibilità di accedere a spazi disponibili per nuovi e importanti insediamenti commerciali, i quali, cioè, siano dotati di ampie aree di parcheggio e di idonea viabilità di collegamento";

– "nella programmazione delle nuove aperture delle strutture di vendita di maggiori dimensioni, pertanto, è opportuno (ed anche necessario) stabilire che tali esercizi siano insediati nelle aree cittadine periferiche, cioè nelle zone territoriali omogenee classificate come D3, D4, F3 e F10";

– "le zone F3 rappresentano il territorio destinato alla realizzazione delle attrezzature di interesse generale e comune, sia di proprietà privata che pubblica, ed in particolare delle strutture per lo svago, il tempo libero e le attività commerciali, per cui costituiscono giusta localizzazione per le nuove strutture distributive";

– le deliberazioni del Consiglio Comunale di Caserta n. 166 del 15 dicembre 2000 e n. 40 del 22 marzo 2001, concernenti l’integrazione del regime delle zone F3 del P.R.G., "hanno, altresì, disciplinato le modalità di realizzazione delle strutture commerciali in zona F3, onde superare i problemi derivanti dalla insufficiente normativa precedente, permettere di risolvere i problemi che avevano causato lo scarso utilizzo di dette aree e promuoverne lo sviluppo mediante la creazione delle attività realizzabili in zona F3";

– "sulla base dei criteri dell’art. 4 della L.R. 1 del 2000, dopo aver attentamente esaminato sia le destinazioni urbanistiche del vigente P.R.G. sia l’assetto infrastrutturale, esistente e di progetto, si evince che le grandi strutture di vendita possano essere allocate esclusivamente nelle zone territoriali omogenee D3, D4, F3, e, in futuro, anche nelle zone F10, dopo la definitiva approvazione della relativa variante urbanistica";

– "ai fini del rilascio dell’autorizzazione per grandi strutture di vendita, tenuto conto dell’impatto di tali attività commerciali sull’assetto infrastrutturale del territorio comunale, è necessario che l’esercizio in predicato abbia a disposizione sufficiente spazio da destinare a parcheggio, all’uso pubblico, al verde e alla movimentazione delle merci, secondo i parametri di cui alle norme di attuazione dello strumento d’intervento per l’apparato distributivo, i quali, ovviamente, risultano più ampi di quelli previsti per le medie strutture di vendita";

– "la L.R. 1 del 2000 ha stabilito che nell’area sovracomunale di Caserta non vi è disponibilità di superficie autorizzabile per le grandi strutture di vendita, ma ha definito una particolare forma di esercizio commerciale, che può offrire una valida opportunità per la valorizzazione e lo sviluppo della rete distributiva di Caserta: il centro commerciale costituito da aggregazioni commerciali polifunzionali (GACP)";

– "il centro commerciale GACP è rappresentato, per almeno l’80%, dall’aggregazione (sotto forma di consorzio o di società, aventi lo scopo di incentivare il commercio) di almeno sei esercizi, appartenenti alle diverse forme di commercio, nonché ad attività produttive artigianali";

– "le aziende commerciali interessate devono essere preesistenti sul mercato da almeno un anno e con sede nell’area funzionale sovracomunale n. 5 – area casertana, così come individuata nell’allegato A di cui all’art. 1 della l. r. n. 1/2000 o con essa confinante";

– "le suddette attività commerciali devono essere poste all’interno di una struttura funzionale unitaria avente servizi comuni, articolata lungo un percorso pedonale di accesso, che consenta la diretta comunicazione tra i singoli esercizi";

– "il centro GACP gode di deroga liberatoria rispetto ai contingenti di superficie per aree funzionali sovracomunali, poiché rappresenta una forma di razionalizzazione e modernizzazione dell’apparato distributivo, ed in quanto l’autorizzazione amministrativa trae origine dall’accorpamento e dalla concentrazione degli esercizi preesistenti";

– "il centro GACP, infatti, si costituisce per opera degli esercenti preesistenti che decidono di associarsi e di localizzare le loro attività in strutture immobiliari più nuove e organizzate, dotate di servizi rivolti a rendere confortevole l’accesso e la fruizione da parte dei clienti";

– "è certamente un’espressione d’integrazione dell’apparato distributivo, e non una forma di aggressione commerciale, al contrario di un ipermercato, che, invece, è struttura di vendita di grandissime dimensioni, non collegata alla preesistente realtà commerciale del territorio";

– "in particolare, strutture del genere costituiscono un incentivo all’aggregazione di esercizi commerciali singoli, determinando una concentrazione dell’offerta in zone meglio accessibili ad una domanda sempre più esigente, creando poli di attrazione sufficientemente decentrati rispetto al centro urbano da non creare congestione del traffico veicolare e stimolando un positivo decongestionamento della rete dei piccoli esercizi, senza con questo innescare eccesivi fattori di concorrenza esterni, come avverrebbe, ad esempio, con l’insediamento di ipermercati";

– "in considerazione dei fattori suesposti la struttura di vendita del centro commerciale costituito da aggregazioni commerciali polifunzionali (GACP) rappresenta l’unica tipologia di grande struttura di vendita ammissibile con l’apparato distributivo del Comune di Caserta".

La dianzi riferita sentenza n. 7606 del 19 giugno 2003, resa dal giudice di primo grado, è stata confermata dalla Sezione Quinta di questo Consiglio di Stato con decisione n. 4790 del 28 giugno 2004.

La pronuncia in appello ha, in particolare, statuito che:

– "l’insediamento contestato, per le sue dimensioni… per la presenza al suo interno di circa quaranta esercizi commerciali, artigianali o per prestazione di servizi e di un supermercato, oltre che per le infrastrutture (viabilità, parcheggi) resesi necessarie, non è compatibile con la destinazione a verde pubblico attrezzato, prescritta dallo strumento urbanistico, rispetto alla quale assume preponderante rilevanza quella commerciale dell’insediamento stesso";

– "preponderanza certamente non inficiata dalla modesta incidenza degli spazi "per attività sociali, culturali, sportive e verde pubblico attrezzato per il gioco e il tempo libero",presenti nell’intervento in questione, dato che, escluse le superfici destinate alla viabilità ed al parcheggio in quantofunzionali alla struttura commerciale, quegli spazi si riducono a quattro locali della superficie lorda di mq 316 ceduti in uso al Comune e due campetti di gioco";

– "a contraddire le considerazioni che precedono non vale invocare… le deliberazioni 15 dicembre 2000 n. 166 e 22 marzo 2001 n. 40 del Consiglio Comunale di Caserta, con le quali sono state integrate le norme di P.R.G. relative alla zona F3… si tratta, invero, di disciplina sopravvenuta rispetto ai titoli edilizi impugnati, la quale, peraltro, conferma espressamente la complementarità delle attività commerciali rispetto "all’attività primaria" cui è destinata la zona";

– "in secondo luogo, non rileva neppure, se non sotto il profilo della eventualità di una sanatoria, l’approvazione definitiva in data 22 aprile 2003 dello strumento di intervento per l’apparato distributivo o SIAD del Comune, che nelle zone F3 consentirebbe la realizzazione di volumi commerciali in base all’indice di 1 mc./mq. su superfici fino a mq. 25.000".

Nel frattempo, in esito alla predetta sentenza resa in primo grado dal T.A.R. per la Campania, M. 3 ha inoltrato al Comune di Caserta in data 13 maggio 2003 un’istanza finalizzata al rilascio a proprio nome, in conformità alle sopravvenute previsioni del SIAD, di un nuovo titolo commerciale avente ad oggetto il supermercato quale media struttura di vendita M2 ubicato all’interno del centro commerciale I..

I., a sua volta, con riguardo all’immobile dichiarato abusivo ope iudicis, nell’ottobre 2003 ha depositato allo Sportello unico per le attività produttive (SUAP) del Comune di Caserta una domanda di rilascio di autorizzazione commerciale à sensi dell’art. 9 del D.L.vo 31 marzo 1998 n. 114 avente ad oggetto l’apertura di una grande struttura di vendita rientrante nella categoria GACP.

I., sempre con riguardo al medesimo immobile, ha,altresì, presentato in data 7 luglio 2004 e in data 26 luglio 2004, domanda di condono edilizio à sensi dell’art. 32, comma 25 e ss., del D.L.30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni in L. 24 novembre 2003 n. 326.

Con atto n. 1 del 6 ottobre 2004 il Comune ha emesso la nuova autorizzazione commerciale richiesta dalla M. 3, E Ciò nel presupposto dell’avvenuta presentazione, da parte di I., della testè riferita domanda di condono edilizio, e ha conseguentemente subordinato la validità, per il futuro, del titolo commerciale all’accoglimento della domanda di condon medesima

Tale provvedimento è stato peraltro annullato con sentenza resa dal T.A.R. per la Campania, Sez. III^, n. 7324 del 3 marzo 2005 su due ricorsi ivui riuniti e proposti da vari operatori commerciali di Caserta, secondo la quale:

– "l’istanza di condono non risulta essere stata ancora esaminata dal Comune e pertanto nessuna autorizzazione commerciale, allo stato, è stata rilasciata al centro commerciale I. ai sensi dell’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998, in mancanza di un titolo edilizio valido ed efficace";

– "in una tale situazione di fatto, il Comune" non poteva "rilasciare alla M. 3 una autorizzazione per media struttura di vendita all’interno del centro commerciale I. e ciò proprio per la mancanza della previa autorizzazione generale per il centro commerciale";

– "il Comune, invece, ritenendo erroneamente che l’autorizzazione per la media struttura di vendita richiesta dalla società M. 3 avesse una propria autonomia, l’ha valutata prescindendo dalla circostanza essenziale che essa riguardasse un esercizio all’interno di un centro commerciale non autorizzato… è stato così rilasciato un titolo illegittimo per la carenza del necessario presupposto della preventiva autorizzazione del centro commerciale";

– "l’amministrazione… non è certamente autorizzata a rilasciare titoli annonari in spregio del rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia, ma è tenuta invece a concludere in tempi certi e ragionevoli il procedimento di condono, onde poi procedere eventualmente al rilascio della licenza commerciale, qualora l’abusività dell’immobile sia stata sanata";

– "per tali ragioni deve essere ritenuta illegittima l’autorizzazione impugnata, essendo stata rilasciata sul solo presupposto dell’intervenuta presentazione di un’istanza di condono… non è possibile infatti, come si è detto, attribuire alcun effetto sanante alla mera presentazione di un’istanza di condono, in quanto l’immobile è e resta abusivo fino all’adozione di un provvedimento di sanatoria";

– in questo senso, la disciplina di fonte statuale in materia di autorizzazioni commerciali ha enunciato il principio della "correlazione dei procedimenti di rilascio della concessione o autorizzazione edilizia inerenti l’immobile o il complesso di immobili e dell’autorizzazione all’apertura di una media o grande struttura di vendita, eventualmente prevedendone la contestualità" (art. 6, comma 2, lett. d, del D.L.vo 114 del 1998) ed ha annoverato tra le condizioni per la comunicazione di inizio attività degli esercizi di vicinato il rispetto dei regolamenti edilizi, delle norme urbanistiche e delle destinazioni d’uso (cfr. ibidem, art. 7, comma 2, lett. b,);

– nello stesso senso, "la legislazione regionale della Campania… proprio in riferimento ai criteri per il rilascio dell’autorizzazione per le grandi strutture commerciali, ha sottolineato la necessità di rispettare le disposizioni in materia urbanistica fissate dal Comune e dalla Regione (art. 5, comma 1, lett. a, della L.R. 1 del 2000) e, in relazione ai criteri di programmazione urbanistica, ha previsto che "il rilascio di una concessione edilizia, anche in sanatoria, è contestuale al rilascio dell’autorizzazione commerciale, se prevista" (art. 14, comma 4, della L.R. 1 del 2000), che "tutti gli esercizi commerciali dovranno essere attivati in locali aventi conforme destinazione d’uso" (comma 5 dello stesso articolo) e infine che "tutti gli insediamenti commerciali dovranno essere ubicati su aree aventi conforme destinazione urbanistica, fatti salvi gli esercizi commerciali ubicati o da ubicare in immobili per i quali sia stata rilasciata concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 28 febbraio 1985 n. 47 del 1985 o L. 23 dicembre 1994 n. 724 (comma 6 dello stesso articolo)";

– l’evocato assetto normativo, sia a livello statale che regionale, impone, dunque, "alle amministrazioni di verificare il rispetto delle prescrizioni urbanistico ed edilizie, che deve sussistere sin dall’inizio o a seguito di ottenimento di un titolo edilizio in sanatoria, anche in sede di rilascio delle autorizzazioni commerciali";

– in tale contesto, "il principio di contestualità tra rilascio del titolo edilizio e commerciale non è derogato per la pendenza di un’istanza di condono, ma anzi è confermato, dal dato normativo, mediante la previsione di cui all’art. 14, comma 4, della L.R. 1 del 2000 anche in caso di rilascio di concessione in sanatoria";

– "il procedimento per l’apertura di esercizi commerciali all’interno di un centro commerciale è strutturato in varie fasi e presuppone il rilascio della autorizzazione ex art. 9 del D.L.vo 114 del 1998 per l’apertura del centro commerciale, la quale deve essere contestuale al rilascio della concessione edilizia per l’intero immobile nel quale il centro commerciale è allocato… se dunque i locali nei quali è situato il supermercato della M. 3 altro non sono che una frazione del complesso di proprietà dell’Iperion, ciò significa che prima di poter autorizzare un’attività commerciale all’interno di detto complesso esso deve essere autorizzato sia per il profilo urbanisticoedilizio, eventualmente in sanatoria, che per quello commerciale… sarebbe, infatti, illogico che all’interno di un complesso abusivo e privo di autorizzazione, alcuni locali potessero essere ritenuti idonei ad ospitare una media struttura di vendita".

Tale sentenza emessa dal giudice di primo grado è stata confermata con decisione n. 638 del 15 febbraio 2007 resa da questa stessa Sezione, ribadendo che "il previo ottenimento della autorizzazione generale per il centro commerciale sia presupposto per il rilascio dei titoli annonari relativi ai singoli esercizi commerciali ivi ubicati".

A questo punto, il procedimento relativo all’istanza di autorizzazione commerciale presentata da I. nell’ottobre 2003 non risulta aver avuto ulteriore corso, e ciò pur dopo che la Conferenza di Servizi tenutasi il 26 gennaio 2004 à sensi dell’art. 11, commi 4 e 5, della L.R. 1 del 2000 aveva espresso in merito parere favorevole.

I., peraltro, con atto notificato il 26 settembre 2006 ha invitato il Comune di Caserta a rilasciare la richiesta autorizzazione sulla scorta di tale parere favorevole, sebbene – a suo dire – si fosse già formato sul punto il silenzio assenso di cui all’art. 9, comma 5, del D.L.vo 114 del 1998 e all’art. 11, comma 6, della L.R. 1 del 2000.

Le domande di condono edilizio presentate sempre da I. in data 7 luglio 2004 e il 26 luglio 2004 à sensi dell’art. 32, comma 25 e ss., del D.L. 269 del 2003, rassegnate il 7 luglio 2004 e il 26 luglio 2004 sono state respinte dal dirigente coordinatore dell’Area di Coordinamento tecnico del Comune di Caserta con determinazione n. 48 del 17 gennaio 2008.

Tale provvedimento è stato impugnato innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, con distinti ricorsi dalla medesima I., da M. 3 e da altre tre imprese esercenti la propria attività all’interno del centro commerciale I..

Tali impugnative sono state respinte dalla Sezione VIII^ del T.A.R. per la Campania, Napoli, con sentenze n. 5160, 5161, 5162, 5163 e 5164 del 29 maggio 2008, e i relativi appelli sono stati quindi respinti da questa stessa Sezione con decisione parziale n. 6237 del 17 dicembre 2008 e all’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con decisione definitiva n. 4 del 23 aprile 2009.

Va sin d’ora rimarcato che con la propria decisione l’Adunanza Plenaria ha – tra l’altro – statuito che l’allegato 1 al D.L. 269 del 2003, recante l’elenco degli abusi edilizi suscettibili di sanatoria, non contempla le ipotesi di opere realizzate in base a concessioni edilizie annullate: circostanza, questa, reputata sufficiente per l’Adunanza Plenaria medesima per affermare la legittimità del diniego di condono opposto dal Comune di Caserta, risultando all’uopo ininfluente che l’annullamento fosse intervenuto in via di autotutela ovvero in sede giurisdizionale, ed essendo – semmai – rilevante, considerato l’ampio potere discrezionale riservato al legislatore nell’individuare le categorie di opere a suo avviso non condonabili, che le stesse non siano ricomprese nel predetto elenco, laddove l’inclusione postula una previsione espressa e chiara.

Nel conformarsi al nuovo dictum giudiziale, il dirigente coordinatore dell’Area generale di Coordinamento tecnico del Comune di Caserta, con ordinanza n. 26 del 29 maggio 2009 (Prot. n. 54710) ha quindi ingiunto ad I., a’sensi degli artt. 31 e 32 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, la demolizione delle opere eseguite sulla base della concessione edilizia n. 101 del 22 luglio 1997 e delle concessioni edilizie in variante n. 162 del 30 agosto 2000 e n. 71 del 28 marzo 2001 annullate in sede giurisdizionale, allo stato prive del necessario permesso di costruire e consistenti nella "realizzazione di un centro commerciale integrato con strutture per attività socialiculturalisportive e di verde pubblico attrezzato per il gioco e tempo libero, denominato "La cittadella’".

Peraltro, dell’emissione di tale ingiunzione a demolire, I. ha presentato al Comune di Caserta domanda di accertamento di conformità à sensi dell’art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, avente per oggetto le opere contestate, nonché di rilascio dell’autorizzazione all’apertura di un centro commerciale rientrante nella categoria GACP, sulla scorta della determinazione favorevole della conferenza di servizi del 26 gennaio 2004.

1.3.1. L’ingiunzione a demolire è stata comunque impugnata, unitamente ad ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente, innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, con ricorso ivi proposto sub R.G. 3984/2009.

I. ha in tale sede dedotto le seguenti censure.

A) Violazione dell’art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001; violazione del principio generale del previo esame dell’istanza di sanatoria rispetto ai provvedimenti sanzionatori; violazione dell’obbligo di giusto procedimento; eccesso di potere.

Secondo I. l’ordinanza di demolizione n. 26 del 29 maggio 2009 non avrebbe potuto essere emessa prima di un’eventuale pronuncia sfavorevole – espressa o tacita – della medesima Amministrazione Comunale sulla domanda di permesso di costruire in sanatoria ad essa presentata il 28 maggio 2009.

B) Violazione degli artt. 7, 8 e 20 delle norme di attuazione dello strumento di intervento per l’apparato distributivo (SIAD), approvato dal Consiglio Comunale di Caserta con deliberazione del 1° agosto 2002 n. 24; violazione e falsa applicazione del D.L.vo 114 del 1998 e della L.R. Campania 7 gennaio 2000 n. 1; illogicità e falsa applicazione dell’art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001; eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà; erroneità e inesistenza dei presupposti.

Sempre secondo I., poiché, agli artt. 7, 8 e 20 delle relative norme di attuazione, il SIAD, proprio in quanto strumento di programmazione urbanistica oltrechè commerciale, avrebbe consentito, sia pure successivamente all’esecuzione delle opere contestate, la realizzazione di centri commerciali della tipologia GACP nella zona (F3 – verde pubblico attrezzato) di intervento, fissando in 1 mc/1 mq l’indice di fabbricabilità, non sussisterebbero, nella specie, i presupposti di non conformità urbanistica dell’adottata misura repressivoripristinatoria.

C) Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001; violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità degli atti amministrativi; eccesso di potere.

I. afferma che l’Amministrazione comunale, nell’irrogare la sanzione demolitoria, avrebbe illegittimamente omesso di valutare la possibilità di irrogare la sanzione alternativa pecuniaria, prevista – per l’appunto – dall’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 in caso di interventi edilizi eseguiti in base a permesso di costruire annullato.

1.3.2. Nel giudizio di primo grado si è costituito il Comune di Caserta, eccependo l’improcedibilità di tale ricorso e concludendo comunque per la sua reiezione.

1.3.3. Nel medesimo giudizio ha pure dispiegato intervento ad opponendum il Comitato di quartiere Parco Cerasole – Centurano e Parco degli Aranci, rassegnando analoghe conclusioni.

1.4.1. Con ricorso proposto sub R.G. 7377 del 2009 innanzi alla Sezione staccata di Salerno del T.A.R. per la Campania M. 3 ha a sua volta chiesto l’annullamento della determinazione del 28 agosto 2009 n. 2046, con la quale i dirigenti coordinatori delle Aree generali di coordinamento tecnico e amministrativo del Comune di Caserta avevano rigettato la menzionata domanda di accertamento di conformità e di autorizzazione all’apertura di un centro commerciale appartenente alla tipologia GACP presentata dalla I. il 28 maggio 2009 (Prot. n. 54549), avevano confermato l’ordinanza di demolizione n. 26 del 29 maggio 2009 (Prot. n. 54710) ingiungendo a I. di demolire le opere eseguite in forza delle annullate concessioni edilizie n. 101 del 22 luglio 1997, n. 162 del 30 agosto 2000 e n. 71 del 28 marzo 2001 ed avevano – infine – annullato il silenzio assenso formatosi sull’istanza di autorizzazione commerciale concernente la struttura GACP abusivamente edificata.

L’impugnativa è stata – altresì – estesa da M. 3 ad ogni altro atto preordinato, presupposto, connesso e conseguente, tra cui, in particolare, la nota Prot. 65796 dd. 2 luglio 2009 recante il preavviso del disposto rigetto della domanda assunta al Prot. n. 54549 dd. 28 maggio 2009.

1.4.2. Conviene sin d’ora descrivere l’invero diffuso impianto motivazionale della determinazione dirigenziale n. 2046 del 2009 resa oggetto d’impugnativa da parte di M. 3.

A) La motivazione del diniego di sanatoria è stata incentrata sulla riscontrata insussistenza degli estremi della c.d. "doppia conformità", contemplata – come è ben noto – dall’art. 36, comma 1, del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, posto che le sentenze già pronunciate sulla vicenda attinta dall’esaminata domanda di sanatoria avevano- come testualmente si afferma nella medesima determinazione n. 2046 del 2009 – "definitivamente accertato… la non conformità urbanistica dell’opera al momento della sua realizzazione (con conseguente annullamento dei titoli edilizi rilasciati dal Comune)….. Sebbene non si disconosca la esistenza di una certa parte della giurisprudenza amministrativa che si è espressa nel senso della invocata "sanatoria giurisprudenziale" esiste un recente e consolidato (soprattutto nel tempo) orientamento giurisprudenziale che si esprime nel senso della necessità della doppia conformità ai fini della positiva valutazione della istanza di sanatoria ex art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001", e "fra le due opposte tesi giurisprudenziali è necessario propendere per la seconda (ovvero quella che richiede la doppia conformità), essendo questa quella fedele al dato letterale della legge…. Difatti… il permesso in sanatoria previsto dall’art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001… è un provvedimento tipico ammesso solo entro i limiti delineati dal legislatore (il quale in particolare ha stabilito che è necessario il presupposto della c.d. "doppia conformità", e cioè che l’opera abusiva sia conforme non solo allo strumento urbanistico esistente al momento delladomanda di sanatoria, ma anche a quello vigente al momento della realizzazione dell’opera), senza che sia possibile, da parte dell’amministrazione, l’esercizio di un potere di sanatoria oltre detti limiti… per tale motivo… il T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001… ha previsto una disciplina puntuale ed esaustiva della sanatoria in materia edilizia, tale da non ammettere spazi residui che consentano di affermare, in via interpretativa, la sopravvivenza della c.d. "sanatoria giurisprudenziale",la quale comporta l’assentibilità della sanatoria nel caso di conformità dell’intervento alla normativa urbanistica vigente nel momento in cui l’autorità provvede sulla domanda, pur se in contrasto con lo strumento urbanistico vigente all’epoca dell’abuso"; e, pertanto, sulla scorta della rassegna di giurisprudenza amministrativa e penale invocata a sostegno di tale tesi, "l’art. 13 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 (ormai trasfuso nell’art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) consente il rilascio di una concessione in sanatoria solo in presenza di una duplice conformità; questa norma – in quanto derogatoria del principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie – non è suscettibile di applicazione analogica né di una interpretazione riduttiva, secondo cui – in contrasto col suo tenore letterale – basterebbe la conformità delle opere col piano regolatore vigente al momento in cui sia definita l’istanza di sanatoria: in sostanza, l’art. 13 della L. 47 del 1985 ha attribuito al Comune un potere di natura vincolata, nel senso che l’istanza di accertamento di conformità va senz’altro respinta quando le opere non risultino conformi allo strumento urbanistico vigente al momento della loro realizzazione…. In sede di esame della richiesta di una concessione edilizia in sanatoria, non è possibile applicare la cosiddetta "sanatoria giurisprudenziale",e cioè quell’orientamento che ammette la sanabilità di un’opera abusivamente realizzata, qualora ne risulti la conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo (e addirittura anche solamente a quelle applicabili al momento della presentazione dell’istanza). La "sanatoria giurisprudenziale",infatti, non ha trovato conferma – come spesso accade con gli istituti di creazione pretoria – nella recente legislazione, la quale invece prevede il presupposto della c.d. "doppia conformità", non essendo stato recepito nell’art.36 del T.U. dell’edilizia l’auspicio in tal senso espresso nel parere del 29 marzo 2001 della Adunanza generale del Consiglio di Stato. Deve pertanto ritenersi che, allo stato attuale, per ottenere una concessione edilizia in sanatoria, sia necessaria la c.d. "doppia conformità" e, cioè, occorre dimostrare che l’opera abusiva è conforme non solo alla disciplina urbanistica vigente alla data in cui viene richiesta, ma anche a quella vigente all’atto della realizzazione dell’opera".

In considerazione di tutto ciò, l’Amministrazione Comunale, "in applicazione dell’art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, come interpretato dalla giurisprudenza amministrativa e penale prevalente, e in virtù del rigoroso rispetto dei principi di legalità e di tipicità degli atti amministrativi", ha ritenuto che, ai fini del rilascio del richiesto permesso di costruire in sanatoria, fosse necessaria la c.d. "doppia conformità", come sopra intesa; e, poiché "l’opera realizzata non era conforme alla normativa urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione", non ha ravvisato, nella specie, "le condizioni per procedere al rilascio del richiesto titolo abilitativo ex art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001".

B) Per quanto attiene al diniego di rilascio dell’autorizzazione commerciale e sull’affermata inesistenza del silenzio assenso al riguardo, nella motivazione della medesima determinazione dirigenziale n. 2046 del 2009 si afferma che "l’attenta lettura delle disposizioni di legge contenute sia nel D.L.vo 114 del 1998 che nella L.R. 1 del 2000 rende evidente come – alla data di presentazione della richiesta di autorizzazione commerciale (cui, ovviamente ed esclusivamente, si riferisce la normativa statale e regionale sopra citata) – difettasse uno dei presupposti essenziali previsti dalla legge per la presentazione e per la positiva valutazione della istanza stessa", posto che l’art. 5, comma l, lett. a) della medesima L.R. 1 del 2000 espressamente prevede che "il rilascio dell’autorizzazione per le grandi strutture di vendita, di cui all’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998, secondo i procedimenti di cui all’art. 14 della presente legge, è subordinato al rispetto delle seguenti condizioni:… l’osservanza delle disposizioni in materia urbanistica fissate dal Comune e dalla Regione"il dettato normativo, sia a livello nazionale che regionale" impone, cioè, "alle amministrazioni di verificare il rispetto delle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, che deve sussistere sin dall’inizio o a seguito di ottenimento di un titolo edilizio in sanatoria, anche in sede di rilascio delle autorizzazioni commerciali".

Da ciò discende, quindi, che in considerazione dell’enucleato principio della contestualità fra l’emissione del titolo abilitativo edilizio e l’emissione di quello abilitativo commerciale, la mancanza del primo era stata, dunque, considerata dall’Amministrazione Comunale "elemento assolutamente ostativo al rilascio (sia pure anche per silentium)" del secondo: ossia "condizione assolutamente ostativa al rilascio della autorizzazione commerciale (e solo di quella, atteso che la normativa suddetta non ha alcun rilievo ai fini della valutazione di carattere urbanistico)" era stata ravvisata nella "non conformità urbanistica alla data di presentazione della istanza di autorizzazione commerciale".

Pertanto, l’Amministrazione Comunale ha tenuto conto che "una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 è stata presentata per la prima volta solo in data 28 maggio 2009", e ha concluso nel senso che, "alla data di valutazione della istanza di autorizzazione commerciale, mancando la conformità urbanistica (in considerazione delle svariate sentenze dei giudici amministrativi di primo e secondo grado pronunciatesi tra le parti e/o, comunque, in relazione alle complesse vicende, anche commerciali, dell’Iperion) era del tutto impossibile pervenire a una positiva valutazione della richiesta autorizzazione commerciale".

C) Per quanto attiene invece all’annullamento in autotutela del silenzio assenso eventualmente formatosi in relazione all’istanza di autorizzazione commerciale, l’Amministrazione Comunale afferma innanzitutto che l’ipotesi in cui si sia idoneamente formato il silenzioassenso sulla domanda di autorizzazione commerciale presentata nell’ottobre 2003 da I. andrebbe "recisamente" esclusa.

Nondimeno, la medesima Amministrazione Comunale reputa comunque sussistenti nella specie le condizioni contemplate dall’art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990 n. 241 come introdotto dall’art. 14, comma 1, della L. 11 febbraio 2005 n. 15 per disporne l’annullamento d’ufficio.

In particolare, ad avviso dell’Amministrazione Comunale, il ripristino della legalità violata a causa dell’inosservanza del richiamato principio di presupposizione – correlazione – contestualità tra il rilascio del titolo abilitativo edilizio e il rilascio di quello annonario risponderebbe ad interessi pubblici connessi ai valori fondamentali di imparzialità e buon andamento à sensi dell’art. 97 Cost. e consistenti, "da un lato, nella necessità di garantire un utilizzo delle aree pubbliche conforme alla destinazione urbanistica dell’area, ovvero di restituire alla potestà pianificatoria del Comune (che ha avviato la procedura per la redazione del P.U.C. – Piano urbanistico comunale) un’area di notevole estensione, come tale suscettibile di incidere significativamente sulle future scelte di programmazione e sul dimensionamento del piano in via di elaborazione", e, "dall’altro lato, nella necessità che tutte le attività (comprese quelle dirette all’apertura e/o al proseguimento di attività commerciali) siano svolte in maniera conforme alla legge e secondo logiche di equilibrio per ciò che concerne la relativa distribuzione territoriale".

Pertanto, sempre secondo l’Amministrazione Comunale, un’antitetica soluzione conservativa del provvedimento autorizzatorio silentemente formatosi avrebbe finito per frustrare irrimediabilmente gli interessi pubblici assunti a fondamento dell’intervento in autotutela., impedendo "di riportare l’area all’uso cui era stata destinata, ovvero ad altra conformazione ritenuta a essa consona" ed avvalorando nel contempo "l’idea che sia consentito realizzare esercizi commerciali illegittimamente, senza che vi sia controllo da parte dell’amministrazione ovvero senza che, una volta accertata, in sede giurisdizionale la illegittimità di detta realizzazione… detto accertamento sortisca, di fatto, conseguenze concrete… e ciò in ragione della applicazione errata della normativa in materia commerciale, funzionale a coonestare una situazione di fatto determinatasi contra legem (ovvero quella di ottenere una autorizzazione commerciale per una opera abusiva)".

L’Amministrazione Comunale ha inoltre rimarcato che gli interessi privati di I. si erano comunque rivelati recessivi nella ponderazione non solo con quelli pubblici giustificativi del prefigurato annullamento in autotutela, ma anche con quelli privati delle imprese in concorrenza con gli esercizi commerciali ubicati all’interno della struttura abusiva, posto che "non v’è dubbio che i commercianti di prodotti omogenei (non solo quelli collocati nelle vicinanze, ma, più in generale, tutti quelli dell’apparato commercialedistributivo della città, le cui contenute dimensioni fanno sì che l’apertura di un grosso centro commerciale riverberi conseguenze sull’intero tessuto commerciale urbano) abbiano risentito, in termini ovviamente negativi, per anni, della attivazione della struttura in questione, sicchè, quando si pone il problema di valutare l’adozione di provvedimenti amministrativi e, dunque, di ponderare i vari interessi coinvolti, occorre tenere conto anche degli interessi di tali soggetti (id est, della possibilità di equilibrare e, per così dire, di compensare, con la chiusura dell’Iperion, e dunque di una struttura giudicata dalla magistratura amministrativa illegittima e che pertanto non avrebbe proprio dovuto essere aperta, le conseguenze sfavorevoli da essi risentite; nonché della coincidenza – cosa che finisce per assicurarne la prevalenza su altri contrapposti – di detti interessi con quelli pubblici, quali sopra rappresentati)"; e, per di più, "il fatto che dal 2003 in poi il TAR Campania, Napoli e il Consiglio di Stato… hanno affermato la illegittimità delle concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Caserta che avevano consentito la realizzazione del centro commerciale I." renderebbe "evidente la insussistenza nella fattispecie… di un ragionevole affidamento da parte della società istante alla formazione del silenzioassenso".

D) Da ultimo, l’Amministrazione Comunale ha reputato inapplicabile per il caso di specie la sanzione alternativa pecuniaria prevista dall’art. 38, comma 1, del T.U. approvato con D.P.R.. 380 del 2001, "nella parte in cui"- per l’appunto "prospetta un esito di sanatoria mediante l’eliminazione dei vizi che hanno inficiato l’atto ampliativo": e ciò in quanto per il caso di I. sarebbe stato rilevato "non già un vizio di forma o di procedura, bensì irregolarità di ordine sostanziale a cagione del radicale contrasto dell’intervento assentito con la strumentazione urbanistica, come tale insuperabile in sede di riesercizio della potestà amministrativa" e, cioè, "essendo stata la originaria concessione edilizia annullata non certo per vizi di forma o di procedura, ma per una vera e propria irregolarità sostanziale (ovvero la impossibilità di realizzare la struttura de qua in una zona F3)".

Nella medesima determinazione n. 2046 del 2009 si afferma quindi che "nel caso di annullamento del titolo abilitativo, in disparte l’ipotesi di vizi di ordine meramente procedurale e formale, non ricorrente nella fattispecie in esame, il modello legale tipico di atto è proprio quello dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto unico atto idoneo ad arrecare una piena soddisfazione all’interesse pubblico alla rimozione delle opere in contrasto con la disciplina urbanistica. Ove, pertanto, lo sviluppo attuativo del pregresso annullamento della concessione si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino alcun onere di specifico motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore. Questi ha, invero, predisposto rigidi e sequenziali schemi, subordinati l’uno all’altro secondo un rapporto di regola ad eccezione: in siffatto contesto, appare evidente che la conformità dell’atto al modello ordinario resta giustificata dalla semplice allegazione dei presupposti indicati nella fattispecie normativa (annullamento della concessione – vizio sostanziale). Viceversa, solo in presenza di circostanze peculiari ed eccezionali, idonee ad accreditare l’oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, sarà possibile accedere alla misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza giustificare la deroga alla soluzione di "tutela reale" privilegiata dal legislatore mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate"; e, proprio perché non sarebbero emerse, né sarebbero state rappresentate dall’interessata ragioni particolari che denotassero l’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi e giustificassero in termini risolutivi l’irrogazione della sanzione pecuniaria in alternativa a quella reale, l’Amministrazione Comunale ha pertanto concluso nel senso di confermare la già disposta ordinanza di demolizione n. 26 del 29 maggio 2009.

1.4.3. M. 3, a sua volta, ha dedotto nei riguardi della sopra illustrata determinazione dirigenziale n. 2046 del 2009 le censure qui appresso descritte.

A) Violazione di legge dell’art. 36 T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001; cccesso di potere per arbitrarietà, sviamento e perplessità.

Secondo M. 3 il Comune di Caserta avrebbe illegittimamente adottato "uno actu" più provvedimenti tra loro distinti, ossia un diniego di sanatoria edilizia, un diniego di autorizzazione commerciale e la caducazione del titolo commerciale tacitamente formatosi, contaminandone le rispettive funzioni tipiche.

B) Violazione dell’art. 36 T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 sotto altro profilo; violazione del principio generale "tempus regit actum"; violazione dello strumento di intervento per l’apparato distributivo (SIAD) del Comune di Caserta, con particolare riferimento al capo IV, artt. 11 e 16, e al capo V delle sue norme di attuazione; violazione del capo VI, art. 20, delle medesime norme di attuazione del SIAD.

Sempre secondo M. 3, in violazione della regola della "sanatoria giurisprudenziale", nonché del principio di conservazione dei valori giuridici ed economicosociali ex art. 97 Cost., cui essa è sottesa, il richiesto accertamento di conformità sarebbe stato declinato dall’Amministrazione Comunale: e ciò, nonostante la rispondenza dell’insediamento commerciale controverso rispetto alla disciplina dettata, successivamente alla sua realizzazione, dal SIAD, quale strumento di programmazione urbanistica, oltreché commerciale.

C) Violazione dell’art. 30 T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere (difetto di istruttoria).

Ad avviso di M. 3 il contestato diniego di sanatoria sarebbe stato illegittimamente pronunciato senza la previa acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale.

D) Violazione dell’art. 6 del D.L.vo 114 del 1998 e della L.R. 1 del 2000; violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 20 delle norme di attuazione del SIAD e della sua relazione illustrativa..

Secondo M. 3, il Comune di Caserta, nel rigettare la domanda di accertamento di conformità Prot. n. 54549 dd. 28 maggio 2009 non avrebbe tenuto conto che l’art. 20, comma 1, delle norme di attuazione del SIAD consente, quale strumento di programmazione urbanistica integrativo del piano regolatore generale, oltrechè quale strumento di programmazione commerciale, la localizzazione nella zona F3, occupata dallo stabilimento in proprietà della I., di grandi strutture di vendita appartenenti alla tipologia GACP, nella quale rientrerebbe anche lo stabilimento medesimo..

E) Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 della L. 241 del 1990 in relazione all’art. 8 del D.L.vo 114 del 1998 e alla L.R. 1 del 2000; violazione del giusto procedimento; incompetenza; violazione dell’art. 21 nonies della lL. 241 del 1990; eccesso di potere per inesistenza del presupposto, illogicità e sviamento.

Secondo la tesi di M. 3, il provvedimento impugnato avrebbe illegittimamente annullato in autotutela il silenzio assenso formatosi sull’istanza di autorizzazione commerciale all’apertura di una grande struttura di vendita rientrante nella categoria GACP, presentata dalla I. nell’ottobre 2003 allo Sportello unico per le attività produttive del Comune di Caserta; e ciò, in quanto esso sarebbe stato adottato:

1) da organo incompetente, ossia dai dirigenti coordinatori delle Aree generali di coordinamento tecnico e amministrativo,e non dal dirigente dello Sportello unico per le attività produttive;

2) in violazione del principio del contrarius actus, ossia senza l’acquisizione del parere della Conferenza di servizi di cui all’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998 e dell’art. 11 della L.R. 1 del 2000, già peraltro espressasi in senso favorevole il 26 gennaio 2004 sulla predetta istanza;

3) nonostante l’asserita completezza e regolarità della Confernza medesima, in rapporto all’art. 7, comma 4, della L.R. 1 del 2000 dell’art. 6 delle norme di attuazione del SIAD, e – quindi – in difetto del presupposto.

F) Violazione dell’art. 21 nonies della L. 241 del 1990; violazione del giusto procedimento; ulteriore eccesso di potere per difetto del presupposto.

M. 3 reputa che la conformità al disposto dell’art. 20, comma 1, delle norme di attuazione del SIAD circa la localizzazione di grandi strutture di vendita appartenenti alla tipologia GACP entro la zona F3 eliderebbe l’illegittimità dell’annullato silenzioassenso sull’istanza di autorizzazione commerciale presentata nell’ottobre 2003 da I., ossia – per l’appunto – un presupposto necessario ai fini dell’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21 nonies della L. 241 del 1990.

G) Ulteriore violazione dell’art. 21 nonies della L. 241 del 1990; ulteriore eccesso di potere per difetto del presupposto, illogicità e sviamento.

Secondo M. 3, il pubblico interesse giustificativo dell’annullamento d’ufficio del menzionato silenzioassenso sarebbe stato erroneamente e illogicamente ravvisato nell’esigenza del rispetto delle prescrizioni urbanistiche di zona e dell’equilibrata distribuzione territoriale e commerciale dell’area, ma senza considerare che, allo stato, gli artt. 9, comma 1, 11, comma 1, 15, comma 1, e 20, comma 1, delle norme di attuazione del SIAD ammettono la localizzazione di piccole, medie e grandi (GACP) strutture di vendita in zona F3;

H) Ancora violazione dell’art. 21 nonies della L. 241 del 1990; violazione dei principi generali in tema di autotutela; ulteriore eccesso di potere per difetto del presupposto, illogicità e sviamento.

M. 3 reputa che nel vagliare il presupposto di interesse pubblico del divisato annullamento d’ufficio del silenzioassenso sull’istanza di autorizzazione commerciale dell’ottobre 2003 presentata da I., l’Amministrazione Comunale avrebbe erroneamente e illogicamente escluso l’affidamento incolpevole che – pure – sarebbe stato ingenerato in I., dapprima dall’emissione dei titoli abilitativi edilizi (poi peraltro annullati in sede giurisdizionale), quindi dalla possibilità di condono ex art. 32, comma 25 e ss., del D.L. 269 del 2003 convertito con modificazioni in L. 326 del 2003 e – infine – dalla sopravvenuta conformità urbanistica alle disposizioni dettate dal SIAD.

L’Amministrazione Comunale, inoltre, in sostanziale sviamento di potere avrebbe privilegiato, rispetto all’interesse della ricorrente, quello confliggente di altri privati, titolari di esercizi commerciali concorrenti.

I) Sempre violazione della L. 241 del 1990; ulteriore eccesso di potere per difetto dei presupposti, illogicità e sviamento.

M. 3 sostiene che, a dispetto di quanto ritenuto dal Comune di Caserta, il ragionevole affidamento riposto da I. circa la formazione del silenzioassenso sull’istanza di autorizzazione commerciale dell’ottobre 2003 avrebbe trovato fondamento nel considerevole arco temporale intercorso dopo il parere favorevole della Conferenza di servizi del 26 gennaio 2004: e ciò senza che l’intervenuta formazione medesima potesse risultare in qualche modo menomata da pronunce giurisdizionali emesse già prima della presentazione della predetta istanza e, comunque, relative a profili urbanisticoedilizi asseritamente inconferenti.

L) Ulteriore violazione del D.L:vo 114 del 1998 in relazione alla L.R. 1 del 2000; ulteriore eccesso di potere per arbitrarietà, sviamento e perplessità.

Secondo M. 3 l’autorizzazione all’apertura del centro commerciale I. non richiederebbe, quale proprio indefettibile antecedente giuridicofattuale, il preventivo rilascio del titolo abilitativo edilizio alla costruzione del medesimo centro commerciale, come – viceversa – assunto dall’Amministrazione Comunale..

M) Violazione dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 e del principio del giusto procedimento.

Ad avviso di M. 3 il Comune di Caserta non avrebbe rispettato nella specie le garanzie partecipative di cui all’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990, avendo omesso di comunicare alle parti interessate l’avvio del procedimento in autotutela avente ad oggetto il silenzioassenso formatosi sull’istanza di autorizzazione commerciale presentata nell’ottobre del 2003 da I..

N) Violazione dell’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001; ulteriore eccesso di potere per insussistenza dei presupposti e sviamento.

Secondo la tesi di M. 3, in violazione dell’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 l’Amministrazione Comunale non avrebbe valutato la sussistenza degli estremi dell’applicabilità della sanzione pecuniaria in alternativa a quella demolitoria: estremi asseritamente rappresentati dalla mera circostanza dell’impossibilità materiale di ripristinare lo stato dei luoghi, e ciò a prescindere dalla natura formale o sostanziale dei vizi inficianti i titoli abilitativi edilizi annullati in sede giurisdizionale.

O) Ulteriore violazione di legge dell’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001; ulteriore eccesso di potere per inesistenza dei presupposti e sviamento.

Secondo M. 3 risulterebbe illegittimo l’atto confermativo della sanzione demolitoria, posto che, a seguito della proposizione dell’istanza di sanatoria, la relativa istruttoria avrebbe dovuto essere rinnovata in toto.

1.4.4. Si è costituito anche in tale ulteriore procedimento giudiziale il Comune di Caserta, eccependo l’incompetenza territoriale dell’adita Sezione Staccata di Salerno in favore della Sede di Napoli del T.A.R. per la Campania, nonché l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

1.4.5. Con atto notificato il 24 ottobre 2009 e depositato il 28 ottobre 2009, I. ha dispiegato intervento ad adiuvandum,

1.4.6. Il Presidente del T.A.R. per la Campania si è pronunciato con decreto n. 42 del 22 dicembre 2009 emesso à sensi dell’allora vigente art. 32 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 sull’eccepita incompetenza territoriale, disponendo, vista anche l’adesione della parte ricorrente, la trasmissione degli atti di causa alla Sede di Napoli.

1.5.1. La predetta determinazione del 28 agosto 2009 n. 2046, adottata da dirigenti coordinatori delle Aree generali di coordinamento tecnico e amministrativo del Comune di Caserta è stata – altresì – impugnata da I. sub R.G. 5683 del 2009 innanzi alla Sede di Napoli del T.A.R. per la Campania.

1.5.2. I. ha formulato al riguardo le seguenti censure, sostanzialmente omologhe a quelle già proposte da M. 3 sub R.G. 7377 del 2009.

1.5.3. Anche in questo ulteriore procedimento giudiziale si è costituito il Comune di Caserta, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.5.4. Il Comitato di quartiere Parco Cerasole – Centurano e Parco degli Aranci, nonché la MerKogel S.r.l. hanno dispiegato intervento ad opponendum, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso proposto da I..

1.6.1. Alla pubblica udienza del 16 giugno 2010 i tre ricorsi sono stati trattenuti per il giudizio dal giudice di primo grado.

1.6.2. Con sentenza n. n. 17398 dd. 10 settembre 2010 la Sezione VIII^ del T.A.R. per la Campania, previa riunione dei tre ricorsi, ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto sub R.G. 3984 del 2009 da I. e ha respinto il ricorso proposto sub R.G. 7377 del 2009 da M. 3 e il ricorso proposto sub R.G. 5683 del 2009 proposto da I., compensando integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari del giudizio.

2.1. A questo punto, avverso tale pronuncia ha proposto appello sub R.G. 8675 del 2010 innanzi a questo giudice I., complessivamente riproponendo per ampia parte le tesi già da essa esposte innanzi al giudice di primo grado e riferendole alla sentenza impugnata attraverso i seguenti motivi:

1) Error in iudicando in relazione all’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998, dell’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998 e dell’art. 11 della L.R. 1 del 2000.

2) Error in iudicando in relazione all’art. 9, comma 25, del D.L.vo 114 del 1998, all’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998, all’art. 11 della L.R. 1 del 2000 e dell’art. 14 della L. 241 del 1990, nonché violazione degli artt. 21octies e 21nonies della L. 241 del 1990, violazione del giusto procedimento e incompetenza.

3) Error in iudicando in relazione all’art. 21 nonies della L. 241 del 1990, all’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998, all’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998 e all’art. 11 della L.R. 1 del 2000.

4) Error in iudicando per violazione degli artt. 7 e 10bis della L. 241 del 1990.

5) Error in iudicando in relazione all’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 e all’art. 2909 c.c.

6) Error in iudicando in relazione all’art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 14 della L.R. 1 del 2000, violazione dell’art. 2909 c.c., violazione degli artt. 3, 97 e 11 Cost., violazione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e razionalità; illegittimità derivata.

2.2. Si è costituito in giudizio l’appellato Comune di Caserta, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione del ricorso.

2.3. Si è parimenti costituito in giudizio l’appellato Comitato di Quartiere Parco CerasoleCenturano e Parco degli Aranci, parimenti concludendo per la reiezione del ricorso.

3.1. Anche M. 3 ha, a sua volta, proposto sub R.G. 8676 del 2010 innanzi a questo giudice appello avverso la sentenza di primo grado, complessivamente anch’essa riproponendo per ampia parte le tesi già esposte innanzi al giudice di primo grado e riferendole alla sentenza impugnata attraverso i seguenti motivi:

1) Error in iudicando per violazione dell’art. 9 del D.L:vo 114 del 1998 in relazione all’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998 e agli artt. 11, 13 e 14, comma 4, della L.R. 1 del 2000.

2) Error in iudicando in relazione all’art. 9, comma 25, del D.L.vo 114 del 1998, all’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998 e all’art. 14 della L. 241 del 1990, violazione degli artt. 21octies e 21nonies della L. 241 del 1990, violazione del giusto procedimento e incompetenza.

3) Error in iudicando in relazione all’art. 21 nonies della L. 241 del 1990, all’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998, all’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998 e all’art. 11 della L.R. 1 del 2000.

4) Error in iudicando in relazione all’art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 14 della L.R. 1 del 2000, violazione dell’art. 2909 c.c., violazione degli artt. 3, 97 e 11 Cost., violazione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e razionalità; illegittimità derivata.

5) Error in iudicando in relazione all’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 e all’art. 2909 c.c.

6) Error in iudicando in relazione all’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 e all’art. 2909 c.c. sotto ulteriore profilo.

3.2. In tale ulteriore procedimento di appello si è pure costituito il Comune di Caserta, parimenti replicando con puntualità alle censure avversarie e concludendo per la reiezione del ricorso.

4. Con ordinanza n. 17 dd. 11 gennaio 2011 la Sezione ha disposto per entrambi i procedimenti la sospensione cautelare della sentenza impugnata, "con ordine al Comune di astenersi… da qualsiasi ulteriore atto o provvedimento esecutivo della sentenza impugnata,… ritenuto che, alla luce degli atti posti in essere dal Comune,m sussiste il pericolo – malgrado l’imminenza dell’udienza di merito… – dell’inverarsi di gravi pregiudizi per le parti appellanti".

5. Alla pubblica udienza del 10 maggio 2011 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti per la decisione.

Motivi della decisione

*1.. Il Collegio, preliminarmente, dispone la riunione dei due ricorsi in epigrafe – comunque, già di fatto avvenuta in sede di esame delle domande cautelari di sospensione della sentenza impugnata, rispettivamente avanzate dalle due parti ricorrenti – à sensi di quanto disposto dall’art. 96, comma 1, cod. proc. amm.

2..1. Tutto ciò premesso, gli appelli vanno accolti avuto riguardo, in via del tutto assorbente, ai primi due motivi del ricorso proposto sub R.G. 8675 del 2006 e all’omologo primo motivo di ricorso proposto sub R.G. 8676 del 2010.

2. 2. Premesso che non risulta contestata dalle parti la statuizione del giudice di primo grado con la quale è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione il ricorso ivi proposto da I. sub R.G. 3984 del 2009 avverso l’ingiunzione a demolire n. 26 del 29 maggio 2009 emessa dal Dirigente coordinatore dell’Area generale di Coordinamento tecnico del Comune di Caserta, risulta ben evidente che l’interesse delle appellanti e delle parti appellate si identifica sulla sola sorte della determinazione del 28 agosto 2009 n. 2046, provvedimento invero complesso nel suo contenuto, integralmente e comunemente impugnato da I. e da M. 3 in primo grado e con il quale i Dirigenti coordinatori delle Aree generali di coordinamento tecnico e amministrativo del Comune di Caserta hanno:

a) rigettato la menzionata domanda di accertamento di conformità e di autorizzazione all’apertura di un centro commerciale appartenente alla tipologia GACP presentata dalla I. il 28 maggio 2009 (Prot. n. 54549);

b) confermato l’ordinanza di demolizione n. 26 del 29 maggio 2009 (Prot. n. 54710) ingiungendo a I. di demolire le opere eseguite in forza delle annullate concessioni edilizie n. 101 del 22 luglio 1997, n. 162 del 30 agosto 2000 e n. 71 del 28 marzo 2001;

c) annullato il silenzio assenso formatosi sull’istanza di autorizzazione commerciale presentata da I. nell’ottobre 2003 concernente la struttura GACP abusivamente edificata.

2. 3.. Giova a tale ultimo proposito rimarcare che il procedimento relativo all’istanza di autorizzazione commerciale presentata da I. nell’ottobre 2003 non risulta aver avuto ulteriore corso, e ciò pur dopo che la Conferenza di Servizi tenutasi il 26 gennaio 2004 à sensi dell’art. 11, commi 4 e 5, della L.R. 1 del 2000 aveva espresso in merito parere favorevole.

I., sempre a tale proposito, con atto notificato il 26 settembre 2006 ha invitato il Comune di Caserta a rilasciare la richiesta autorizzazione sulla scorta di tale parere favorevole, sebbene – a suo dire – si fosse già formato sul punto il silenzioassenso di cui all’art. 9, comma 5, del D.L.vo 114 del 1998 e all’art. 11, comma 6, della L.R. 1 del 2000.

2. 4. Va pure rimarcato che nella determinazione n. 2046 del 28 agosto 2009 adottata congiuntamente dai Dirigenti coordinatori delle Aree generali di coordinamento tecnico e amministrativo del Comune di Caserta si legge, a tale riguardo, che "l’attenta lettura delle disposizioni di legge contenute sia nel D.L.vo 114 del 1998 che nella L.R. 1 del 2000 rende evidente come – alla data di presentazione della richiesta di autorizzazione commerciale (cui, ovviamente ed esclusivamente, si riferisce la normativa statale e regionale sopra citata) – difettasse uno dei presupposti essenziali previsti dalla legge per la presentazione e per la positiva valutazione della istanza stessa", posto che l’art. 5, comma l, lett. a) della medesima L.R. 1 del 2000 espressamente prevede che "il rilascio dell’autorizzazione per le grandi strutture di vendita, di cui all’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998, secondo i procedimenti di cui all’art. 14 della presente legge, è subordinato al rispetto delle seguenti condizioni:… l’osservanza delle disposizioni in materia urbanistica fissate dal Comune e dalla Regione" il dettato normativo, sia a livello nazionale che regionale" impone, cioè, "alle amministrazioni di verificare il rispetto delle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, che deve sussistere sin dall’inizio o a seguito di ottenimento di un titolo edilizio in sanatoria, anche in sede di rilascio delle autorizzazioni commerciali".

Da ciò discenderebbe, quindi, che in considerazione dell’enucleato principio della contestualità fra l’emissione del titolo abilitativo edilizio e l’emissione di quello abilitativo commerciale, la mancanza del primo era stata, dunque, considerata dall’Amministrazione Comunale "elemento assolutamente ostativo al rilascio (sia pure anche per silentium)" del secondo: ossia "condizione assolutamente ostativa al rilascio della autorizzazione commerciale (e solo di quella, attesoche la normativa suddetta non ha alcun rilievo ai fini della valutazione di carattere urbanistico)" era stata ravvisata nella "non conformità urbanistica alla data di presentazione della istanza di autorizzazione commerciale".

Pertanto, l’Amministrazione Comunale ha tenuto conto che "una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 è stata presentata per la prima volta solo in data 28 maggio 2009", e ha concluso nel senso che, "alla data di valutazione della istanza di autorizzazione commerciale, mancando la conformità urbanistica (in considerazione delle svariate sentenze dei giudici amministrativi di primo e secondo grado pronunciatesi tra le parti e/o, comunque, in relazione alle complesse vicende, anche commerciali, dell’Iperion) era del tutto impossibile pervenire a una positiva valutazione della richiesta autorizzazione commerciale".

In forza di tutto ciò, quindi, l’Amministrazione Comunale ha reputato che l’ipotesi in cui si sia idoneamente formato il silenzioassenso sulla domanda di autorizzazione commerciale presentata nell’ottobre 2003 da I. andrebbe "recisamente" esclusa.

Nondimeno, la medesima Amministrazione Comunale ha reputato comunque sussistenti nella specie le condizioni contemplate dall’art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990 n. 241 come introdotto dall’art. 14, comma 1, della L. 11 febbraio 2005 n. 15 per disporne l’annullamento d’ufficio.

2. 4.. Il giudice di primo grado, a sua volta, ha nettamente aderito alle tesi suesposte.

A questo riguardo merita di essere richiamata la diffusissima argomentazione, non priva astrattamente di suggestione, espressa nella sentenza impugnata dal punto 11.1 della motivazione fino al punto 12.4

Ad avviso del Collegio tali pur dettagliate argomentazioni del giudice di primo grado risultano all’evidenza recessive rispetto alle seguenti considerazioni, tratte dall’immediato dato letterale promamante – innanzitutto – dal combinato disposto dell’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998 e dell’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998 e – quindi – degli artt. 11, 13 e 14 della L.R. della Campania n.1 del 2000.

Come è ben noto, l’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998 reca la disciplinaquadro del procedimento amministrativo in materia di autorizzazione all’insediamento di attività produttive, espressamente definito come "unico": ossia comprensivo sia del profilo commerciale, sia del profilo urbanisticoedilizio.

La relativa "istruttoria ha per oggetto in particolare i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza", con " possibilità del ricorso da parte del Comune, nella qualità di amministrazione procedente, ove non sia esercitata la facoltà di cui alla lettera c) (ossia dell’autocerticazione da parte del richiedente) alla Conferenza di servizi, le cui determinazioni sostituiscono il provvedimento ai sensi dell’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla legge 15 maggio 1997, n. 127" (cfr. lett. f dell’art. 25 cit.), ovvero di "possibilità del ricorso alla Conferenza di Servizi quando il progetto contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico; in tal caso, ove la conferenza di servizi registri un accordo sulla variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni avanzate in conferenza di servizi nonché delle osservazioni e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della L. 17 agosto 1942 n. 1150" (cfr. ibidem, lett. g, con la precisazione che la Corte Costituzionale, con sentenza 26 giugno 2001 n. 206, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale lettera dell’art. 25 cit. nella parte in cui prevede che, ove la Conferenza di Servizi registri un accordo sulla variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale, anche quando vi sia il dissenso della Regione).

A sua volta, l’art 9 del D.L.vo 114 del 1998 reca la disciplinaquadro, speciale rispetto a quella testè descritta, per l’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie delle grandi strutture di vendita.

Al comma 1 di tale articolo si precisa che tali attività sono assoggettate "ad autorizzazione rilasciata dal Comune competente per territorio".

Nella relativa "domanda l’interessato dichiara: a) di essere in possesso dei requisiti (soggettivi) di cui all’articolo 5" del medesimo D.L.vo 114 (ora, peraltro, medio tempore sostituiti con quelli di cui all’art.71, comma 3, del D.L.vo 26 marzo 2010 n. 59.); b) il settore o i settori merceologici, l’ubicazione e la superficie di vendita dell’esercizio; c) le eventuali comunicazioni di cui all’articolo 10, commi 2 e 3" del D.L.vo 114 predetto (e, cioè, inerenti le priorità derivanti dalla concentrazione di preesistenti medie o grandi strutture e l’assunzione dell’impegno di reimpiego del personale dipendente).

Il comma 3 del medesimo art. 9 del D.L.vo 114 del 1998 dispone, quindi, che "la domanda di rilascio dell’autorizzazione è esaminata da una Conferenza di Servizi indetta dal Comune, salvo quanto diversamente stabilito nelle disposizioni di cui al comma 5, entro sessanta giorni dal ricevimento, composta da tre membri, rappresentanti rispettivamente la Regione, la Provincia e il Comune medesimo, che decide in base alla conformità dell’insediamento ai criteri di programmazione di cui all’articolo 6" dello stesso D.L.vo, con la precisazione che "le deliberazioni della Conferenza sono adottate a maggioranza dei componenti entro novanta giorni dalla convocazione" e che "il rilascio dell’autorizzazione è subordinato al parere favorevole del rappresentante della Regione".

Il comma 5 testè richiamato dispone quindi che "la Regione adotta le norme sul procedimento concernente le domande relative alle grandi strutture di vendita; stabilisce il termine comunque non superiore a centoventi giorni dalla data di convocazione della conferenza di servizi di cui al comma 3 entro il quale le domande devono ritenersi accolte qualora non venga comunicato il provvedimento di diniego, nonchè tutte le altre norme atte ad assicurare trasparenza e snellezza dell’azione amministrativa e la partecipazione al procedimento ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modifiche".

Giova sin d’ora rimarcare che la "specialità" della disciplina contenuta nell’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998 rispetto a quella dell’art. 25 del D.L.vo 112 del 1998 fa sì che la Conferenza di Servizi di cui all’art. 9 medesimo si configura, comunque, come modulo procedimentale obbligato per tutte le ipotesi di apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie delle grandi strutture di vendita, ferma in ogni caso restando l’ "unicità" del procedimento medesimo.

Tale Conferenza di Servizi è, invero, indetta dal Comune, ma il rappresentante della Regione assume in essa un ruolo del tutto preminente, posto che il rilascio dell’autorizzazione è comunque subordinato al suo voto favorevole.

La Regione, inoltre, è tenuta a disciplinare con proprie norme il procedimento per l’esame delle domande, fermo restando il principio della fissazione di un termine entro il quale le domande devono ritenersi accolte qualora non venga comunicato il provvedimento di diniego, e fermo – altresì – restando l’anzidetto principio generale di cui all’art. 25, lett. f), del D.L.vo 112 del 1998, secondo il quale "le determinazioni" della Conferenza di Servizi "sostituiscono il provvedimento ai sensi dell’art. 14 della L. 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla L. 15 maggio 1997 n. 127": dal che si ricava, quindi, che la legislazione statale di principio configura anche la Conferenza di Servizi di cui all’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998 quale conferenza decisoria.

La L.R. 7 gennaio 2000 n. 1, intitolata "Direttive regionali in materia di distribuzione commerciale, norme do attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114" ha attuato nell’ambito della Regione Campania la sin qui descritta disciplina di principio.

In tal senso, l’art. 13 della legge regionale, nel disciplinare le procedure per il rilascio dell’autorizzazione, per grandi strutture di vendita, ha così normato il conseguente procedimento:

1) le domande di apertura delle grandi strutture di vendita sono inoltrate al Comune competente, corredate dalla documentazione necessaria per la valutazione, conformemente a quanto predisposto dalla Giunta Regionale nell’allegato B alla legge regionale medesima;

2) il Comune, d’intesa con la Regione e la Provincia, indice la Conferenza dei Servizi contemplata dall’art. 9 del D.L.vo 114 del 1998, fissandone lo svolgimento non oltre 60 giorni decorrenti dall’invio alla Regione della documentazione a corredo dell’istanza;

3) dopo il decorso di 120 giorni dalla data di convocazione della Conferenza dei Servizi senza che ne sia stato comunicato l’esito, le domande si intendono accolte se contenenti tutte le indicazioni previste e siano state debitamente corredate dal richiedente di tutti gli allegati previsti.

In forza dell’art. 14 della stessa legge regionale, "il rilascio di una concessione edilizia, anche in sanatoria, è contestuale al rilascio dell’autorizzazione commerciale, se prevista".

A ragione le appellanti affermano che i dati normativi testè riportati sono "eloquenti", posto che la domanda di rilascio dell’autorizzazione, corredata dalla prescritta documentazione, va presentata al Comune nel cui territorio la struttura dovrebbe operare, e che la decisione finale è assunta da un’apposita Conferenza di Servizi, indetta al riguardo dal Comune procedente e composta dai rappresentanti dello stesso Comune, della Provincia e della Regione.

Tale Conferenza di Servizi ha carattere decisorio ed il provvedimento conclusivo natura polistrutturata, con la conseguenza che l’Amministrazione Comunale, in adempimento della decisione eventualmente favorevole della Conferenza stessa non può che rilasciare, quale atto dovuto, il titolo edilizio – "anche in sanatoria", come espressamente previsto dalla stessa legge regionale – in via contestuale al rilascio del titolo commerciale.

Come detto innanzi, l’art. 13 della regionale prevede – altresì, e segnatamente al suo sesto comma – che dopo il decorso di 120 giorni dalla presentazione della domanda da parte dell’interessato intervenga la formazione per silenzioassenso di un provvedimento di accoglimento della domanda stessa, se corredata da tutti i documenti al riguardo necessari, ex se abilitativo sia sotto il profilo urbanisticoedilizio, sia sotto il profilo commerciale.

Ciò posto, risulta del tutto assodato che I. ha nella specie presentato al Comune la domanda di autorizzazione per il Centro Commerciale di tipo GACP dopo la sopravvenuta approvazione del SIAD, che ne ha recepito la localizzazione.

Tale domanda risulta corredata della documentazione di cui al predetto allegato B, sulla cui completezza non è stata mai sollevata eccezione alcuna, men che meno in sede giudiziale.

Il Comune ha conseguentemente indetto l’apposita Conferenza dei Servizi, cui hanno preso parte i rappresentanti del Comune medesimo, della Provincia e della Regione, come per l’appunto previsto dalla legislazione statale e regionale.

La Conferenza di Servizi ha acclarato sia la completezza della domanda di I., sia la conformità della struttura ai parametri propri della legge regionale e alle previsioni del SIAD di Caserta; né, soprattutto, va sottaciuta la circostanza che nella medesima sede di Conferenza l’Ing. Iovino, ossia il Dirigente del Settore Attività Produttive del Comune di Caserta, in particolare, si è testualmente espresso nel senso che, per quanto riguarda "i problemi urbanistici", è sua convizione "che tutto sia stato superato dall’approvazione del SIAD e, pertanto, eventuali dubbi sulla compatibilitàurbanistica non vi sono e non si rilevano, come tra l’altro, riportato nella relazione presentata".

In conseguenza di ciò, quindi, nella propria seduta del 26 gennaio 2004 la Conferenza dei Servizi, con il voto favorevole dei rappresentanti della Regione e del Comune e con l’astensione della Provincia ha accertato la conformità urbanistica e commerciale dell’istanza di I. e ha rimesso il relativo verbale al Comune di Caserta ai fini del dovuto rilascio à sensi dell’art. 14 della L.R. 1 del 2000 delle autorizzazioni previste dall’art. 4 e ss. della legge regionale medesma, fermo restando che, in ogni caso, dopo il decorso del predetto termine di 120 giorni dalla presentazione della domanda si deve ritenere formato al riguardo il silenzio – assenso.

Detto altrimenti, il provvedimento finale della Conferenza di Servizi, avente – come detto – natura decisoria e polistrutturata, va imputato a tutte le Amministrazioni (Comune, Provincia e Regione) che compongono la Conferenza medesima e si configura come elemento vincolante per il materiale rilascio del titolo edilizio ed annonario, ossia di atti meramente riproduttivi del suo contenuto e che sono comunque garantiti nella loro effettività dalla dianzi illustrata clausola generale del silenzioassenso di cui all’art. 13, comma 6, della stessa L.R. 1 del 2000.

Né l’Amministrazione Comunale era titolata a "depotenziare" la Conferenza dei Servizi sottraendosi al dovuto rilascio del titolo edilizio e del titolo commerciale attraverso una materiale inversione dell’ordine del procedimento così come delineato dalla legge statale e regionale, ossia anteponendo l’accertamento di conformità dei locali alla attivazione della Conferenza dei Servizi, per negare poi in via del tutto arbitraria la formazione del silenzioassenso e pretermettendo il contenuto del provvedimento autorizzatorio assunto a maggioranza dalla Conferenza medesima nella seduta del 26 gennaio 2004.

Né, soprattutto, il provvedimento "complesso" adottato congiuntamente con determinazione del 28 agosto 2009 n. 2046 dai Dirigenti coordinatori delle Aree generali di coordinamento tecnico e amministrativo del Comune di Caserta poteva e può configurarsi quale idonea sede per rimuovere in via di autotutela sia il silenzioassenso formatosi sulla domanda di I. per quanto segnatamente attiene al materiale rilascio dei titoli urbanisticoedilizio e commerciale, sia – soprattutto – della stessa e presupposta deliberazione della Conferenza di Servizi del 26 gennaio 2004 che rendeva (e rende) il rilascio del titoli predetti un atto strettamente dovuto.

E’ evidente, infatti, che per il principio del contrarius actus soltanto la Conferenza di Servizi sarebbe titolata, al caso, ad intervenire in sede di autotutela, non potendo per certo i singoli dirigenti comunali apoditticamente sindacare la legittimità della decisione da essa assunta: e se, dunque, l’Amministrazione Comunale intendeva far ciò, altro non poteva che chiedere alla Conferenza di ripronunciarsi, oppure impugnare in sede giudiziale o straordinaria l’esito di cui al predetto verbale del 26 gennaio 2004.

In relazione a tutto ciò, quindi, la determinazione del 28 agosto 2009 n. 2046 adotta dai Dirigenti coordinatori delle Aree generali di coordinamento tecnico e amministrativo del Comune di Caserta e impugnata in primo grado dalle ricorrenti va integralmente annullata in dipendenza della circostanza che idoneamente vigono a favore di I., e conseguentemente anche di M. 3, le autorizzazioni urbanisticoedilizie e commerciali discendenti dal provvedimento favorevole al loro rilascio adottato dalla Conferenza di Servizi nella sua seduta del 26 gennaio 2004, e che la predetta determinazione n. 2046 del 2009 non era a sua volta competente a rimuovere in via di autotutela.

3.. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati tra tutte le parti per entrambi i gradi di giudizio, stante la complessità delle questioni trattate.

Peraltro, il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.L.vo 30 maggio 2002 n. 115 va posto per entrambi i gradi di giudizio solidalmente a carico del Comune di Caserta e del Comitato di Quartiere Parco CerasoleCenturano e Parco degli Aranci.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti e previa loro riunione, li accoglie e, per l’effetto, accoglie i ricorsi proposti in primo grado annullando la determinazione del 28 agosto 2009 n. 2046 adotta dai Dirigenti coordinatori delle Aree generali di coordinamento tecnico e amministrativo del Comune di Caserta e i suoi atti presupposti e conseguenti.

Compensa integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio.

Pone per entrambi i gradi di giudizio solidalmente a carico del Comune di Caserta e del Comitato di Quartiere Parco CerasoleCenturano e Parco degli Aranci il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.L.vo 30 maggio 2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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