Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-12-2011, n. 26595 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel marzo 2002 erano state notificate a Z.L., erede di Z.P. due cartelle di pagamento, l’una per contributi Inps pari ad Euro 30.966,62 e l’altra per contributi Inail pari ad Euro 2.354,41, aventi origine dal verbale ispettivo da cui era emerso che, per il periodo dal 15.3.89 fino a tutto il 1992, la impresa edile artigiana di Z.P. aveva omesso di versarla contribuzione sulla indennità sostitutiva del pasto caldo. La opposizione avverso dette due cartelle proposta da S.L., veniva rigettata dal primo giudice e la statuizione veniva riformata dalla Corte d’appello di Trieste che, con la sentenza impugnata, nel contraddittorio con Inps ed Inail la accoglieva. Per quanto ancora interessa in questa sede, i Giudici d’appello, premesso che oggetto della causa era la sottoposizione a contribuzione dell’indennità sostitutiva del pasto caldo prevista dall’art. 3 del contratto integrativo provinciale del 22.2.78 per le imprese edili artigiane, cui la ditta Zanier non aderiva, escludeva che la pretesa degli enti previdenziali potesse essere fondata sulla L. n. 389 del 1989, art. 1, comma 1 il quale detta la regola del minimale contributivo, perchè questa vale solo per il contratto collettivo nazionale del settore e non già per i contratti di diverso livello, come appunto quello provinciale.

Avverso detta sentenza l’Inps ricorre con un motivo.

Resiste Z.L. con controricorso, mentre sia l’Inail sia la Sfet, Società Friulana di Esazione Tributi spa sono rimasti intimati.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo, denunziando violazione della L. n. 153 del 1969, art. 12 e del D.L. n. 338 del 1989, art. 1 convertito in L. n. 389 del 1989, lamenta che sia stata violata la regola del c.d. "minimale contributivo", nonchè la regola della "onnicomprensività della retribuzione contributiva".

Il ricorso non è fondato.

1. Per determinare la misura dei contributi dovuti dal datore di lavoro obbligato, vigono essenzialmente due diverse regole: quelle sull’imponibile previdenziale e quelle sul ed. "minimale". Si è precisato in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 22921 del 07/12/2004), che le disposizioni sull’imponibile previdenziale ( L. n. 153 del 1969, art. 12) e quelle sul minimale ( D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389) operano su piani diversi e richiedono operazioni distinte: a) con la prima si determina quali voci della retribuzione erogata o spettante devono essere sottoposte a contribuzione, quali cioè entrano nella base imponibile a cui si applica l’aliquota di legge e quali invece ne sono esenti, al fine di determinare la misura della contribuzione; b) con le disposizioni sul cosiddetto minimale si prescrive invece che – qualunque sia la retribuzione erogata o dovuta al lavoratore – la retribuzione valida ai fini contributivi, ossia l’imponibile su cui applicare l’aliquota di pertinenza, non può essere inferiore ad un certo ammontare, che la legge determina richiamando la contrattazione collettiva nazionale. In altri termini, in relazione a quest’ultima regola (vedi per tutte Cass. sezioni unite n. 11199 del 29/07/2002), l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore a quello che, ai lavoratori del settore, sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. "minimale contributivo"), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 (convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389).

2. Ancora per quanto riguarda il "minimale"si è osservato che particolarmente complesso si rivela l’onere a carico dell’istituto previdenziale allorquando pretenda il pagamento delle differenze assumendo che il datore abbia versato i contributi sulla base di retribuzioni inferiori ad esso.

In tal caso, infatti, è onere dell’Inps dimostrare l’esistenza e la misura del minimale, dimostrare cioè l’esistenza, nel corrispondente settore produttivo, di un contratto collettivo nazionale stipulato dai sindacati maggiormente rappresentativi, il quale determini la retribuzione spettante in misura superiore a quella sulla base della quale il datore ha versato i contributi.

Ne consegue che il medesimo istituto previdenziale dovrà anche dimostrare la maggiore rappresentatività su base nazionale delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo, sulle cui retribuzioni pretende di commisurare i contributi previdenziali (in tal senso Cass. n. 4074 del 23/04/1999).

Si è precisato ancora (Cass. n. 18761 del 26/09/2005) che, alla stregua del citato D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 convertito, con modificazioni, in L. 7 dicembre 1989, n. 389, sempre in tema di determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi dell’assicurazione obbligatoria, la retribuzione minima, deve essere determinata tenendo conto di tutti gli istituti giuridici del contratto collettivo di riferimento che comportino una retribuzione minima.

3. Mette conto di precisare (in via generale e per una visione più completa della tematica sulla determinazione dell’obbligo contributivo, ancorchè questa questione non si ponga nella fattispecie in esame) che la formula di cui sopra (la retribuzione minima, deve essere determinata tenendo conto di tutti gli istituti giuridici del contratto collettivo di riferimento che comportino una retribuzione minima) va però "temperata" avendo presente il disposto del D.L. 14 giugno 1996, n. 318, art. 3 convertito nella L. 29 luglio 1996, n. 402.

Con quest’ultima disposizione (Determinazione contrattuale di elementi della retribuzione da considerare agli effetti previdenziali….) si è stabilito che "La retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi di qualsiasi livello non può essere individuata in difformità dalle obbligazioni, modalità e tempi di adempimento come definiti dagli accordi stessi dalle parti stipulanti, in riferimento a clausole di non computabilità nella base di calcolo di istituti contrattuali e di emolumenti erogati a vario titolo, diversi da quelli di legge… ". Il legislatore ha inteso così evitare interpretazioni della normativa contrattuale in contrasto con la volontà espressa dalle parti stipulanti, ammettendo che, ai fini della retribuzione contributiva, vengano esclusi, dagli istituti retributivi indiretti, determinati emolumenti istituiti dalla contrattazione collettiva, se tale è stato l’intento dai contraenti. Si pensi ad esempio ad un emolumento, introdotto dalla contrattazione collettiva, che venga dalla stessa esclusa ai fini del conteggio delle mensilità aggiuntive. Ebbene, quando l’Istituto previdenziale procede al calcolo del minimale (ossia della retribuzione fissata dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, sulla cui base vanno computati i contributi), dovrà tenere presente la volontà espressa dalle parti stipulanti e quindi non dovrà includere, negli istituti indiretti, quegli emolumenti che le parti medesime hanno inteso escludere (cfr. Cass. n. 2387 del 09/02/2004).

L’Istituto che pretende le differenze di contributi, dovrà quindi allegare e dimostrare : a) che le retribuzioni su cui pretende di commisurare i maggiori contributi sono quelle fissate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative su base nazionale; b) di avere incluso nelle medesime retribuzioni solo le voci o gli emolumenti che le parti stipulanti hanno inteso includere.

4. Nel caso in esame, è del tutto fuori luogo la censura fatta dall’Inps per la violazione alla regola del minimale, giacchè si invoca il disposto di un contratto collettivo, quello che attribuisce il diritto al c.d. pasto caldo, che è però di livello provinciale, mentre, come sopra illustrato, la regola del minimale vale esclusivamente con riguardo alla contrattazione di livello nazionale:

la retribuzione su cui commisurare i contributi non può essere inferiore a quella stipulata dalla contrattazione collettiva nazionale e precisamente da quella stipulata dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, per cui l’Istituto non può pretendere che, ai fini del minimale, rilevino istituti di natura retributiva posti dai contratti collettivi provinciali.

5. Parimenti infondata è la censura relativa alla violazione della regola sulla onnicomprensività della retribuzione su cui commisurare i contributi. Vige effettivamente la regola per cui la retribuzione su cui commisurare la contribuzione è onnicomprensiva (almeno in via tendenziale, stanti le precisazioni di cui al punto 3), tuttavia la retribuzione da prendere in considerazione è solo quella erogata, o anche quella dovuta, ma nella specie la sentenza impugnata ha escluso (senza censure) che il compenso per il "pasto caldo" fosse dovuto ai dipendente della Z. perchè questa non aderiva al contratto provinciale, e non vi è dubbio che, sul piano del rapporto di lavoro, la contrattazione collettiva non sia cogente per i datori che non aderiscono alle associazioni stipulanti, ovvero che di fatto non la applichino.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese a favore della parte costituita, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese a favore della parte costituita liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro tremila/00 per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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