Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-05-2011) 20-07-2011, n. 28919 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Lecce, con sentenza in data 16 luglio 2010yha confermato la condanna di M.S. alla pena di otto anni e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, perchè ritenuto responsabile dei reati di cui all’art. 81 c.p., art. 609 bis c.p., comma 1, art. 609 ter c.p., comma 1, n. l e art. 660 c.p., violenza sessuale continuata e molestie, commessi in danno della minore P.F. (nata nel (OMISSIS)) fatti commessi in (OMISSIS).

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo di proprio difensore, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione della Sentenza, rilevabile sia nel testo del Provvedimento impugnato che dagli atti del processo di seguito indicati.

2. Inosservanza/erronea applicazione degli artt. 192 e 530 c.p.p..

La sentenza ha considerato quale essenziale presupposto per il giudizio di responsabilità il comportamento assillante del ricorrente nei confronti di P.F., inseguita per strada ed apostrofata con frasi attinenti la sfera sessuale e poi, illogicamente avrebbe affermato che la stessa "non poteva aspettarsi" la violenza sessuale. Del pari la mancata richiesta di aiuto nel momento iniziale dell’azione di sequestro (poi sfociata in violenza sessuale) in data (OMISSIS), era stata giustificata dai giudici con lo "stato di terrore, a fronte della reazione (pugno al torace) posta in essere il giorno dopo". I giudici avrebbero ritenuto che "la progressione degli episodi di violenza e la maggiore audacia del M." avrebbero indotto nella ragazza "una maggiore consapevolezza dei pericolo che correva" (pag. 5) e che i carabinieri, benchè allertati a seguito della denuncia per molestie, non avrebbero potuto "essere costantemente in servizio di controllo" dell’imputato.

L’affermazione sarebbe in contrasto con quanto affermato dalla stessa parte offesa di aver visto passare un’auto dei carabinieri mentre era bloccata dal M.; per cui la sentenza irragionevolmente non spiega la mancata richiesta di aiuto ed il mancato intervento dei militari.

Sarebbe carente ed illogica la motivazione anche in relazione alla compatibilità dello stato patologico del M. con la condotta violenta allo stesso ascritta, posto che è risultata accertata la patologia da cui è affetto l’imputato – morbo di Parkinson – che risulta incompatibile con le violenze, in quanto, inducendo ipertrofia muscolare, consente movimenti del corpo semplici e di base, ma non l’esecuzione dei cd. "movimenti fini", quali, ad esempio, il movimento delle mani nella esecuzione di operazioni elaborate. I giudici non avrebbero spiegato come lo stesso abbia potuto contestualmente bloccare e legare i polsi della persona P., tenendo in mano un coltellino, limitandosi ad evidenziare la circostanza che gli accertamenti medici erano avvenuti il (OMISSIS), senza che siano state evidenziate condizioni di salute migliori all’epoca dei fatti. La decisione sarebbe carente ed illogica anche sotto il profilo della valutazione intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa, in riferimento al comportamento successivo: il ritardo nel raccontare i fatti alla madre sarebbe dovuto al senso di vergogna ed allo stato di shock e la stessa sarebbe stata vista con gli amici in piazza, dopo la asserita violenza. La Corte non avrebbe tenuto conto che la stessa, dopo la violenza subita si era addirittura recata in palestra. Ulteriore elemento di illogicità è rinvenibile nella considerazione data alla ecchimosi rinvenuta unicamente sul polso destro, pur avendo ricostruito che la P. fu bloccata ad entrambe le braccia.

Inoltre la Corte non avrebbe tenuto conto che nell’udienza di primo grado del 13 gennaio 2009 la teste R.A., madre della persona offesa, ebbe a riferire di aver fasciato il polso della figlia il giorno antecedente la denuncia ((OMISSIS)). La sentenza impugnata sarebbe carente nella risposta al secondo motivo di appello, in relazione al mancato riconoscimento del beneficio delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p.: a fronte della valutazione del consulente tecnico di parte della personalità del M., collegata alle condizioni fisiche, psichiche ed esistenziali dello stesso, la sentenza non offre alcuna motivazione, con riferimento ai parametri che possono essere rinvenuti nell’art. 133 c.p.. Ulteriore aspetto di censura attiene al mancato rispetto da parte dei giudici di appello, del principio dell’"oltre il ragionevole dubbio", che rappresenta il limite della libertà del convincimento del giudice, soprattutto considerato che la deposizione della persona offesa può essere assunta da sola come fonte di prova, in quanto non è equiparabile a quella del testimone estraneo.

Inoltre l’accusa non avrebbe curato di sottoporre a sequestro probatorio l’autovettura che si assume essere stata il teatro dell’episodio di violenza più grave, raccogliendo le tracce della presunta violenza.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

Fermo restando il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, verificando sia le ragioni dell’attendibilità della minore, alla luce di principi giurisprudenziali in materia, sia gli elementi probatori di riscontro dei fatti, sia la tenuta logica della ricostruzione dei gravi delitti ascritti al ricorrente.

Con i motivi di ricorso si è cercato unicamente di proporre una nuova lettura della vicenda processuale ma, come è noto, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Pertanto, "la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto" (Cfr. Sez. 2, n. 18163 del 6/5/2008, Ferdico, Rv. 239789). Di contro, solo esaminando il compendio probatorio nel suo complesso, all’interno del quale ogni elemento è stato contestualizzato è possibile verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione.

I motivi avanzati tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dai giudici di merito, i quali hanno esplicitato, con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, le ragioni del loro convincimento, circa la attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni, sia extraprocessuali che nel processo, sono state costanti dall’inizio della vicenda e sono state riscontrate dagli altri elementi probatori acquisiti.

Diversamente da quanto sostenuto con il secondo motivo di ricorso, per la valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa non deve essere utilizzato il criterio di cui all’art. 192 c.p.p.: è ben possibile, per giurisprudenza costante, che il giudice tragga il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv.

248016). In particolare, nel caso di parte offesa dei reati sessuali di età minore è necessario che l’esame della sua credibilità sia onnicomprensivo e tenga conto di più elementi quali l’attitudine a testimoniare, la capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, la qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute (Così Sez. 3, n. 29612 del 27/7/2010, P.C. in proc. R. e altri., Rv. 247740). La decisione impugnata, quindi, che ha confermato le valutazioni di merito espresse in primo grado, con motivazione congrua e priva di smagliature logiche, è stata fondata su dichiarazione della parte offesa valutate intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili, tenuto conto sia delle risultanze della consulenza della dott. Pr., dalle quali emergono le ragioni psicologiche di una mancata reazione nell’immediatezza della persona offesa, sia delle numerose testimonianze che forniscono plurimi ed univoci riscontri degli accadimenti quali narrati dalla P..

Risulta parimenti manifestamente infondata la censura di illogicità della motivazione, sul punto della compatibilità delle condizioni fisiche e di salute dell’imputato con la dinamica di perpetrazione del reato di violenza sessuale: i giudici hanno ritenuto con motivazione logicamente ineccepibile, che, alla luce delle testimonianze degli addetti alla palestra frequentata dal M. all’epoca dei fatti, che la patologica progressiva in seguito diagnosticata all’imputato non aveva impedito, nel periodo in cui i fatti delittuosi ebbero a compiersi, lo svolgimento di esercizi fisici, i quali garantivano allo stesso una buona forma fisica che lo rendeva capace dell’aggressione con le modalità come accertate.

In riferimento al lamentato mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, le ragioni di tale giudizio sono state espresse con chiarezza già nella decisione di primo grado ed un uguale giudizio di gravità dei delitti commessi, come tali immeritevoli della concessione delle circostanze attenuanti generiche, è stato manifestato nella decisione impugnata innanzi a questa Corte.

I motivi di ricorso, in conclusione, in quanto costituiscono una mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dai giudici di merito e questioni generiche palesemente inconsistenti ed infondate, sono inammissibili.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p. e di una somma di mille Euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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