Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27-07-2011, n. 4496 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con il ricorso di primo grado, era stato chiesto dall’odierno appellante sig. E. R. l’annullamento del provvedimento prot.n. 2803 dell’8 novembre 2010 reso dal consiglio dell’ordine dei dottori commercialisti, con cui era stata disposta la sua decadenza dalla carica di consigliere e la sua sostituzione con la controinteressata signora D. G. e delle delibere del consiglio dell’ordine dei dottori commercialisti del 23 settembre 2010 e del 28 ottobre 2010, nella parte in cui era stata ritenuta ingiustificata l’assenza del medesimo alle relative riunioni consiliari.

Con motivi aggiunti depositati il 27 gennaio 2011, questi aveva altresì impugnato il provvedimento di ratifica consiliare del provvedimento presidenziale di decadenza e delle presupposte delibere, l’art. 7 del regolamento interno del consiglio dell’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Latina, gli avvisi recanti la convocazione delle sedute consiliari e la deliberazione consiliare adottata il 19 novembre 2010, recante la ratifica del provvedimento presidenziale di decadenza.

Erano state dedotte le censure di eccesso di potere e di violazione di legge.

Il Tribunale amministrativo regionale adito, con la impugnata sentenza emessa all’adunanza camerale fissata per la decisione della domanda di sospensione della esecutività degli impugnati provvedimenti, ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio ed il ricorso per motivi aggiunti per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

In particolare, il primo giudice ha evidenziato che la controversia perteneva alla cognizione del giudice ordinario, poiché il consigliere, una volta eletto, è titolare di un diritto soggettivo perfetto alla conservazione dell’ufficio per la durata del mandato.

Ne conseguiva che né il Presidente né il Consiglio dell’ordine dovevano ritenersi titolari di un potere dispositivo dell’ufficio di consigliere.

Conseguentemente gli atti impugnati, ancorché implicanti una valutazione in ordine alla giustificazione delle assenze, non esprimevano una valutazione discrezionale in senso proprio, ma costituivano semplice riscontro o acclaramento di una causa di decadenza prevista dalla legge (articolo 14 d.lg. 28 giugno 2005, n. 139).

La controversia, pertanto, aveva ad oggetto un diritto soggettivo e non un interesse legittimo e doveva ritenersi sottratta alla cognizione del giudice amministrativo.

L’originario ricorrente ha impugnato la sentenza in epigrafe chiedendone la riforma e rappresentando che l’atto impugnato ha natura di provvedimento amministrativo discrezionale nell’ambito del quale era stata valutata la "giustificabilità" delle proprie assenze alle riunioni consiliari. La giurisdizione in ordine a tale posizione soggettiva di interesse legittimo apparteneva al plesso giurisdizionale amministrativo.

Nel merito, egli ha riproposto le censure contenute nel mezzo di primo grado e non esaminate dal primo giudice, volte a dimostrare la sussistenza di un "fumus persecutionis" a proprio danno, concretatosi nella immotivata e superficiale valutazione di non giustificabilità degli impegni che ne avevano impedito la partecipazione alle sedute.

L’appellato Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili della Provincia di Latina ha depositato una articolata memoria, chiedendo la reiezione dell’appello.

Nel ribadire che in subiecta materia la giurisdizione spettava al Giudice Ordinario, l’Ordine ha contestato la sussistenza di alcun "fumus persecutionis" in danno dell’appellante.

Questi, infatti, per tre volte consecutive aveva omesso di partecipare alle riunioni convocate, omettendo di specificare le ragioni ostative alla propria partecipazione (se non facendo richiamo a sopravvenuti improcrastinabili impegni personali e professionali) e contestando la legittimità della convocazione.

Tutte le parti del procedimento hanno compendiato le loro posizioni in memorie conclusionali.

Alla camera di consiglio del 10 maggio 2011, fissata per l’esame della istanza cautelare di sospensione della esecutività dell’appellata sentenza, la causa è stata rinviata alla camera di consiglio del 5 luglio 20011.

Alla camera di consiglio del 5 luglio 2011, fissata per l’esame della istanza cautelare di sospensione della esecutività dell’appellata sentenza, la causa è stata posta in decisione.

2. L’appello è fondato e merita accoglimento con conseguente annullamento della impugnata sentenza e con la conseguente rimessione della controversia al primo giudice, ai sensi dell’art.105, comma I, del codice del processo amministrativo.

3. L’art. 6 del d.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, al comma III, consente di definire la natura giuridica dell’ordine professionale appellato e dei suoi provvedimenti.

Esso dispone che "il Consiglio nazionale e gli Ordini territoriali sono enti pubblici non economici a carattere associativo, sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge e del presente decreto e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministero della giustizia.".

Ancora di recente la III Sezione di questo Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha affermato in proposito che "la natura giuridica di soggetti pubblici degli Ordini professionali è stata espressamente riconosciuta ed è stata stabilita la giurisdizione del giudice amministrativo per l’impugnazione dei relativi atti e provvedimenti" (Consiglio Stato, sez. III, 11 giugno 2010, n. 139).

Tale principio appare in linea con le affermazioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (S.U., ordinanza 12 marzo 2008 n. 6534) ed è conseguente alla natura soggettivamente amministrativa degli emanati dai detti ordini territoriali.

3.1. Quanto alla natura dell’atto impugnato in primo grado, esso ha comportato l’esercizio del potere amministrativo..

Ritiene a tal proposito il Collegio che il medesimo atto abbia inciso su una posizione di interesse legittimo, sicché sussiste la giurisdizione del Giudice Amministrativo.

3.2. Stabilisce infatti l’art. 14 del citato d.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, (sulla "Decadenza dalla carica di consigliere"), che "il consigliere che, senza giustificato motivo, non interviene per tre volte consecutive alle riunioni del Consiglio, decade dalla carica".

Di tale disposizione è stata fatta applicazione con il provvedimento impugnato, essendosi negato, da parte dell’appellato Ordine territoriale, che le tre assenze consecutive potessero essere ascritte ad eventi riconducibili nel novero del "giustificato motivo".

La valutazione espressa in tale senso dall’ordine professionale non è scevra, all’evidenza, di parametri di discrezionalità.

Invero la legge affida alla prudente valutazione dell’amministrazione il potere di ravvisare – con una motivata determinazione – una causa di giustificazione delle assenze, non tipizzando (neppure a titolo esemplificativo) gli eventi in presenza dei quali essa potrebbe ritenersi integrata.

E’ evidente, pertanto, che ci si trova al cospetto di una valutazione espressiva di un potere discrezionale, e non certo di una attività meramente ricognitiva dell’avvenuto verificarsi di presupposti antecedentemente tipizzati dal Legislatore.

3.3. Quanto alla esigenza di non frantumare la giurisdizione tra più plessi laddove si verta in materie sostanzialmente assimilabili, va richiamato l’orientamento per il quale, in materia di contenzioso elettorale amministrativo, spetta allla giurisdizione del giudice civile la cognizione delle controversie concernenti l’ineleggibilità, la decadenza e l’incompatibilità, anche quando si tratti di atti di convalida degli eletti, di proclamazione o di decadenza (Cassazione civile, sez. un., 9 novembre 2009, n. 23682).

Ritiene il Collegio che – a parte ogni considerazione sulla peculiarità del contenzioso elettorale amministrativo – nell’ambito del concetto di decadenza dal munus publicum occorre distinguere tra due tipologie di atti.

La prima riguarda la decadenza ascrivibile a ragioni tipizzate dal Legislatore ed afferenti alla sopravvenuta insussistenza dei presupposti per esplicare il mandato (sopravvenuta condanna per reati ostativi, assunzione di incarichi vietati, etc), disposta da un provvedimento che prende atto del verificarsi del presupposto per la operativià della disposizione afflittiva.

La seconda riguarda la decadenza conseguente a condotte esplicate nell’esercizio dell’attività e legato ad una valutazione discrezionale dell’Ente di appartenenza.

In entrambi i casi, la legge – con la interpositio legislatoris – può specificamente determinare quale sia la giurisdizione innanzi alla quale possa essere contestata la legittimità dell’atto, in applicazione degli articoli 103 e 113 della Costituzione.

In assenza di una specifica disposizione attributiva della giurisdizione, il criterio di riparto della giurisdizione è quello consueto riguardante gli atti di esercizio del potere, attualmente previsto dall’art. 7 del Codice del processo amministrativo e già in precedenza desumibile dalla legislazione ordinaria, come incisa dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006.

Qualora la legge non preveda la giurisdizione del giudice civile, si applica il principio generale – posto a base del richiamato art. 7 – per il quale tutti gli atti espressivi del potere, abbiano essi natura discrezionale o vincolata, sono correlative a posizioni di interesse legittimo (cfr. Corte Cost., sent. n. 127 del 1998).

A maggior ragione, posizioni di interesse sussistono quando, come nella specie, l’Amministrazione non deve meramente constatare la sussistenza di un presupposto oggettivo (ad es., l’emanazione di una sentenza penale di condanna), ma deve motivatamente valutare circostanze di fatto, non previamente individuate dalla legge.

4. Per le ragioni che precedono, la sentenza appellata non può essere condivisa, poiché ha rilevato che "l’atto impugnato ancorchè implicante una valutazione in ordine alla giustificazione delle assenze, non esprime una valutazione discrezionale in senso proprio ma costituisce semplice riscontro o acclaramento di una causa di decadenza prevista dalla legge".

Al contrario, la Sezione ritiene che l’atto impugnato in primo grado – potendo valutare la sussistenza o meno del "giustificato motivo" – costituisca espressione di un potere, per di più, discrezionale, nei confronti del quale sono configurabili posizioni di interesse legittimo.

Ne consegue l’accoglimento dell’appello, l’affermazione della giurisdizione amministrativa in materia e l’annullamento della impugnata decisione con rinvio al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma III, del codice.

La parziale novità della questione esaminata giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio sinora sostenute dalle parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 2946 del 2011, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara la giurisdizione del Giudice amministrativo sulla controversia ed annulla con rinvio al primo giudice la sentenza di primo grado.

Spese compensate del doppio grado del giudizio.

Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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