Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 20-07-2011, n. 28912 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Corte di appello di Venezia, con sentenza depositata il 25 maggio 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale ordinario di Venezia depositata il 30/11/09, che ha condannato B.S., Jl.

A. e J.A. alla pena di anni quatto e mesi otto ciascuno di reclusione e 20 mila euro di multa, in riferimento al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 110 e 73, comma 1- bis, per aver detenuto, a fini di spaccio, circa 3,55 Kg di hashish.

Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.

1. L’imputato B.S. ha – anzitutto – censurato la decisione, che ha visibilmente fatto anche uso di parti prestampate, alcune anche non pertinenti, ritenendo, per tale ragione sia l’inesistenza della motivazione, sia la sua illogicità (con riferimento alla mancata richiesta dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7).

In secondo luogo, con l’ultima doglianza, il ricorrente si è lamentato della mancata concessione delle attenuanti generiche contestando la ritenuta solo apparente volontà collaborativa, come affermata dal giudice di appello, nonostante che il ricorrente si fosse assunto l’intera ed esclusiva responsabilità per la detenzione dello stupefacente sequestrato nella abitazione comune.

2. Gli imputati Jl.Ab. e J.A. hanno, con unico ma articolato mezzo di censura, chiesto la nullità della sentenza: a) sotto il profilo della inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 603 in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. e); b) sotto il profilo della violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d) ed e) chiedendo l’annullamento della sentenza per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, per non aver assunto una prova decisiva. Secondo i due ricorrenti il giudicante avrebbe postulato che l’appartamento dei tre imputati fosse stato adibito a base del traffico dello stupefacente sequestrato, senza che il via vai registrato avesse dato corso all’identificazione dei presunti consumatori, escludendo ingiustamente il valore probatorio della dettagliata confessione resa dal coimputato B.S. ed avrebbe esaltato irragionevolmente la circostanza della detenzione di alcuni telefonini, alcuni addirittura non funzionanti.

I ricorrenti, inoltre, lamentano la mancata acquisizione di un documento sopravvenuto al rito direttissimo di primo grado, dal quale sarebbe risultata l’attestazione dell’attività lavorativa, fonte di reddito, svolta da loro medesimi.

Motivi della decisione

1. Osserva la Corte che i ricorsi di tutti gli imputati sono infondati e devono essere respinti per le ragioni che si passano ad esporre.

Tuttavia, in via preliminare, deve esser richiamato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv.

216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145).

Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). 2. Pertanto, alla luce di tali principi si palesano infondate e, perciò, devono essere respinte, le censure mosse dal ricorrente B.S. in ordine ad alcune interpolazioni, presenti indubbiamente nella motivazione del giudice di appello (il quale ha – solo in parte – fatto uso di prestampati non pertinenti), che tuttavia non rendono nè incomprensibile il ragionamento svolto, nè consentono che si possa propriamente parlare di sentenza inesistente. Infatti, la mancanza di motivazione di una sentenza di merito, che può determinarne la nullità, si verifica anche quando la decisione non sia formalmente sorretta da pertinente motivazione, purchè tale parte non pertinente sia il fulcro della motivazione e senza di essa la decisione non possa reggersi su altro fondamento.

Ciò che non è nella specie, sia per il citato principio di integrazione tra le due motivazioni (di primo e di secondo grado), sia per l’esistenza di parti motivazionali ampiamente consistenti nella sentenza di secondo grado, in grado di dare fondamento alle affermazioni di responsabilità degli imputati.

2.1. Il ricorso di B.S., inoltre, deve essere respinto anche nella parte in cui lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, per il fatto che il ricorrente si è assunto l’intera ed esclusiva responsabilità per la detenzione dello stupefacente sequestrato nella abitazione comune, in ragione della plausibile affermazione del giudice di appello circa la solo apparente volontà collaborativa.

Infatti, in presenza di una comune detenzione di sostanza proibita, il tentativo di salvaguardare la posizione degli altri compartecipi attraverso una confessione, di limitata e modesta portata (così com’è stata valutata dai giudici di merito), è da considerare come non credibile, proprio perchè dettata da circostanze di comodo e da calcolo utilitaristico e senza che essa faccia cessare l’attività criminosa ed incida sulle conseguenze del reato.

Al contrario, è plausibile e ragionevole la regola opposta (secondo la quale la confessione resa da uno dei coimputati, in presenza di prova inoppugnabile – quale è il sequestro in casa della sostanza stupefacente -, è indice della posizione gregaria del reo confesso di quel sodalizio criminoso che, attraverso tale apparente collaborazione, mira a limitare i danni nascenti dall’azione di contrasto dell’attività criminosa) tratta dal giudice di merito, sulla base dell’ id quod plerumque accidit, ossia da una massima di esperienza, che si differenzia dalla mera congettura (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 27862 del 24/06/2009, De Noia) sulla base di una verifica statistico-empirica dell’elemento preso in considerazione.

Il ricorso di B.S., pertanto, deve essere respinto anche nella parte in cui lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, tendendo la sua confessione a recare un ulteriore contributo al fatto delittuoso anzichè a limitarne le conseguenze dannose o pericolose, sottraendo gli altri compartecipi all’accertamento delle rispettive responsabilità. 3. Il ricorso degli imputati Jl.Ab. e J. A. è infondato in relazione ad entrambi i profili svolti.

Rispetto al primo, riguardante la prova della loro compartecipazione criminosa, perchè questa è stata analiticamente ricostruita dal complesso motivazionale dei giudici di merito, in presenza di tutti gli elementi propri della detenzione finalizzata allo spaccio, per le rilevanti quantità di stupefacente, per il suo confezionamento in panetti (v. sentenza di 1^ grado), per l’occultamento della droga in più luoghi (di cui alcuni comuni ed altri esclusivi, quale il letto di uno dei due fratelli), per l’osservazione del flusso di persone verso il luogo di detenzione e per il possesso di denaro e di un rilevante numero di telefoni portatili. Rispetto al secondo, riguardante la mancata acquisizione del documento attestante l’esistenza di un lavoro (quello di distribuzione di materiale pubblicitario da parte di taluno dei due ricorrenti), giustamente se ne è ritenuta l’irrilevanza, trattandosi di occupazione di scarso peso economico e certo incapace di fornire il gettito monetario accertato dagli agenti e sequestrato in occasione della loro perquisizione.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *