Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-12-2011, n. 26547 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 23 febbraio 2007, D.L.S.E. e D.L.F., chiedevano la condanna del Ministro dell’Economia e delle Finanze al ristoro in loro favore dei danni patrimoniali e non patrimoniali, indicati in Euro 38000,00 per ciascuno di essi ovvero nella somma diversa da determinarsi equitativamente, quale indennità ad essi spettante ai sensi della L. n. 89 del 2001. Affermavano infatti l’avvenuto superamento del termine di ragionevole durata del processo intentato dal predetto D. L.E.S. davanti alla Corte dei Conti per il riconoscimento della dipendenza della causa di servizio di una infermità contratta in regime di servizio militare. La Corte d’Appello di Catanzaro, escluso ogni diritto anche in astratto alla indennità in questione da parte di D.L.F., e constatata peraltro la eccessiva durata del processo di cui si tratta, negava che il D.L.S. avesse subito danni patrimoniali. Rilevava invece quanto al danno non patrimoniale,che i circa 18 anni e sei mesi di durata del giudizio pensionistico risultavano eccessivi, in quanto ulteriori a quella di due anni, ritenuta, per giudizi siffatti, bastevole a definirli.

Liquidava equitativamente alla ricorrente la somma di Euro 10000,00 oltre agli interessi legali a decorrere dal giorno della domanda.

Ricorre per Cassazione contro questo decreto D.L.S.E. con atto articolato su tre motivi.

Resiste il Ministro dell’Economia delle Finanze con controricorso.

Motivi della decisione

1. I tre motivi proposti dal D.L. possono essere esaminati insieme in quanto connessi.

Il ricorrente lamenta anzitutto la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, anche in relazione agli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c.; quindi la violazione dell’art. 6 par. 1 degli artt. 13 e 41 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950, ratificata con L. n. 848 del 1955; quindi ancora la motivazione omessa in ordine al relativo punto ritenuto decisivo, ed ancora la motivazione insufficiente quanto ad altri aspetti della causa, indicativa delle affermate violazioni di legge. Il ricorrente, fondamentalmente, sostiene l’insufficienza della liquidazione operata in quanto non ispirata agli standard riparatori messi a punto dalla giurisprudenza della CEDU. Afferma pure che la durata del giudizio presupposto è stata sbrigativamente definita dalla Corte d’appello che ha omesso, senza motivazione, di considerare altri tre mesi circa.

2. Osserva il collegio che la giurisprudenza della Corte di Cassazione, contrariamente a quanto in ricorso si sostiene, seguendo la recente evoluzione della CEDU, ha messo a punto un indirizzo, dal quale non vi sono ragioni per dissentire, secondo cui in tema di equa riparazione di cui alla Legge del 2001 di cui si tratta, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole è riscontrabile davanti al giudice amministrativo anche senza che la decorrenza del termine di ragionevole durata possa subire ostacoli in relazione alla mancanza di istanze di prelievo o di simili meccanismi di impulso. Peraltro, la stessa giurisprudenza ha precisato che il giudice nazionale può modulare la quantificazione del risarcimento in considerazione della peculiarità del caso e scendere, dunque,al di sotto dell’importo di Euro 1000,00 l’anno, ovvero di fissare la riparazione stessa anche, all’incirca, in Euro 500 per ciascun anno di ritardo (cass. n. 14753 del 2010, emessa relativamente ad una fattispecie alla quale, analogamente a quella di cui si tratta, non era applicabile il di 25 gennaio 2008 n. 112 convertito nella L. n. 133 del medesimo anno).

Orbene il giudice del merito accertata, come si è detto in narrativa, la durata del processo presupposto in 20 anni e mesi 6, comprensiva del periodo di ritenuta normale definizione del giudizio, ha liquidato per i 18 anni e sei mesi che rilevano, la somma di Euro 10000,00, corrispondenti, nella logica delle liquidazione operata, ad oltre Euro 500,00 l’anno. Pertanto, seppure il calcolo del giudice del merito risultasse errato di qualche mese (circa 3 secondo l’assunto del ricorrente), il ricorso sul punto sarebbe carente di interesse, giacchè la liquidazione operata sarebbe in ogni caso superiore a quella che in siffatti giudizi la giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene di adottare (vedi da ultimo sent. n 12173 del 2011. 3. Il ricorso è pertanto complessivamente infondato e deve essere respinto.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 900,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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