Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-04-2011) 20-07-2011, n. 28929 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. E.H.H., nato in (OMISSIS), era imputato:

a) del reato p. e p. dall’art. 61 c.p., n. 11 bis, art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 13, perchè, in concorso con altro soggetto, deteneva, a fine di successiva vendita, gr. 147 circa di cocaina, suddivisa in 21 involucri; b) del reato di cui all’art. 81 cpv. cod. pen., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, perchè, nel corso del tempo in più occasioni, ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, cedeva singole dosi di cocaina a C.S., l’ultima delle quali in data (OMISSIS), in occasione della quale ha ceduto 10 grammi di detta sostanza in cambio di Euro 600,00 (con l’aggravante di a vere agito in stato di irregolarità sul territorio del nostro Paese; con la recidiva specifica nel quinquennio ex art. 99 c.p.; accertato in (OMISSIS)).

In sede di udienza preliminare innanzi al g.u.p. presso il Tribunale di Firenze è stata presentata dall’imputato richiesta di applicazione della pena nella misura finale di anni quattro, mesi nove di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa, così quantificata:

pena base, esclusa la recidiva, anni sei di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa, aumentata per l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis ad anni sei mesi, quattro di reclusione e Euro 26.500 di multa, aumentata ex art. 81 cpv. c.p. ad anni sette, mesi uno di reclusione ed Euro 27.000,00 di multa, ridotta per il rito come sopra.

In relazione a tale richiesta il P.M. ha espresso il proprio consenso.

Il g.u.p. ha ritenuto che la richiesta potesse essere accolta e quindi con sentenza del 27 aprile 2010 applicava a E.H. H. la pena di anni quattro mesi nove di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa in ordine ai reati ascrittigli, riuniti per continuazione, non applicata la recidiva; condannava l’imputalo al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare; dichiarava l’imputato interdetto dai PP.UU. per la durata di anni cinque;

ordinava la confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro e la confisca di quant’altro in sequestro, nonchè l’espulsione dell’ E.H. dal territorio dello Stato, a pena espiata, previa rivalutazione della sua pericolosità sociale.

2. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con tre motivi.

Il Procuratore Generale ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso – il cui primo motivo attiene alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11-bis e che ha avuto influenza sulla determinazione della pena applicata – è fondato.

La Corte costituzionale (sent. 8 luglio 2010 n. 249) ha dichiarato illegittimo l’art. 61 c.p., n. 11-bis; e, in via conseguenziale, la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 1, nonchè l’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), limitatamente alle parole "e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’art. 61 c.p.p., comma 1, n. 11-bis)".

La disposizione censurata (art. 61, n. 11-bis), prevista dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 1, comma 1, lett. f), conv., con mod., dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, art. 1, ha introdotto, nel contesto di misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, una nuova circostanza aggravante comune per i fatti commessi dal colpevole "mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale". La L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 1, cit., poi ha specificato, con norma interpretativa, che la disposizione di cui all’art. 61 c.p., n. 11 -bis), si intende riferita ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea e agli apolidi.

La Corte, nel ribadire che i diritti inviolabili spettano "ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani", ha affermato che la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale. Il rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti "del tutto estranei al fatto-reato", perchè si introdurrebbe così una responsabilità penale d’autore "in aperta violazione del principio di offensività (…)". Nè può essere ritenuta ragionevole e sufficiente, ex art. 3 Cost., comma 1, la finalità di contrastare l’immigrazione illegale, giacchè questo scopo non potrebbe essere perseguito in modo indiretto, ritenendo più gravi i comportamenti degli stranieri irregolari rispetto ad identiche condotte poste in essere da cittadini italiani o comunitari; tanto più che l’aggravante non si applica in ipotesi di soggiorno irregolare del cittadino comunitario, come, ad es., nel caso di inottemperanza ad un provvedimento di allontanamento. La natura discriminatoria dell’aggravante risulta – secondo la Corte – maggiormente evidente dopo che l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio nazionale, in precedenza considerati dalla legge alla stregua di illeciti amministrativi, costituiscono attualmente la condotta dell’autonomo reato di immigrazione irregolare. E’ poi violato anche l’art. 25 Cost., comma 2, che pone il fatto alla base della responsabilità penale e prescrive pertanto, in modo rigoroso, che un soggetto debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per le sue qualità personali.

In via consequenziale è stato dichiarato altresì illegittimo l’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), che, nel disciplinare l’esecuzione delle sanzioni detentive, prevedendo tra l’altro la sospensione degli adempimenti esecutivi nel caso di pene (relativamente) brevi, in vista dell’eventuale applicazione di misure alternative alla detenzione, preclude tale sospensione per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11-bis.

2. La pena quindi risulta essere illegale.

In proposito questa Corte (Cass., sez. I, 7 aprile 2010 – 3 maggio 2010, n. 16766) ha affermato – e qui ribadisce – che in caso di "patteggiamento", l’illegalità della pena determina l’invalidità dell’accordo su di essa concluso tra le parti e ratificato dal giudice e comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza che l’abbia recepito, in quanto le parti devono essere reintegrate nella facoltà di rinegoziarlo su altre basi, in mancanza di che il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie. Cfr. anche Cass., sez. un., 27 maggio 2010 – 5 ottobre 2010, n. 35738, secondo cui, nel giudizio che segue ad annullamento senza rinvio della sentenza di patteggiamento determinato dall’illegalità della pena, le parti sono rimesse dinanzi al giudice nelle medesime condizioni in cui si trovavano prima dell’accordo annullato e pertanto non è loro preclusa la possibilità di riproporlo, sia pure in termini diversi.

3. Pertanto il ricorso va accolto – gli altri motivi sono assorbiti – con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio al tribunale di Firenze per nuovo giudizio.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Firenze per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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