Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-04-2011) 20-07-2011, n. 28897Responsabilità penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. B.G.C., nato a (OMISSIS), era imputato della contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 e art. 5, lett. e), art. 89, comma 2, lett. a), per aver omesso di prendere misure appropriate affinchè soltanto i lavoratori che hanno ricevute adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico, destinando al cantiere il sig. E.G.E.K. senza averlo istruito della presenza di una soletta non calpestabile(in (OMISSIS)).

Con decreto emesso dal GIP presso il Tribunale di Alba in data 4/1/2008, a seguito di opposizione al decreto penale di condanna, veniva disposta la citazione a giudizio di B.G.C. per l’imputazione suddetta.

Il processo era istruito mediante l’escussione dei testi in lista e produzione documentale.

Con sentenza in data 22.02.2010 depositata il 19.05.2010 il tribunale dichiarava il B. responsabile del reato ascrittogli e lo condanna alla pena di Euro 4.500,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali.

Riteneva il tribunale che dalla ricostruzione dell’infortunio e dall’escussione dei testi era emerso che non vi era stata una specifica informazione sul fatto che la soletta sulla quale l’operaio infortunato stava lavorando non fosse calpestatale.

Come affermato dallo stesso infortunato, era la prima volta che quest’ultimo andava in quel cantiere; ciò nonostante non gli venne fornito alcun avvertimento dei rischi connessi a quel cantiere.

2. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.

In prossimità dell’udienza la difesa del ricorrente depositava memoria con un motivo aggiunto.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo del ricorso, con cui il ricorrente denuncia l’erroneità e/o illogicità, e/o mancanza di motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità, è inammissibile.

Deduce il ricorrente che il Tribunale di Alba lo ha ritenuto colpevole unicamente sulla base delle dichiarazioni rese dal teste N.S. e dal lavoratore infortunatosi, persona offesa, pretermettendo di considerare e di valutare le altre prove assunte nel corso del procedimento ed omettendo di spiegare perchè la deposizione della persona offesa fosse particolarmente attendibile.

Si tratta di censura di fatto, oltre che generica, che esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze probatorie e che, come tale, è inammissibile nel giudizio di legittimità. 2. Fondato è invece il secondo motivo di ricorso.

Ha correttamente osservato la difesa dell’imputato che la contravvenzione contestata a quest’ultimo era, all’epoca dei fatti, descritta, quanto alla condotta, dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. e), mentre la sanzione era contenuta nell’art. 89, comma 2, del medesimo decreto legislativo. All’epoca dei fatti, tale violazione era punita dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 89, comma 2, lett. a), con la pena pecuniaria, alternativa all’arresto, dell’ammenda da L. tre milioni (Euro 1549,37) a L. otto milioni (Euro 4.131,66). Il D.Lgs. n. 626 del 1994 è stato abrogato e sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2008 (t.u. in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro). Successivamente la condotta contestata all’imputato è stata prevista dall’art. 18, comma 1, lett. e), del citato testo unico (il quale ne descrive l’elemento materiale) e dall’art. 55, comma 4, lett. a), nel testo originario, il quale fìssa l’entità dell’ammenda (alternativa alla pena dell’arresto) nella misura da Euro 800 ad Euro 3.000; pena successivamente aumentata dal D.Lgs. n. 106 del 2009 (la pena dell’ammenda va ora da 1.200 a 5.200 euro ed è sempre alternativa alla pena dell’arresto, che invece è rimasta invariata). Il citato art. 55, comma 4, lett. a), nel testo originario, costituisce disposizione applicabile al caso di specie in quanto legge più favorevole nella misura in cui prevede un massimo edittale di Euro 3.000 di ammenda.

Pertanto il tribunale di Alba, irrogando la pena dell’ammenda di Euro 4.500 ha superato il massimo edittale ex lege, sia quello di Euro 4.131,66 previsto dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 89, comma 2, lett. a), sia quello di Euro 3.000 previsto dall’art. 55, comma 4, lett. a), del testo originario del D.Lgs. n. 81 del 2008; la quale ultima disposizione, in quanto più favorevole, doveva essere nella specie applicata.

In questa parte, limitatamente alla determinazione della pena, va annullata la sentenza impugnata con rinvio allo stesso tribunale di Alba per nuovo esame.

3. Infondato è infine il terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente censura l’irritualità del g.o.t. come giudice del processo.

Questa Corte (Cass., sez. 1, 4 febbraio 2009 -27 marzo 2009, n. 13573) ha affermato in proposito – e qui ribadisce – che la trattazione, da parte del giudice onorario, di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall’art. 43-bis, comma 3, lett. b), dell’ordinamento giudiziario ( R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), e cioè riferito a reati non previsti nell’art. 550 cod. proc. pen., non è causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione dei procedimenti tra i giudici ordinari e quelli onorari.

P.Q.M.

la Corte annulla con rinvio limitatamente alla pena inflitta per nuovo esame al tribunale di alba; rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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