Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-04-2011) 20-07-2011, n. 28895

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Firenze concesse le attenuanti generiche, ridusse la pena ad anni due di reclusione, concesse la sospensione condizionale della pena e confermò nel resto la sentenza 31.3.2008 del tribunale di Montepulciano, che aveva dichiarato L.T. colpevole del reato di cui all’art. 600 quater cod. pen. per avere consapevolmente detenuto nel suo computer materiale pedopornografico.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) vizio di motivazione e travisamento del fatto. Osserva che non è vero che il CTU abbia riscontrato qualcosa nei CD-ROM o in altri supporti informatici. Il CTU ha solo trovato nel computer tracce di collegamenti a siti pedopornografici ma non ha trovato alcuna traccia di archiviazione o salvataggio dei file, nè sul computer nè su altri supporti, quali il CD-ROM di cui parla la sentenza impugnata. I file recuperati erano tutti dovuti alla navigazione e salvati automaticamente dal programma di navigazione nella memoria cache.

Risulta quindi che egli aveva cancellato il materiale non appena avuto conoscenza del suo contenuto, e non aveva archiviato e organizzato il materiale nè sul computer nè su chiavette o archivi esterni. Anche i filmati risultano tutti immediatamente eliminati nel cestino e non vi è traccia di una visione in anteprima. Non è stato trovato nessun supporto esterno con materiale pedopornografico.

2) violazione dell’art. 600 quater cod. pen. perchè egli è stato condannato sull’erroneo presupposto di una detenzione consapevole di materiale pedopornografico, della quale invece non c’è prova. Anche dalla CTU emerge che egli avrebbe solo visionato il materiale senza archiviarlo o memorizzarlo, il che non può integrare una detenzione consapevole o il procurarsi il materiale per averne la disponibilità. Infatti, secondo la giurisprudenza, il reato non integrato dalla mera consultazione via internet di siti pedofili senza registrazione dei dati su disco. Ora, la sentenza impugnata parla solo di accesso ad alcuni siti, ma nulla dice sul loro salvataggio o archiviazione.

3) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che è totalmente assente la motivazione sulla tesi della difesa circa le reali motivazioni che lo avevano indotto a collegarsi con i siti in questione. Sul punto la sentenza impugnata si limita ad affermare apoditticamente che le argomentazioni difensive sono irrilevanti. Del resto anche il CTU aveva ammesso che l’imputato aveva le competenze tecniche per sviluppare programmi di sicurezza. La corte d’appello non ha esaminato e valutato gli elementi specificamente evidenziati sul punto dalla difesa.

4) violazione di legge e violazione del divieto di reformatio in peius nonchè della correlazione tra fatto contestato e sentenza.

Lamenta che la corte d’appello ha applicato un aumento per la continuazione, mentre nè nella sentenza di primo grado nè nel capo di imputazione si era mai parlato di continuazione.

5) contraddittorietà e mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena, perchè la corte d’appello, pur avendo ritenuto l’imputato meritevole delle attenuanti generiche per le ragioni indicate, non ha poi spiegato perchè ha applicato una pena base notevolmente elevata e vicina ai massimi e non ha applicato nel massimo la riduzione per le attenuanti generiche. In realtà il giudice sembra avere erroneamente applicato il nuovo testo della disposizione e non quello vigente al momento del fatto, che prevedeva la sanzione alternativa della multa o della reclusione, tanto che anche il pubblico ministero aveva chiesto l’applicazione della sola pena pecuniaria.

Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che i primi tre motivi propongono in realtà censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità. I suddetti tre motivi sono comunque infondati.

Il ricorrente ripropone in questa sede le doglianze relative al fatto che le immagini ed il film pedopornografici non erano stati trovati nel disco rigido (effettivamente sembra che la sentenza impugnata abbia confuso tra disco rigido e CD Rom, ma si tratta di mero errore materiale) inseriti in apposite cartelle ma nella memoria cache del programma di navigazione o nel cestino, il che dimostra che egli non li conservava per detenerli ma li cestinava subito dopo averli visionati ed essersi reso conto del loro contenuto. Ne deriverebbe che, in mancanza di salvataggio su disco o altro supporto, non potrebbe parlarsi di detenzione con la conseguenza che il reato non è configurabile.

L’equivoco di fondo su cui si basano questi motivi consiste nel fatto che la sentenza di primo grado ha ritenuto l’imputato colpevole non solo di detenzione del materiale pedopornografico ma anche e soprattutto della ipotesi di essersi procurato il materiale stesso (l’art. 600 quater, nel testo vigente ed in quello anteriore, punisce chiunque, consapevolmente, si procura o detiene il materiale), come si desume chiaramente a pag. 3, dove si afferma che "anche il semplice procurarsi, come nel caso de quo, detto materiale per poi disporne personalmente", ed a pag. 4, dove si dice che "il download deve ritenersi attività equivalente e costituente procurarsi materiale pornografico". E’ vero che si potrebbe sostenere che nel capo di imputazione si fa esplicitamente riferimento solo alla detenzione e non anche all’essersi procurato. Ma con l’atto di appello (e nemmeno con il ricorso per cassazione) non è mai stata eccepita una violazione del principio di correlazione tra chiesto e pronunciato od una violazione del diritto di difesa, che chiaramente non sussiste essendosi l’imputato difeso anche sul punto.

In ogni caso i giudici del merito hanno ritenuto che l’imputato si fosse procurato ed avesse anche detenuto il materiale pedopornografico in considerazione del fatto: che nel suo computer erano state trovate (tracce di) ben 1.800 fotografie e 25 film pedopornografici; che le connessioni ai siti ed alle BBS erano durate per molto tempo e non erano state sicuramente casuali, perchè per accedervi l’imputato si era dovuto registrare e munirsi di parola d’ordine e di nome utente; che per di più i siti e le BBS erano di difficile reperimento e certamente non incontrati per caso; che quindi vi era stata una intensa attività di ricerca e di scaricamento dei file, non giustificabile con un accesso casuale; che non era possibile parlare di detenzione accidentale data la quantità di immagini e film. La motivazione, quindi, è congrua ed adeguata.

Ugualmente non manifestamente illogica è la motivazione con la quale i giudici del merito hanno rigettato la tesi difensiva secondo cui l’imputato si era collegato ai siti e BBS ed aveva scaricato il materiale pedopornografico perchè intendeva realizzare un programma informatico che consentisse di bloccare l’accesso a questi siti. I giudici hanno infatti rilevato che non era stato fornito nessun elemento di prova che suffragasse questo assunto, il quale anzi era smentito dal fatto che il L. non era in possesso di alcuna strumentazione idonea a tale scopo, dato che il perito non aveva trovato programmi e software con il linguaggio C o con altri linguaggi di programmazione.

Sono invece fondati il quarto ed il quinto motivo.

La corte d’appello, infatti, nel rideterminare la pena, ha disposto un aumento per la continuazione, così violando sia il principio di correlazione tra imputazione e sentenza, dal momento che non erano stati contestate più condotte delittuose in continuazione tra loro, sia il divieto di reformatio in peius, dato che la sentenza di primo grado non aveva applicato nessun aumento per la continuazione.

E’ anche erronea e manifestamente illogica la determinazione della pena perchè la corte d’appello, dopo aver ritenuto eccessiva la pena irrogata in primo grado ed avere per questo concesse le attenuanti generiche, ha poi applicato pena detentiva in una misura quasi corrispondente al massimo ed una minima diminuzione per le attenuanti, senza alcuna motivazione. D’altra parte, proprio la totale mancanza di motivazione fa pensare che la corte d’appello abbia applicato la pena vigente al momento della decisione e non quella vigente al momento del fatto. Difatti, il reato è stato commesso il (OMISSIS) e pertanto doveva applicarsi il vecchio testo dell’art. 600 quater cod. pen. (anteriore alle modifiche apportate dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, art. 3), il quale prevedeva la pena alternativa della reclusione fino a tre anni ovvero della multa non inferiore ad Euro 1.549,00 (e difatti il Procuratore generale in appello aveva chiesto la sola multa di Euro 15.400,00).

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della pena ed alla continuazione, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d’appello di Genova. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed alla continuazione, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d’appello di Firenze.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *