Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-04-2011) 20-07-2011, n. 28893 Responsabilità penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. T.A., n. (OMISSIS), era imputato di una serie di reati in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e segnatamente delle contravvenzioni p. e p. dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 28, comma 4, in tema di impalcature nelle costruzioni in conglomerato cementizio (in quanto non sono stati protetti dalla caduta di materiali dall’alto i luoghi di transito e di stazionamento con un impalcato di sicurezza o con una chiusura continua in graticci sul fronte del ponteggio); dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 10, in tema di aperture nel suolo e nelle pareti (per non aver protetto le aperture esistenti nel suolo o nel pavimento dei luoghi o degli ambienti di lavoro o di passaggio, comprese le fosse ed i pozzi, con solide coperture o idonei parapetti atti ad impedire la caduta); dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 23, comma 4, in tema di intavolati (in quanto le tavole esterne dei piani di calpestio di ponti, passerelle, andatoie non erano a contatto dei montanti); dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 24, comma 1, in tema di parapetti (in quanto gli impalcati e ponti di servizio, le passarelle, le andatoie, posti ad un’altezza maggiore di m. 2, non erano provvisti su tutti i lati verso il vuoto di idoneo parapetto, costituito da uno o più correnti con margine superiore a non meno di m. 1 dal piano di calpestio e dotati di tavola fermapiede alta almeno 20 cm., messa di costa e aderente al tavolato); dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 38 in tema di ponti metallici (in quanto le e tavole che costituivano l’impalcato non erano state fissate in maniera da non poter scivolare sui traversi metallici); dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68, in tema di difesa delle aperture (in quanto le aperture nei solai o nei muri prospicienti il vuoto risultano prive di adeguata protezione contro la caduta di persone); dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 69, in tema di scale di muratura (in quanto le rampe di scale fisse in muratura erano prive di parapetti normali fissati rigidamente a strutture resistenti); dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 36 bis, comma 6, in tema di obblighi del datore di lavoro relativi all’impiego di attrezzature in quota (in quanto nell’esecuzione di lavori richiedenti l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, non ha adottato misure di protezione equivalenti ed efficaci); dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 20, comma 6, in quanto il ponteggio non era efficacemente ancorato alla costruzione al menu in corrispondenza ad ogni due piani di ponteggio e ad ogni due montanti, con disposizione a rombo.

2. Il tribunale di Fermo, all’udienza del 26 gennaio 2010 disponeva la revoca del decreto penale opposto emesso nei confronti dell’imputato in data 18.11.2008 e, dopo l’esame dell’ispettore del lavoro che ebbe ad eseguire gli accertamenti del caso, le parti hanno rassegnato ed illustrato le rispettive conclusioni.

Con sentenza in pari data il tribunale riconosceva l’imputato colpevole di tutti i reati ascrittigli e, pertanto, lo condannava alla pena di Euro 900 di ammenda per ciascuno dei reati di cui ai capi A), B), C), E), F), G) ed I) e di Euro 3.000 di ammenda per ciascuno dei reati di cui ai capi D) e d H) e così complessivamente alla pena di Euro 12.300 di ammenda.

Secondo il tribunale la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati ascrittigli emergeva dagli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento formato ex art. 431 c.p.p. e dalla deposizione della teste ispettore A.D.M.. Quest’ultima in particolare aveva confermato i risultati dell’ispezione il cui verbale era acquisito agli atti e di aver personalmente da un lato accertato le singole violazioni oggetto di contestazione, dall’altro individuato l’imputato tramite apposita visura camerale quale corresponsabile della ditta sottoposta ad ispezione, da ultimo precisando che il predetto non aveva provveduto al pagamento delle somme determinate a titolo di oblazione amministrativa al quale era stato ammesso.

Da tali indiscutibili dati obiettivi risultano pienamente integrate tutte le violazioni contestate nel capo di imputazione, non avendo del resto l’imputato, rimasto contumace, neppure in questa sede fornito giustificazioni di sorta in ordine alle suddette riscontrate violazioni.

3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con quattro motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso, articolato in quattro motivi, è infondato.

2. Non possono essere accolti il primo ed il terzo motivo con cui il ricorrente si duole della omessa comunicazione al difensore legittimamente impedito della data del rinvio dell’udienza.

Questa Corte (Cass., sez. 5, 11 maggio 20 10 – 8 luglio 20 10, n. 26168) ha affermato in proposito che l’omessa notifica – al difensore di fiducia impedito – del rinvio dell’udienza disposto con contestuale indicazione della data di rinvio e alla presenza del difensore di ufficio, designato ex art. 97 c.p.p., comma 5 non determina alcuna nullità, in quanto il difensore di ufficio nominato in luogo di quello impedito agisce in nome e per conto di quello di fiducia sostituito e rappresenta la parte processuale interessata al corretto andamento del processo.

3. Infondato è anche il secondo motivo con cui il ricorrente deduce l’abrogazione della disposizione incriminatrice per effetto del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. C’è infatti continuità normativa tra la precedente disciplina di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la cui violazione è stata contestata all’imputato, e la nuova disciplina dettata dal D.Lgs. n. 81 del 2008 sempre in materia di misure antinfortunistiche. Infatti il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 138 prevede – e sanziona – analoghe prescrizioni in tema di ponteggi;

sicchè deve escludersi l’abolitio criminis predicata dal ricorrente.

4. Infondato è infine il quarto motivo di ricorso con cui il ricorrente si duole della mancata applicazione della disciplina della continuazione del reato.

Questa Corte (Cass., sez. 4, 13 aprile 1992 – 22 maggio 1992, n. 6133) ha affermato che l’identità del disegno criminoso – in esecuzione del quale devono essere compiute le varie azioni od omissioni violatrici, anche in tempi diversi, della stessa o di diversa disposizione di legge – si pone in insanabile contrasto con la norma dell’art. 43 cod. pen., secondo cui il delitto colposo è "contro l’intenzione" e l’evento, perciò, "non è voluto". Ne consegue, pertanto, che non è applicabile la continuazione ex art. 81 cod. pen. tra condotte che, colposamente, abbiano provocato un evento delittuoso o tra tali condotte ed altre azioni od omissioni integranti ipotesi di reato (principio affermato proprio in tema di inosservanza di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro).

Conf. Cass., sez. 4, 19 giugno 2007 – 28 settembre 2007, n. 35665;

Cass., sez. 4, 17 gennaio 2001 – 27 febbraio 2001, n. 8164. 5. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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