Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-03-2011) 20-07-2011, n. 28890

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Brescia, con sentenza dell’8 aprile 2010, previa modificazione dell’imputazione nel reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 (peraltro originariamente contestato), ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo il 21 aprile 2009, che – dopo aver dichiarato non doversi procedere in relazione ai rifiuti non pericolosi, perchè estinto il reato per oblazione – ha condannato T.F. alla pena di 2.600,00 di ammenda, perchè in qualità di direttore dello stabilimento di (OMISSIS) dell’Azienda Agricola Fungorobica srl, munito di delega in materia di osservanza della normativa sui rifiuti, in assenza di autorizzazione, effettuava un deposito temporaneo incontrollato di rifiuti speciali pericolosi – filtri di olio esausto – all’interno di un cassone collocato nello stabilimento, sino all'(OMISSIS).

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Inosservanza od erronea applicazione della legge con riferimento alla ritenuta sussistenza della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 anche in riferimento alla violazione del principio di offensività. Il ricorrente, dopo aver riassunto gli orientamenti giurisprudenziali in tema di deposito incontrollato di rifiuti, ha posto in evidenza che l’autorizzazione risulta necessaria solo se deve essere svolta attività di smaltimento, e quindi il deposito viene a qualificarsi preliminare, mentre non sussisterebbe nel caso di specie alcuna finalizzazione a tale attività di smaltimento, che era stata demandata a terzi. A parere del ricorrente, posto che deve considerarsi coperto da giudicato il fatto che fossero rispettate le altre condizioni previste dall’art. 183, lett. m), e che le successive attività di smaltimento sarebbero state svolte da terzi, la ditta Fungorobica non necessitava di autorizzazione, in quanto non svolgeva alcuna delle attività di smaltimento, ovvero attività ad essa prodromiche. Inoltre, non era mai stata contestata l’inosservanza dell’obbligo di raggruppamento omogeneo, per cui la sentenza di primo grado era certamente nulla per difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, avendo il Tribunale di Bergamo riqualificato il fatto in riferimento al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2; tale eccezione era stata già sollevata in appello dalla difesa, ma anzichè essere accolta, aveva indotto i giudici di secondo grado a sposare di nuovo la qualificazione giuridica formulata con l’originaria imputazione (relativa alla violazione di cui al comma 1). Il ricorrente ha quindi riproposto in questa sede la censura di nullità per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, pur dovendosi tener conto che non risulterebbe configurabile nè l’ipotesi del primo, nè quella del comma 2, in quanto non è stata provata l’offensività della violazione dell’obbligo di raggruppamento omogeneo di rifiuti.

2. Manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione. La sentenza avrebbe motivato in maniera contraddittoria ed illogica la sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie. Infatti la sentenza impugnata non avrebbe contestato all’imputato lo svolgimento in proprio di alcuna attività di smaltimento dei rifiuti, circostanza che deve ritenersi coperta da giudicato.

3. Inosservanza e/o erronea applicazione della legge con riguardo alla sussistenza della colpa e mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione. La sentenza avrebbe ritenuto provato il difetto di vigilanza, ponendo a base il fatto che i filtri fossero in numero "ragguardevole", ossia mostrassero un accatastamento ripetuto nel tempo, mediante un’operazione meramente presuntiva della culpa in vigilando. Mentre la difesa aveva fatto da sempre richiamo al principio di affidamento, in quanto era stato provato dall’escussione del teste Valenti, che egli, quale incaricato dello specifico incombente, prima di andare in pensione, aveva istruito sulle operazioni di carico-scarico di rifiuti il nuovo addetto.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

In tema di gestione dei rifiuti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che quando il deposito di rifiuti non possiede i requisiti fissati dalla legge (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183) per essere qualificato quale temporaneo, si realizza secondo i casi: a) un abbandono ovvero un deposito incontrollato sanzionato, secondo i casi, dal D.Lgs. 152 del 2006, art. 255, e art. 256, comma 2); b) un deposito preliminare, necessitante della prescritta autorizzazione in quanto configura una forma di gestione dei rifiuti;

c) una messa in riserva in attesa di recupero, anch’essa soggetta ad autorizzazione in quanto forma di gestione dei rifiuti (per le ipotesi b) e c) la mancanza di autorizzazione è sanzionata D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 256, comma 1) (in tal senso si veda Sez. 3, n. 39544 del 11/10/2006, Tresolat, Rv. 235703).

In particolare, per quanto attiene al reato di deposito incontrollato di rifiuti, lo stesso è integrato quanto venga accertata un’attività di stoccaggio e smaltimento di materiali, costituiti anche in parte da rifiuti, abusivamente ammassati su una determinata area, che rientri nella disponibilità dell’imputato (Cfr. Sez. 3, n. 11802 del 29/1/2009, Berardi, Rv. 243402) e non è necessario che tutti i rifiuti abbandonati siano pericolosi, essendo sufficiente l’accertamento dei tale qualità di almeno uno di essi (Sez. 3, n. 14750 dell’11/3/2008, Gardini e altro, Rv. 239668).

A norma del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. I), rappresentano stoccaggio quelle attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti (di cui al punto D15 dell’All. B alla parte 4^ del Decreto), nonchè le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali (di cui al punto R13 dell’All. C alla medesima parte quarta); in base alla lett. m) del citato art. 183, rappresenta deposito temporaneo il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle specifiche condizioni elencate nella disposizione, tra le quali, per ciò che rileva nel caso di specie,che i rifiuti pericolosi vengano raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo determinate modalità, da scegliersi in via alternativa, ma, quanto meno, con cadenza bimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito, mentre per i rifiuti non pericolosi, che ciò avvenga quanto meno con cadenza trimestrale; inoltre "il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonchè, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute" (punto 4).

2. Nel caso in esame era stato accertato che il cassone sito nel piazzale della ditta conteneva rifiuti promiscui (quali rottami di ferro, più che numerosi filtri di olio esausto ed un monitor di computer dismesso), qualificati sia come rifiuti non pericolosi – in relazione ai quali l’ipotesi di reato è stata dichiarata estinta per intervenuto pagamento dell’oblazione – sia come rifiuti pericolosi, e tale accumulo indebito, attuato con commistione di tipologie di rifiuti diversi, è stato contestato correttamente nel capo di imputazione.

Peraltro il giudice di prime cure aveva ritenuto che tale condotta configurasse un deposito incontrollato (art. 256, comma 2), attesa proprio la commistione dei rifiuti di tipo diverso e il fatto che il deposito dei rottami in ferro era stato accertato come risalente da tempo superiore ad un anno; invece i giudici di appello, sulla base della medesima condotta, hanno correttamente ritenuto che la forma di gestione di rifiuti occorsa nel caso di specie fosse quella del deposito preliminare (art. 256, comma 1), realizzato cioè in vista di successive operazioni di smaltimento, ma mancante dei requisiti previsti dal sopra richiamato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. m) per essere un deposito temporaneo lecito.

Pertanto risulta infondata la doglianza circa il difetto di correlazione tra reato contestato e reato accertato: come già chiarito anche nella sentenza impugnata, il fatto contestato all’imputato, in relazione al quale lo stesso ha potuto esercitare pienamente il diritto di difesa, è sempre stato il medesimo, anche se il primo giudice, esercitando le proprie prerogative circa la possibilità di attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica, aveva ritenuto che lo stoccaggio contestato configurasse un deposito incontrollato.

3. Quanto poi alla asserita mancanza di offensività del fatto, si deve ribadire che la fattispecie in oggetto è strutturata quale mera violazione di prescrizioni imposte dalla legge al fine di evitare la messa in pericolo del bene giuridico tutelato, per cui non è necessaria la prova dell’effettiva messa in pericolo dell’ambiente.

4. In nessuna delle due sentenze è stato mai affermato che l’imputato avesse realizzato un’attività di smaltimento non autorizzata, sicchè il secondo motivo di ricorso risulta infondato.

5. Per quanto attiene poi all’ultima doglianza, con la quale si asserisce la mancanza di qualsivoglia aspetto di responsabilità colposa, la stessa è ugualmente infondata. I giudici di appello hanno fornito ampia e congrua risposta ad identica censura già sollevata in tale sede, ponendo l’accento sul fatto che il numero dei filtri d’olio esausti degli automezzi, rinvenuti nel cassone, rappresentavano un segno inequivocabile della non occasionalità di tale illecito stoccaggio, per cui, di conseguenza, risultava di certo imputabile all’imputato per la sua qualità di direttore di stabilimento, sia un difetto di vigilanza circa la corretta applicazione delle norme relative ai rifiuti da parte dei dipendenti addetti, sia un difetto di formazione nei confronti dello specifico dipendente al quale erano state affidate le operazioni materiali di gestione dei rifiuti.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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