Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-12-2011, n. 26522 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Fallimento R.I.M.A.I. di Antonello Franco e C. s.n.c. e dei soci in proprio agiva in giudizio ex art. 67, comma 2 L.F., nei confronti della Banca Commerciale Italiana, poi Intesa Gestione Crediti s.p.a., chiedendo la condanna della convenuta alla restituzione della somma di Euro 14.484,88, oltre interessi e rivalutazione, per la revocatoria delle rimesse in conto corrente effettuate dalla società nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento rispetto agli sconfinamenti dal fido, concesso sino a 20 milioni di lire.

Il Tribunale riteneva revocabili i versamenti effettuati nel periodo dal 22/3/90 al 16/5/90, aventi natura solutoria, negli importi di complessivi Euro 14484,88, e condannava la Banca alla restituzione di detto importo, oltre il maggior danno da svalutazione monetaria e gli interessi legali, dalla domanda al soddisfo.

La Corte d’appello, con sentenza 18 aprile 2007, accoglieva l’appello e respingeva la domanda del Fallimento. Superate le eccezioni di nullità della domanda e di nullità o inesistenza della notificazione dell’atto di riassunzione, la Corte ha ritenuto non provata da parte della Curatela la scientia decoctionis, risultando solo la qualità di banchiere del creditore, mentre, a contrario, non era stata fornita alcuna prova della conoscenza da parte della Banca del bilancio della società; l’incremento dello sconfinamento denotava fiducia nella cliente; era intercorso un lasso di tempo non rilevante tra lo stato di crisi, che comunque la società aveva tentato di rendere meno visibile "coprendo" gli assegni prima che fossero protestati, e le rimesse in questione; non risultavano protesti; normale, nella dinamica del credito, doveva ritenersi il ricorso al decreto ingiuntivo ed erano assenti anomalie nella movimentazione del conto, che alla data di inizio del periodo analizzato (1/1/1990) era di lire 19.575.855, ed alla data di registrazione dell’ultima operazione, risultava di lire 27.760.494.

Ricorre il Fallimento sulla base di un unico motivo. Intesa Sanpaolo s.p.a., già Banca Intesa s.p.a., ha depositato controricorso, nonchè la memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1.- Con l’unico motivo, il Fallimento denuncia vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 2 L.F., deducendo che nel caso la qualità soggettiva del creditore costituisce presunzione grave, precisa e concordante di conoscenza dello stato di insolvenza;

che tale condizione soggettiva esclude la presunzione di ignoranza, per doversi riferire l’ordinaria prudenza alla Banca, professionalmente attrezzata; che per costante giurisprudenza, vanno ritenute revocabili le rimesse su conto "scoperto" aventi natura solutoria, allorchè siano stati superati i limiti dell’affidamento, come avvenuto nel caso; che l’eventus damni si concretizza nella violazione della par condicio creditorum (il rilievo è evidentemente relativo a profilo diverso da quello impugnato).

1.2.- Il motivo deve ritenersi inammissibile. Trova applicazione al ricorso in oggetto il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabile ai sensi dell’art. 27, comma 2, ai ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze rese pubbliche in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso, atteso che nel caso la sentenza è stata depositata il 18 aprile 2007 (e quindi nella vigenza del D.Lgs. n. 40 del 2006, ed in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, il cui art. 47 ha abrogato l’articolo in oggetto).

Ciò posto, si rileva che il quesito di diritto risulta articolato, in chiusura del motivo unico proposto, come segue: "dica l’Ecc.ma Corte se dalle prove fornite dalla Curatela e dalle risultanze delle attività istruttorie, risulta provata la scientia decoctionis della Banca relativamente ai versamenti di natura solutoria, effettuati dal 22/3/90 al 16/5/90".

E’ di palese evidenza come il quesito sia stato genericamente articolato in termini interrogativi nei confronti della Corte, e basato sulle questioni di mero fatto della rivalutazione delle prove e delle risultanze istruttorie, senza indicare in alcun modo la ratio decidendi che, se seguita, avrebbe portato a diversa decisione (vedi Cass. S.U. 20360/2007, che si è espressa nel senso che il principio di diritto consiste in una chiara sintesi logico-giuridica della questione formulata al giudice di legittimità; vedi anche Cass. S.U. 2658/2008).

Nel motivo, invero, la parte ha inteso richiedere alla Corte il riesame delle circostanza di fatto emerse in causa, allo scopo di pervenire alla conclusione opposta rispetto a quella assunta dalla Corte salernitana: anche sotto tale profilo, a volere ritenere che al di là della rubrica del motivo, la parte abbia inteso far valere un vizio motivazionale, deve concludersi per l’inammissibilità, essendosi la parte limitata a prospettare e far valere una ricostruzione dei fatti diversa da quella per cui ha concluso il Giudice di merito, senza individuare e precisare le eventuali carenze o lacune della decisione impugnata, l’illogicità della stessa o 1’incoerenza tra le ragioni esposte, l’incompatibilità degli argomenti ed il contrasto insanabile tra gli stessi.

3.1.- Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il Fallimento al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1700,00, oltre Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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