T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 27-07-2011, n. 639

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

a) relativamente al ricorrente è stata presentata una dichiarazione di emersione dal lavoro irregolare ex articolo 1ter del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102; b) che nell’ambito del procedimento di emersione con l’atto impugnato è stato negato il permesso di soggiorno in quanto si è ritenuto che il ricorrente rientrasse nella ipotesi di non regolarizzabilità prevista dal comma 13 lettera c) (secondo cui non possono essere regolarizzati gli stranieri "che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice") essendo stato condannato per il reato previsto dall’articolo 14, comma 5ter del d.lg. 25 luglio 1998, n. 286 (il reato cd. di "immigrazione clandestina"; c) con il ricorso all’esame è impugnato il diniego e denunciato che il precedente sopra indicato non è preclusivo della sanatoria;

Premesso altresì che, in relazione alla questione della regolarizzabilità degli stranieri condannati per "immigrazione clandestina", l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7 del 10 maggio 2011, ai cui principi la sezione ha già prestato adesione, ha chiarito che "in tema di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari condannati, il reato di violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato previsto dall’art. 14, comma 5 ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, punito con una pena edittale fino a quattro anni di reclusione e per il quale è previsto l’arresto obbligatorio il legislatore italiano, non è più compatibile con la disciplina comunitaria delle procedure di rimpatrio di cui alla direttiva 2008/115/CE. Pertanto, l’entrata in vigore della normativa comunitaria ha prodotto l’abolizione del reato previsto dalla disposizione sopra citata, e ciò, a norma dell’art. 2 del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l’esecuzione della condanna e i relativi effetti penali. Tale retroattività non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato, in quanto il principio del tempus regit actum esplica la propria efficacia allorché il rapporto cui l’atto inerisce sia irretrattabilmente definito, e, conseguentemente, diventi insensibile ai successivi mutamenti della normativa di riferimento. Tale la circostanza, evidentemente, non si verifica ove siano stati esperiti gli idonei rimedi giudiziari volti a contestare l’assetto prodotto dall’atto impugnato";

Premesso infine che, in relazione alla novità giurisprudenziale sopra citata, l’amministrazione ha sostenuto che si sarebbe verificata una ipotesi di "cessazione della materia del contendere";

Ritenuto che non si sia verificata la "cessazione della materia del contendere", che presuppone il ritiro dell’atto impugnato e la sua sostituzione con altro atto conforme all’istanza del ricorrente e, quindi, totalmente satisfattivo del suo interesse, e che il ricorso debba pertanto essere accolto poiché l’atto impugnato si fonda su un presupposto inesistente (cioè un precedente penale ostativo della regolarizzazione);

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna il ministero dell’interno al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro millecinquecento.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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