T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 27-07-2011, n. 6714

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la Determinazione dirigenziale n. 479 in data 23.3.2011 è stata ordinata al ricorrente la demolizione di alcune opere abusive da lui realizzate.

In particolare, si tratta di "realizzazione di un chiosco in ferro con copertura in plastica per mq 5,95 circa e tenda retrattile di mt 3,50×2".

L’atto è stato impugnato con il ricorso in epigrafe che è affidato ai seguenti motivi di diritto:

1) Violazione e o falsa applicazione art. 10 e ss. DPR 380/2001; anche in combinato disposto con artt. 822 e 824 cc; eccesso di potere per travisamento dei fatti; (si sostiene che per la struttura in questione non è richiesto il titolo abilitativo ritenuto necessario dalla PA; in proposito, il manufatto non è ancorato al suolo in modo definitivo e non è destinato a soddisfare esigenze durature);

2) Violazione e o falsa applicazione art. 3 L. 241/90 eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di istruttoria; (si lamenta la carenza motivazionale dell’atto);

3) Violazione e o falsa applicazione art. 7 L. 241/90;

4) Violazione e o falsa applicazione art. 35 DPR 380/2001; art. 21 l.r. 15/2008 (infine, si precisa che il ricorrente non è responsabile dell’abuso e che il chiosco è stato realizzato ben prima di quando lo stesso è subentrato nella attività commerciale).

In data 13.7.2011 si è costituita controparte.

Il presente giudizio può essere definito con decisione in forma semplificata stante la completezza del contraddittorio e della documentazione di causa; di ciò sono stati resi edotti i difensori delle parti.

Le censure dedotte non meritano positivo apprezzamento.

In particolare:

a). dall’esame degli atti istruttori risulta che le opere in questione non hanno natura provvisoria o temporanea; non risultano facilmente amovibili e impattano sul territorio in maniera stabile;

b). circa la censura di difetto di motivazione dell’impugnato provvedimento di demolizione, emesso a notevole distanza di tempo dalla realizzazione degli abusi, senza alcuna valutazione dell’affidamento ingenerato, la doglianza è priva di qualsiasi fondamento alla luce del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5049; 10 dicembre 2007, n. 6344; 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5229);

c). per consolidata regola giurisprudenziale, ampiamente condivisa da questo TAR, in tema di omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento (strumento principale di partecipazione), i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi non devono essere preceduti dal suddetto avviso, trattandosi di provvedimenti tipici e vincolati emessi all’esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime (Cons. Stato, sez. IV, 30 marzo 2000, n. 1814; T.A.R. Campania, sez. IV, 28 marzo 2001, n. 1404, 14 giugno 2002, n. 3499, 12 febbraio 2003, n. 797).

Più recentemente è stato precisato che la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non costituisce un motivo idoneo a determinare l’annullabilità dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi, in quanto è palese, attesa l’assenza di qualsivoglia titolo abilitativo all’edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", sicché sussiste la condizione prevista dall’art. 21 octies, comma 2, della L.n. 241 del 1990 per determinare la non annullabilità del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 maggio 2009, n. 3029);

d). infine, non rileva che l’abuso sarebbe stato compiuto dal dante causa nel contratto di compravendita dell’immobile in quanto il ricorrente ha l’attuale titolarità e disponibilità del bene.

In definitiva, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del presente giudizio, il cui importo viene liquidato come da dispositivo, debbono essere poste a carico del ricorrente in quanto soccombente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando:

– Rigetta il ricorso in epigrafe.

– Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del resistente, quantificate in Euro 1.000,00 (mille/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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