T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 27-07-2011, n. 6726 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame l’allora tenente colonnello B. chiedeva l’annullamento del decreto del Ministro delle finanze 25 luglio 1997 che, nel revocare la sospensione obbligatoria dall’impiego per custodia cautelare, lo ha collocato in posizione di sospensione precauzionale, per la gravità dei fatti contestati in un procedimento penale pendente innanzi al Tribunale ordinario di Perugia.

A sostegno dell’impugnativa il ricorrente, rammentati i fatti, deduceva:

Eccesso di potere e violazione di legge per carenza di potere nonché falsa, erronea applicazione di norme giuridiche in ordine ai presupposti. Il ricorrente essendo soltanto indagato e non imputato non poteva essere assoggettato a misure cautelari punitive, non più giustificabili, con il nuovo ordinamento del processo penale, dalla lettera dell’articolo 29 della legge n. 113/1954.

Eccesso di potere per contraddittorietà tra decreto impugnato e precedente circolare della stessa amministrazione e per violazione di quest’ultima.

Eccesso di potere e violazione di legge per difetto assoluto di motivazione, sviamento dalla causa tipica, illogicità, manifesta irragionevolezza ed iniquità.

Eccesso di potere e violazione di legge per violazione del principio del giusto procedimento e per difetto di istruttoria a cagione della denegata partecipazione dell’interessato al procedimento a norma della legge n. 241/1990.

Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, illogicità e manifesta irragionevolezza nonché violazione di legge a cagione della mancata indicazione del termine di durata della sospensione precauzionale dall’impiego.

Eccesso di potere per disparità di trattamento.

Eccesso di potere e violazione di legge per travisamento dei fatti nonché falsa, erronea applicazione di norme giuridiche afferenti i presupposti non sussistendo, ad avviso del ricorrente, un supporto normativo alla disposta riduzione a metà dello stipendio).

Alla Camera di Consiglio del 17 dicembre 1997 la domanda di sospensione venne rinviata al merito.

Il ricorrente con memoria ha insistito nelle sue tesi.

Ciò premesso il ricorso è infondato e deve essere respinto per le seguenti, brevi considerazioni:

L’articolo 29 della legge 10 aprile 1954 n. 113 consente la sospensione precauzionale dall’impiego dell’ufficiale indipendentemente dall’avvio di un formale procedimento penale, quando all’ufficiale stesso "siano addebitati fatti per i quali possa essere sottoposto a procedimento penale".

Pertanto, a differenza che per gli impiegati civili, il particolare status di ufficiale comporta che l’Amministrazione militare possa disporne il temporaneo allontanamento dal servizio, a fini di tutela della propria immagine, anche prima del formale avvio dell’azione penale sulla base della mera sottoposizione ad indagini per fatti ritenuti obiettivamente gravi, senza che si debba a tal fine valutare alcun concreto profilo di colpevolezza.

Appare quindi condivisibile l’orientamento giurisprudenziale per il quale "Ai fini dell’adozione della sospensione cautelare facoltativa ex art. 29 della legge 10 aprile 1954 n. 113, è sufficiente – a differenza di quella contemplata nell’art. 91 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 – la mera sottoposizione dell’ufficiale, cui sono addebitati fatti di una certa gravità, ad un procedimento penale o disciplinare; ne consegue che, in tal caso, è da ritenersi valido presupposto della misura cautelare anche la mera comunicazione all’interessato, con l’indicazione delle norme violate e la data dei fatti addebitati, senza la preventiva contestazione di addebiti (Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 584 del 993).

Né può farsi questione della mancata assunzione dello status di imputato, posto che la disposizione applicata espressamente fa leva sui soli fatti addebitati che possano dar luogo (evidentemente anche in un momento successivo alla data di sospensione dall’impiego) a procedimento penale, includendo di conseguenza anche la fase delle indagini preliminari.

Non ha fondamento poi la censura di difetto di motivazione (sull’effettiva sussistenza di un interesse pubblico specifico, sul fine del potere esercitato, sulla personalità dell’incolpato) posto che la norma dell’articolo 29 conferisce all’Amministrazione un ampio potere discrezionale di valutazione di obiettive ragioni di temporanea incompatibilità con l’impiego militare, ove la gravità dei fatti (addebitati) lo consigli.

Anche sotto tale aspetto il Collegio condivide quanto affermato nella già citata sentenza di appello per cui "Nell’adozione di un provvedimento di sospensione precauzionale dall’impiego ai sensi dell’art. 29 della legge 10 aprile 1954 n. 113, l’onere della motivazione può ritenersi assolto con l’indicazione dei reati addebitati all’ufficiale che denotano l’obiettiva gravità dei fatti senza necessità di un’analitica specificazione dei motivi per i quali l’Amministrazione ha ritenuto la gravità dei fatti".

Neppure ha pregio il richiamo ad una circolare del Comando che individua nella sottoposizione a procedimento penale il presupposto per disporre la sospensione cautelare, sia per il principio di gerarchia delle fonti (posto che l’articolo 29 si riferisce testualmente a fatti che possano condurre a procedimento penale) sia perché manca, nella circolare stessa (almeno a quanto riferito dal ricorrente) un accenno alla specifica previsione del citato articolo 29.

Non risulta utile invocare inoltre le disposizioni recate dalla legge n. 241/1990 in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, posto che secondo la prevalente giurisprudenza la sospensione cautelare dall’impiego per gravi ragioni di interesse pubblico è atto di iniziativa dell’Amministrazione che, per l’urgenza nel provvedere e le finalità ad essa sottese, non si presta alla partecipazione del dipendente ed al suo preventivo coinvolgimento.

Al riguardo è sufficiente rammentare l’orientamento più recente del giudice di appello secondo il quale "Il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio è privo di un vero e proprio carattere sanzionatorio e possiede ratio e presupposti ben diversi da quelli che caratterizzano il provvedimento disciplinare; esso può essere adottato con valutazione discrezionale della p.a. circa il comportamento posto in essere dal proprio dipendente, valutazione che è necessariamente condizionata da criteri di urgenza e celerità tali da consentire la preminente esigenza di tutelare gli interessi di rilievo pubblico coinvolti e il prestigio dell’amministrazione che può essere compromesso dall’attività del dipendente. Pertanto, il relativo procedimento non può essere gravato dalle prescrizioni dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, il quale, se pur reca un principio generale, non è applicabile quando sussistano comprovate esigenze di celerità che, se di regola devono essere esplicitate, possono ritenersi implicite nella finalità cautelare propria della sospensione dal servizio.

(Consiglio Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010 n. 19).

Con il quinto motivo di ricorso il B. contesta la legittimità del decreto impugnato, per non recare lo stesso un termine finale di durata dei suoi effetti.

La censura è infondata, in quanto il provvedimento di sospensione cautelare dall’impiego per fatti oggetto di indagini penali (tipico, come si è visto, dello stato degli ufficiali) è, per sua natura, legato alla evoluzione delle vicende che coinvolgono il dipendente, onde allo stesso sono applicabili le regole proprie della sospensione cautelare c.d. obbligatoria di cui all’articolo 91 del T.U. 1957 n. 3,

che non contempla termini finali (salvo il limite massimo del quinquennio introdotto dall’articolo 9 secondo comma della legge 1990 n. 19).

Spetta all’Amministrazione, anche su impulso del dipendente, valutare se nuovi fatti o l’iter del procedimento penale impongano o almeno consentano di rivedere la posizione dell’impiegato già sospeso.

Non ha poi rilievo la censura di eccesso di potere formulata indicando casi di ufficiali implicati a vario titolo in vicende penali e non sospesi dall’impiego, in quanto nella materia l’Amministrazione dispone di ampio potere discrezionale in ordine a valutazioni da effettuare caso per caso (salvo che si tratti di posizioni del tutto identiche, il che non ricorre nel caso in esame).

Con l’ultimo dei motivi addotti il ricorrente contesta infine la riduzione a metà degli assegni per il tempo della sospensione, ritenendo incongruo il richiamo all’articolo 22 del R.D. 31 dicembre 1928 n. 3458, che, a suo avviso, non riguarderebbe gli ufficiali di finanza.

Il motivo è palesemente infondato, posto che la disciplina del trattamento economico contenuta nel citato articolo 22 riguarda i casi di sospensione cautelare dall’impiego degli ufficiali contemplati dall’articolo 29 della legge n. 113/1954, pacificamente applicabile alla guardia di finanza.

In ogni caso sul punto sovviene la regola generale contenuta nell’articolo 82 del T.U. 10 gennaio 1957 n.3, che attribuisce all’impiegato sospeso dal servizio un assegno alimentare non superiore alla metà.

Il ricorso deve essere in definitiva respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore dell’Amministrazione resistente (che non ha svolto difese scritte) nella misura ridotta di Euro 1000 (mille).

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese di giudizio nella misura di Euro 1000 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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