T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 27-07-2011, n. 6716

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il gravame in esame, le ricorrenti hanno impugnato per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, l’intimazione di pagamento n. 79054 del 27 ottobre 2009 con cui il Comune di Fiumicino ha richiesto loro la somma di euro 205.740,24 a titolo di occupazione ed edificazione abusiva, dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2008, di un tratto del demanio marittimo in località Fregene, via Silvi Marina (pari a 554 mq, di cui mq 233 coperti da manufatti e mq 141,80 di questi adibiti ad uso residenziale).

Le ricorrenti, dopo aver ripercorso le vicende che hanno interessato il rapporto concessorio del tratto demaniale di che trattasi, hanno proposto le seguenti censure:

1) violazione e falsa applicazione della legge n. 1034 del 1971; violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990.

Il provvedimento impugnato reca quale termine per l’impugnazione al Tribunale amministrativo regionale quello di trenta giorni dalla conoscenza del provvedimento quando la legge 6 dicembre 1971, n. 1034 prevede il termine decadenziale di sessanta giorni. Ciò è causa di illegittimità dell’atto impugnato;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 257, della legge n. 296 del 2006; eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, manifesta illogicità e irragionevolezza, contraddittorietà palese, sviamento; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 per carenza della motivazione; in via subordinata, illegittimità della circolare dell’Agenzia del demanio del 21 febbraio 2007.

L’art. 1, comma 257, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), con riferimento alle opere eseguite abusivamente sui beni demaniali marittimi, ha portata innovativa e, quindi, deve essere applicata a partire dall’anno 2007 e non retroattivamente (ovvero a partire dal 2001, come nel caso di specie).

In caso contrario, risulterebbero violati i principi costituzionali e di derivazione comunitaria di certezza del diritto e di legittimo affidamento.

La norma, ivi contenuta, interpretativa dell’art. 8 della legge 4 dicembre 1993, n. 494, di conversione del decretolegge 5 ottobre 1993, n. 400, recante disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime, va quindi limitata al concetto "utilizzazione senza titolo…ovvero difformi dal titolo concessorio" enunciato in quell’art. 8. Da ciò deriva che l’indennizzo richiesto per gli anni 20012006 non è dovuto;

3) eccesso di potere per violazione della circolare dell’Agenzia del Demanio del 21 febbraio 2007; difetto di motivazione.

Il Comune di Fiumicino non ha fatto corretta applicazione della circolare dell’Agenzia del Demanio del 21 febbraio 2007 che ha semplicemente disciplinato le modalità di calcolo dell’indennizzo determinato dall’art. 1, comma 257, della legge n. 296 del 2006.

L’amministrazione comunale avrebbe dovuto pretendere l’indennizzo solo dall’anno 2007, in ragione della portata innovativa della norma, non derogabile dalla circolare dell’Agenzia del Demanio del febbraio 2007;

4) violazione degli artt. 1219 e 1224 cod. civ.; eccesso di potere, erroneità dei presupposti; travisamento dei fatti, manifesta illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà palese e sviamento; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

L’amministrazione ha conteggiato gli interessi dal gennaio 2001 su una somma non ancora esigibile. Le ricorrenti, invero, non sono mai state costituite in mora ai sensi dell’art. 1219 cod. civ. e, fino al gennaio 2007, i criteri per determinare l’indennizzo non erano stati determinati da una previsione di legge;

5) eccezione di prescrizione dei canoni richiesti per gli anni 20012004 ex art. 2948, n. 3 cod. civ..

I canoni richiesti per gli anni 20012004 sono prescritti ai sensi dell’art. 2948, n. 3 cod. civ. e, pertanto, non devono essere richiesti alle ricorrenti;

6) violazione dell’art. 8 del D.L. n. 400 del 1988. Risarcimento del danno ex art. 2 bis della legge n. 241 del 1990; eccezione di compensazione.

La mancanza di titolo in favore delle ricorrenti è stata causata dalla mancata conclusione del procedimento amministrativo volti al rinnovo del titolo concessorio da parte dell’amministrazione resistente, pur avendo presentato apposite domande.

Le ricorrenti non hanno alcuna colpa di tale situazione, addebitabile invece all’amministrazione comunale che, sebbene abbia avviato il relativo procedimento amministrativo, non lo ha poi concluso.

Tale condotta va censurata a titolo di "danno da ritardo", nell’accezione introdotta dall’art. 2bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e l’amministrazione comunale va condannata al risarcimento dei danni in favore delle ricorrenti anche perché il regolamento comunale n. 27 del 15 aprile 2004 prevede, all’art. 5, che il procedimento di che trattasi avrebbe dovuto concludersi in sessanta giorni.

Si sono costituiti in giudizio l’Agenzia del Demanio ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze eccependo, dapprima, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quello ordinario e chiedendo, comunque, il rigetto del ricorso perché infondato nel merito.

Con ordinanza n. 884/2010, è stata accolta la domanda cautelare di sospensione e, contestualmente, sono stati disposti incombenti istruttori a carico del Comune di Fiumicino (pronuncia poi reiterata con ordinanza n. 1875/2010), adempiuti attraverso il deposito di documentazione in data 28 febbraio 2011.

In prossimità della trattazione del merito, le ricorrenti hanno depositato memoria insistendo per l’accoglimento dell’impugnativa.

Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Va, in via preliminare, esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle parti resistenti costituite in giudizio.

1.1 Al riguardo, va anzitutto precisato che:

– non è smentito che, dopo il rilascio nel 1959 del titolo concessorio n. 628 (rinnovato con provvedimento n. 682 del 1962) in favore del dante causa delle ricorrenti (sig. T.A.), sono state presentate, nel tempo, due ulteriori istanze al Comune di Fiumicino (una nel 1989 da parte del predetto T.A. e la seconda nell’aprile 2002 dall’erede Toniolo Paola), rimaste senza esito;

– in data 18 aprile 2002 (prot. n. 2380), veniva altresì presentata istanza di regolarizzazione con riferimento al tratto demaniale di che trattasi, domanda che veniva integrata nell’aprile 2006 (prot. n. 23464) dalla documentazione richiesta del Comune di Fiumicino;

– in data 29 marzo 1986, altresì, l’avente causa delle ricorrenti (T.A.) presentava, ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, domanda di concessione in sanatoria n. 9936, anch’essa rimasta ancora senza esito.

1.2 Ciò premesso, nonostante le reiterate istanze di rinnovo della concessione demaniale ovvero di regolarizzazione, non risulta smentito che le ricorrenti, allo stato, occupano il tratto demaniale di che trattasi senza essere in possesso del necessario titolo concessorio, vale a dire senza titolo.

1.3 Sul punto, il Collegio, anche in ragione della situazione descritta ai precedenti punti 1.1 e 1.2, ritiene che il giudice amministrativo sia privo di giurisdizione (cfr, TAR Lazio, sez. II, 3 luglio 2008, n. 6378 e, sez. II Ter, 4 novembre 2008, n. 9569) sussistendo la giurisdizione del giudice ordinario.

Il citato art. 1, comma 257, della legge n. 296 del 2006 prevede invero che "Le disposizioni di cui all’articolo 8 del decretolegge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze. Qualora, invece, l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l’indennizzo dovuto è commisurato ai valori di mercato, ferma restando l’applicazione delle misure sanzionatorie vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi".

Con la nota impugnata il Comune resistente ha richiesto il pagamento di un indennizzo, ovvero di una somma di denaro, che ha il presupposto logico in un titolo, rilasciato a suo tempo ma ora scaduto, di concessione demaniale marittima.

Sul punto, giova rammentare che, come considerato dalla Corte di Cassazione con orientamento dal quale non v’è ragione di discostarsi, le controversie concernenti indennità, canoni od altri corrispettivi riservate, in materia di concessioni amministrative, dall’allora vigente art. 5, comma 2, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, alla giurisdizione del giudice ordinario sono quelle aventi un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione a tutela di interessi generali; quando invece la controversia coinvolga la verifica dell’azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, ovvero quando investa l’esercizio di poteri discrezionali o valutativi che hanno effetti sulla determinazione del canone e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali (sia sull’an che sul quantum), la medesima è attratta nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (in tal senso, Cass. Civ., SS.UU., 23 ottobre 2006 n. 22661).

Già in epoca antecedente, nella giurisprudenza amministrativa si registrava un orientamento nel senso sopra riportato: ovvero che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l’ingiunzione di pagamento del canone dovuto per l’occupazione abusiva di area demaniale, in quanto si tratta di questione che investe nella sostanza la quantificazione dell’indennizzo preteso dalla p.a. per l’occupazione sine titulo del bene (cfr. T.A.R. Sicilia Palermo, II, 15 novembre 2002 n. 3896 nonché, in epoca più recente, T.A.R. Toscana, I, 21 agosto 2007 n. 2032).

Questo orientamento trae peraltro fondamento dal contenuto di altre sentenze della Corte di Cassazione nelle quali si afferma che, in mancanza di un rapporto concessorio, la controversia sulla debenza dell’indennizzo dovuto per l’occupazione abusiva di area demaniale appartiene alla giurisdizione ordinaria, poiché riguarda i rispettivi diritti soggettivi delle parti (Cass. Civile, SS.UU. 8 luglio 2003 n. 10731).

La stessa giurisprudenza ha poi affermato che a nulla può valere la prospettazione da parte dell’occupante abusivo circa l’esistenza di una concessione, desumibile dal comportamento per facta concludentia della pubblica amministrazione, quando lo stesso ha riconosciuto che il titolo non è mai stato consacrato in un provvedimento espresso; tale prospettazione, infatti, non è in grado di mutare l’oggetto della controversia in un accertamento relativo all’esistenza di una concessione radicando di conseguenza la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia in quanto il rapporto sottostante riguarda sempre i diritti soggettivi delle parti (cit. Cass. Civ, SS.UU. 8 luglio 2003 n. 10731).

Sulla scorta di tali argomentazioni, parte della giurisprudenza amministrativa (TAR Sardegna, I, 27 settembre 2004, n. 1399) è arrivata ad affermare che la controversia avente ad oggetto la quantificazione delle somme spettanti all’Amministrazione intimata per abusiva occupazione di demanio (dove è assente qualsiasi profilo di esercizio autoritativo del potere) esula addirittura dallo schema applicativo dell’art. 5 della legge n. 1034 del 1971 in quanto il giudizio, non interferendo su atti o provvedimenti relativi a concessione del bene pubblico, riguarda questioni relative a rapporti obbligatori, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario (cfr. Cassazione Civ, SS.UU., 19 novembre 2001, n. 14543).

Questi orientamenti giurisprudenziali sono in linea con quanto ritenuto ormai definitivamente dalla Corte costituzionale nella sentenza 11 maggio 2006 n. 191, in tema di giurisdizione amministrativa esclusiva sulle controversie relative ai comportamenti delle p.a., secondo la quale non vi è spazio per la giurisdizione amministrativa se la controversia ha ad oggetto una vicenda rispetto alla quale non emerge alcuna contestazione circa l’esercizio di potestà autoritativa da parte della pubblica amministrazione.

Nel caso in esame, dunque, in disparte l’esplicito richiamo offerto dall’allora vigente art. 5 della legge n. 1034 del 1971 (ora art. 133, comma 1, lett. b, del cod. proc. amm.) trattandosi di controversia attinente alla sola questione del calcolo e della richiesta dell’indennità, non si rilevano elementi riconducibili all’esercizio di potestà autoritativa. Perciò il ricorso deve dichiararsi inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa.

Non conduce a diverse conclusioni quanto dedotto dalle ricorrenti con riferimento al fatto che, nella nota impugnata, non è stata indicata la tipologia di abuso contestata dal Comune (utilizzazione del bene demaniale in difformità dal titolo abilitativo; utilizzazione sine titulo; realizzazione abusiva di manufatti su area demaniale), in quanto si tratta comunque di un accertamento di fatto che non comporta apprezzamenti discrezionali da parte dell’amministrazione interessata.

In ogni caso, si tratta della determinazione di un indennizzo che viene richiesto in ragione dell’assenza di un titolo concessorio, in relazione al quale, come detto, non è revocabile in dubbio il fatto che le ricorrenti ne erano sprovviste e che sul punto non esista controversia giurisdizionale.

2. In conclusione, va declinata la giurisdizione amministrativa perché sussiste la giurisdizione ordinaria. La controversia, fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda (anche in ragione di quanto dedotto dalle ricorrenti con il primo motivo), potrà essere riassunta davanti al giudice ordinario nei termini e con le modalità previsti dall’art. 11 del cod. proc. amm.

3. Resta, tuttavia, da esaminare la richiesta avanzata nel sesto motivo di ricorso con cui si chiede la condanna del Comune di Fiumicino al risarcimento del "danno da ritardo" di cui all’art. 2bis della legge n. 241 del 1990, in ragione dei danni causati dalla mancata conclusione dei procedimenti dalle stesse avviati e di cui si è dato conto nel precedente punto 1.1..

Come noto, l’art. 2bis, comma 2, della legge n. 241 del 1990 (introdotto dall’art. 7, comma 1, lett. c, della legge 18 giugno 2009, n. 69) (oggi abrogato dall’art. dall’art. 41, n. 14, dell’Allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e sostituito dal generale art. 7 cod. proc. amm.) ha assegnato alla giurisdizione amministrativa esclusiva la competenza sulla domanda risarcitoria del "danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento". In effetti, le ricorrenti censurano la condotta omissiva del Comune, il quale non ha concluso i procedimenti amministrativi (di rinnovo della concessione demaniale e di rilascio della concessione in sanatoria per gli abusi commessi su quel tratto di demanio marittimo) che a loro dire aveva l’obbligo di portare a termine (rientrante, quindi, nel campo di applicazione del citato art. 2bis della legge n. 241 del 1990).

Il Collegio ritiene che, in ragione della declinatoria di giurisdizione amministrativa a conoscere della controversia in tema di indennizzo per occupazione abusiva, sia necessario disporre la sospensione del presente processo, ai sensi dell’art. 295 e seguenti del cod. proc. civ., applicabile al processo amministrativo in ragione del richiamo contenuto nell’art. 79 del cod. proc. amm.

La sospensione è necessaria perché la quantificazione del danno non può prescindere dalla valutazione della fondatezza delle censure proposte avverso la nota impugnata in questa sede, la cui cognizione, come detto, è stata rimessa al giudice ordinario.

A ciò si aggiunga che, come emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3 (seppure in fattispecie ben diversa), anche l’iniziativa processuale di parte rileva ai fini della quantificazione del danno, in applicazione dell’art. 1227 cod. civ.

Nel caso di specie, in ragione della declinatoria di giurisdizione amministrativa, è rimessa alle ricorrenti la facoltà di riproporre la controversia dinanzi al giudice ordinario: la circostanza che tale facoltà non venga esercitata (nel senso che le istanti scelgano di non riproporre la causa, ai sensi dell’art. 11 del cod. proc. amm.), se certamente non preclude l’esame della domanda risarcitoria per danno c.d. "da ritardo", non potrà non incidere sulla quantificazione del danno da risarcire.

Non osta alla sospensione del processo il fatto che, allo stato, non risulta ancora pendente il giudizio presso il giudice ordinario, in quanto un’interpretazione evolutiva del concetto di unità della giurisdizione, avviata dapprima con le sentenze della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e 12 marzo 2007, n. 77, poi, proseguita con le sentenze della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, in tema di "giudicato implicito sulla giurisdizione" (Cass., SS.UU., 9 ottobre 2008, n. 24883) e ora dal’art. 59 della legge n. 69 del 2009 e, con riferimento al processo amministrativo, dall’art. 11 del cod. proc. amm. (che fa salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda), consente di affermare che il processo è, allo stato, pendente, seppure sottoposto alla condizione (risolutiva) della prosecuzione (recte: riproposizione) dinanzi al giudice ordinario nel termine perentorio di tre mesi previsto dalla norma da ultimo citata.

Del resto, anche di recente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (21 aprile 2011, n. 9130 che richiama, a sua volta, la sentenza dello stesso organo n. 23596 del 2010) hanno ribadito che "il processo iniziato davanti ad un giudice, che ha poi dichiarato il difetto di giurisdizione, e riassunto nel termine di legge davanti al giudice, indicato dal primo come dotato di giurisdizione, non costituisce un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione dell’unico giudizio per quanto inizialmente introdotto davanti a giudice carente della, giurisdizione. Mediante l’istituto della translatio iudicii si mira proprio a realizzare la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda originaria, con esclusione della necessità della riproposizione ex novo della domanda, allorchè il giudizio è riattivato innanzi al giudice provvisto di giurisdizione, secondo i principi fissati dalla Corte Cost, (sentenza 12 marzo 2007, n. 77) e dalle S.U. della Corte di Cassazione (22 febbraio 2007, n. 4109). Il principio della conservazione degli effetti che la domanda avrebbe proposto se presentata al giusto giudice, deve trovare attuazione pratica col consentire alle parti di proseguire davanti ad un secondo giudice quello stesso processo iniziato davanti a quello male individuato dall’attore. I principi costituzionali di effettività e certezza della tutela giurisdizionale impongono che la funzione di dare giustizia, pur articolata secondo il sistema della Costituzione, attraverso una pluralità di ordini giurisdizionali non sia da questa ostacolata. Ne è derivato l’effetto di una riduzione ad unità del processo dalla domanda alla decisione finale, con la connessa privazione di rilevanza impeditiva, così come per la competenza, all’errore iniziale della parte nella individuazione del giudice provvisto di giurisdizione".

In ragione di ciò, il processo, con riferimento alla domanda risarcitoria, va sospeso ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. (richiamato, come detto, dall’art. 79 cod. proc. amm.) e dovrà essere proseguito nei termini e con le modalità di cui al successivo art. 297, da applicarsi anche nel caso in cui la causa non sia riproposta dinanzi al giudice ordinario.

4. In conclusione, con riferimento all’impugnazione dell’intimazione di pagamento prot. n. 79054 del 27 ottobre 2009, va declinata, ai sensi dell’art. 11 cod. proc. amm., la giurisdizione amministrativa sussistendo la giurisdizione ordinaria, con permanenza dell’efficacia delle misure cautelari concesse con le ordinanze n. 884/2010 e n. 1875/2010 nei limiti previsti dal comma 7 del citato art. 11.

Per quanto riguarda la domanda risarcitoria, il processo va sospeso ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. e, come detto nel punto precedente, dovrà riprendere nei termini e con le modalità di cui al successivo art. 297, anche nel caso in cui la causa non sia riassunta dinanzi al giudice ordinario.

5. Le spese di giudizio saranno liquidate all’esito della pronuncia definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

– con riferimento all’impugnazione dell’intimazione di pagamento prot. n. 79054 del 27 ottobre 2009, declina, ai sensi dell’art. 11 del cod. proc. amm., la giurisdizione in favore di quella del giudice ordinario;

– in merito alla domanda risarcitoria, sospende il processo ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. nei sensi di cui in motivazione.

Spese del giudizio all’esito della pronuncia definitiva.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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