Cass. civ. Sez. I, Sent., 13-12-2011, n. 26750

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.N.A., premesso di avere conferito alla Società Cordusio – società fiduciaria per azioni, congiuntamente alla sorella M.R., l’incarico di amministrazione fiduciaria di determinati titoli e valori, agiva per fare accertare l’inadempimento della società alla disposizione di rilasciare al terzo indicato dalla stessa fiduciante la delega per partecipare all’assemblea del 30/11/2002 della Promeco Engineering s.r.l.; chiedeva inoltre che la società fiduciaria fosse condannata a trasferire all’attrice la propria quota del 45% della società, nonchè al risarcimento del danno.

La Cordusio si costituiva e deduceva che tra le sorelle B. era pendente giudizio di accertamento della proprietà della quota del 90% di Promeco, intestata fiduciariamente alla convenuta, e sosteneva che la cognizione anche della seconda causa spettava al giudice preventivamente adito; nel merito, deduceva che la fiduciante non poteva obbligare la fiduciaria a delegare il diritto di voto nè disporre di attività di cui la fiduciaria era la sola responsabile, e chiedeva la revoca del provvedimento reso ante causa, che aveva ordinato alla Cordusio di delegare al voto, per la quota del 45%, la persona indicata da B.A..

In corso di causa, le parti davano atto che il rapporto fiduciario era stato risolto e che le quote di Promeco erano state intestate per il 45% ad A. e per il restante 45% a B.M.R. (il restante 10% ad un terzo, estraneo al rapporto fiduciario).

Il Tribunale di Milano ha accertato l’inadempimento della Cordusio alle disposizioni impartite da B.A., rilevando che si trattava di incarico congiunto delle due sorelle,con disposizioni esecutive a firma disgiunta e con obbligo della fiduciaria di limitare l’attività alla gestione ordinaria in caso di disposizioni divergenti; che nel caso, il 14/6/2001, B.A. aveva autorizzato la Cordusio a conferire delega ad T.A., per partecipare all’assemblea ordinaria di Promeco del 28/6/01, limitatamente alla propria quota del 45% e B.M.R. aveva richiesto l’autorizzazione in favore di M.P. per la propria quota del 45%, e che quindi la società fiduciaria non aveva ricevuto disposizioni "divergenti", per cui era obbligata all’esecuzione di dette disposizioni, ai sensi della lett. A, primo capoverso della lettera di incarico del 1/12/1989, mentre la società aveva preteso "istruzioni congiunte", stante il giudizio civile pendente, pur non essendovi alcun contrasto tra le sorelle sulla titolarità sostanziale del 45% delle quote Promeco in capo a ciascuna, alla stregua della scrittura del 9/12/99 e vista la definitiva intestazione in capo alle stesse, allo scioglimento del vincolo fiduciario.

La Corte d’appello, con sentenza 19/6/2006, dichiarato inammissibile l’intervento di Assofiduciaria – Assoservizi fiduciari di trust e di investimenti, ha confermato la sentenza appellata e condannato la Cordusio alle spese. La Corte del merito ha rilevato che secondo il contratto dell’1/12/89 (quello del 5/3/91 faceva rinvio al precedente) e come è implicito nella natura stessa del pactum fiduciae, la fiduciaria era obbligata ad attenersi alle istruzioni delle fiducianti, tra cui quella al rilascio della delega a favore della persona e nei tempi indicati, per la partecipazione all’assemblea; che il mandato in oggetto era da ritenersi disgiunto, in ragione del fatto che ciascuna delle due sorelle era proprietaria esclusiva del 45% del capitale sociale Promeco, con l’unico limite che i mandati non fossero tra loro divergenti; che anche in occasione delle assemblee di approvazione del bilancio del 1999 e del 2000, le sorelle B. avevano rilasciato alla Cordusio due distinte autorizzazioni al rilascio delle deleghe, a cui si era attenuta la fiduciaria; che, come correttamente evidenziato dal Tribunale, se la proprietà reale rimane in capo alla fiduciante, alla stessa resta sostanzialmente anche il potere di amministrazione, che la fiduciante trasmette alla fiduciaria alla condizione che questa segua le istruzioni della prima; che era nuova la deduzione della Cordusio, che le istruzioni sarebbero venute il 14 giugno con riferimento all’assemblea del 28 giugno, senza il rispetto dei 15 giorni previsti per il preavviso richiesto per la rinuncia al mandato da parte della fiduciaria, e che in ogni caso, nell’applicazione corretta della clausola, era preferibile ritenere l’efficacia della rinuncia al mandato da parte della fiduciaria al compimento del 15 giorno dalla relativa dichiarazione.

Ricorre la Cordusio sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso la B..

Ambedue le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia falsa ed errata applicazione dei principi di diritto in tema di società fiduciarie, in particolare della L. n. 1966 del 1939, art. 1, e L. n. 148 del 1987, art. 3 bis, nonchè vizi motivazionali su punti decisivi della controversia- irragionevolezza della conclusione anche in relazione al principio generale "nemo ad factum cogi potest". 1.2.- Con il secondo motivo, la ricorrente si duole del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’amministrazione fiduciaria di quote di società a responsabilità limitata.

1.3.- Nel terzo motivo, la ricorrente reitera i vizi motivazionali già prospettati nel secondo motivo, nello specifico del contratto fiduciario con firma disgiunta.

1.4.- Con il quarto motivo, la Cordusio denuncia "errata e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con riferimento alla facoltà di risolvere il contratto fiduciario- travisamento". 2.1.- Il primo motivo è inammissibile.

Va premesso che trova applicazione al ricorso in oggetto il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabile ai sensi dell’art. 27, comma 2, ai ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze rese pubbliche in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso, atteso che la sentenza impugnata risulta depositata in data 19/6/2006, e quindi nella vigenza del D.Lgs. n. 40 del 2006, ed in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, il cui art. 47, ha abrogato l’articolo in oggetto.

Ciò posto, si deve rilevare che nel motivo, la ricorrente ha prospettato l’errore della Corte territoriale, nello stabilire che il rapporto sfiduciante – società fiduciaria (contratto fiduciario) possa essere valutato alla stregua del rapporto tra soggetti tra i quali non è compresa la società fiduciaria (di diritto italiano), da cui l’interpretazione del rapporto nel senso che il fiduciante, proprietario sostanziale della quota, mantiene l’amministrazione della stessa, senza considerare che la fiduciaria si vede chiamata a rispondere in proprio delle obbligazioni assunte per ordine e conto del fiduciante, mentre è più ragionevole ritenere che la stessa vagli di volta in volta le istruzioni ricevute dal fiduciante e suggerisca o dichiari la condotta che può essere tenuta; parimenti assurdo sarebbe che la fiduciaria dovesse subire le conseguenze per gli atti compiuti a nome della medesima dal delegato nominato per ordine del fiduciante.

Il motivo si conclude con la richiesta di cassazione da parte della Corte della decisione irragionevole, per avere affermato che l’una parte contrattuale possa imporre all’altra di subire l’esito delle obbligazioni assunte a proprio nome per conto dell’obbligante. E’ irragionevole ed in insanabile conflitto con uno dei principi basilari della civiltà del diritto: "nemo ad factum cogi potest".

E’ di chiara evidenza come, a ritenere il quesito di diritto formulato sub par. 4 come sopra riportato, lo stesso si presenti del tutto astratto, non congruente rispetto alla valutazione del contratto come interpretato dalla Corte territoriale, mentre il quesito di diritto deve consistere nella chiara sintesi logico- giuridica della questione formulata al Giudice di legittimità (così S.U. 20360/2007), tale da porlo in grado di comprendere, in base alla sola lettura dello stesso, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal Giudice, e di rispondere al quesito enunciando una "regula iuris" (così S.U. 2658/08).

Il motivo, prospettato anche sotto il profilo del vizio motivazionale, è infine privo della deduzione della censura, risolvendosi nella sola prospettazione del vizio di violazione di legge; in ogni caso, andrebbe rilevata la carenza del momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, quale indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisce un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e che consente al Giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (così, tra le ultime, le pronunce 8897/08, 11094/09,27680/09).

2.2.- Il secondo motivo è inammissibile.

La ricorrente prospetta vizi motivazionali e deduce che, anche con l’intestazione a società fiduciaria di quote di società a r.l., si attua la scissione tra titolarità, che rimane in capo all’effettivo proprietario, il fiduciante, e legittimazione, trasmessa all’intestatario della partecipazione; che il fiduciario può auto- limitare l’utilizzo dei poteri conferiti, ma lo deve fare in modo certo e manifesto; che la Corte territoriale ha ritenuto che detta auto-limitazione fosse intervenuta di fatto con il comportamento tenuto nelle precedenti assemblee, con affermazione irragionevole e contraddittoria.

Il secondo motivo si chiude con la richiesta di "stabilire che è in contrasto con la natura del rapporto di cui alla L. n. 1966 del 1939, art. 1, obbligare la società fiduciaria, che amministra quote di partecipazione in società a responsabilità limitata, a delegare l’esercizio della legittimazione di cui è investita su indicazione del fiduciante".

A riguardo, si deve rilevare la non congruenza tra intestazione del motivo, inteso a censurare vizi di motivazione, e la articolazione di quello che si presenta come un quesito di diritto, peraltro di per sè inammissibile, in quanto formulato del tutto genericamente, senza riferimento alla ratio decidendi addotta dalla Corte territoriale, che ha interpretato il contratto tra le parti, anche alla luce del comportamento delle stesse.

2.3.- Anche il terzo motivo deve ritenersi inammissibile.

Il motivo, al di là della formulazione in rubrica in termini di denuncia di vizi motivazionali, nella illustrazione degli argomenti prospetta invero errori di diritto, si duole del sillogismo in tesi operato dalla Corte d’appello (premessa maggiore: il rapporto tra le parti è un mandato cointestato; premessa minore: il mandato è cointestato a firma disgiunta (e sono impartite a firma disgiunta anche le istruzioni dei due mandanti co-intestatari); conclusione: la partecipazione sociale amministrata in via del mandato-cointestato-a forma disgiunta è disgiunta); fa valere come nel sottoscrivere un unico contratto fiduciario, le due sorelle B. abbiano dato luogo alla fattispecie di cui all’art. 1482 c.c., e che la Corte territoriale non ha motivato il rifiuto di detta tesi, più aderente al sistema.

Il motivo si chiude con la prospettazione del principio di diritto, secondo la parte consono al combinato disposto di cui agli artt. 2482 e 2347 c.c., secondo cui "l’affidamento di quota di società a responsabilità limitata in amministrazione alla società fiduciaria con contratto congiunto(sia pure a firme disgiunte) determina, ove non specificato nel contratto, la comunione della quota".

Anche per questo motivo, vale il rilievo che, a ritenere denunciati vizi motivazionali, a fronte dell’argomentato accertamento da parte della Corte territoriale, che si trattava di amministrazione fiduciaria di quote divise di società a responsabilità limitata, manca il momento di sintesi e comunque le censure sono generiche;

come motivo inteso a far valere errori di diritto, il quesito è a sua volta generico e non coglie il proprium della decisione.

2.3.- Il quarto motivo è infine a sua volta inammissibile. Secondo la ricorrente, la "questione" della illegittimità della istruzione relativa alla delega per la partecipazione all’assemblea per tardività, mancando il termine utile per recedere, sarebbe sorta dalla sentenza di primo grado, come tale sarebbe stata tempestivamente fatta valere in appello: è agevole a riguardo rilevare che, al di là della insostenibilità anche in astratto di un’eccezione di natura sostanziale che si possa giustificare sulla base della sentenza di primo grado, l’eccezione (e di eccezione si tratta, in quanto fatto impeditivo sollevato dalla parte) ben avrebbe potuto essere sollevata in primo grado, ed è inammissibile per tardività, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale.

3.1.- Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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