Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 21-07-2011, n. 29206 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 18 gennaio 2011 il Tribunale di Ancona rigettava l’appello proposto da M.R. avverso l’ordinanza pronunciata l’1 dicembre 2010 dalla Corte d’assise d’appello di Ancona che aveva respinto l’istanza di sostituzione, con gli arresti domiciliari, della misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di M.R., condannato alla pena di trenta anni di reclusione per il delitto di omicidio premeditato in danno della moglie.

Ad avviso dei giudici di merito le situazioni patologiche segnalate dal perito, appositamente nominato in sede cautelare, non essendo stato compiuto tale accertamento da parte della Corte d’assise d’appello, non potevano definirsi "particolarmente gravi" ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 4 bis. L’applicazione di questa norma deve essere necessariamente rigorosa, specie quando si tratti, come nel caso in esame, di delitto (e di conseguente condanna) per fatti assai gravi. I giudici sottolineavano che il rischio di morte improvvisa cardiaca derivante, secondo il perito, dalla combinazione del quadro cardiologico con lo stress correlato alla detenzione non è destinato a ridursi con gli arresti domiciliari, anch’essi di sicura valenza ansiogena e generatori di ansia e caratterizzati dalla restrizione in spazi ridotti con conseguenti ovvi riflessi anche sulle possibilità di attività fisica, non dissimile da quella praticabile in carcere. Evidenziavano, inoltre, che il corretto regime alimentare ben può essere assicurato in carcere, ove prescritto dal servizio nazionale. Gli eventi cardiaci acuti paventati dal perito possono, quindi, ad avviso del Tribunale, essere più efficacemente contrastati in carcere, atteso il presidio sanitario presente nella struttura detentiva. Infine, il ricovero in un centro clinico penitenziario, ritenuto inutile dal perito, garantirebbe l’eliminazione o il contenimento di rilevanti fattori di rischio, consentendo un’appropriata dieta alimentare, assicurerebbe l’eliminazione del fumo di sigaretta e del sovrappeso in misura qualitativamente e quantitativamente di gran lunga superiore a quanto ottenibile con il regime di arresti domiciliari. Il ricovero in un centro clinico penitenziario consentirebbe, anche, di meglio controllare, dal punto di vista farmacologico, la situazione di stress riconducibile alla detenzione.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’imputato, il quale lamenta: a) mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione in relazione al disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 4 bis, atteso che la norma non consente, in assenza di rilievi da parte del giudice sulla correttezza scientifica dei principi e dei metodi utilizzati, di prescindere dalle conclusioni del perito che motivatamente concluda per l’incompatibilità tra le condizioni di salute gravi della persona e lo stato di detenzione in carcere. I giudici hanno, inoltre, omesso di tenere conto non solo della situazione clinica esistente al momento dell’accertamento, ma anche della prevedibile evoluzione del quadro clinico e della potenziale incidenza in modo irreparabile della detenzione sulla salute del paziente. La motivazione appare, inoltre, incongrua nella parte in cui, dopo avere esclusa la gravità della malattia, dispone il ricovero in un centro clinico penitenziario, decisione che presuppone l’invocata sussistenza di uno stato patologico rilevante e allarmante. Sono stati, poi, confusi due piani di valutazione, in quanto, per confutare la gravità dello stato patologico, si è fatto ricorso ad argomentazioni riguardanti la pretese inutilità della misura restrittiva. E’ stata, infine, pretermessa qualsiasi valutazione delle osservazioni svolte dai consulenti di parte, dotati di specifica competenza professionale.

In ogni caso, il Tribunale non ha esplicitato le ragioni di cautela che impongono tuttora la custodia cautelare in carcere anche alla luce del quadro patologico del soggetto in relazione al quale la Corte di Cassazione, investita del ricorso dell’imputato avverso la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’assise d’appello di Ancona, ha riscontrato una mancanza di motivazione, disponendo l’annullamento con rinvio della decisione impugnata.

Motivi della decisione

Le doglianze contenute nell’ultima parte del ricorso, aventi carattere pregiudiziale ed assorbente rispetto alle altre, sono fondate.

La difesa di M., nell’ambito dell’istanza originariamente formulata, aveva dedotto l’insussistenza delle esigenze cautelari, poste a fondamento della disposta custodia cautelare in carcere.

Il Tribunale di Ancona, competente ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ha omesso di pronunziarsi su questa parte della domanda, atteso che l’iter argomentativo dell’ordinanza impugnata è incentrato esclusivamente sulla compatibilità delle condizioni di salute dell’imputato con lo stato di restrizione in carcere.

S’impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ancona.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Ancona.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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