Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 21-07-2011, n. 29204 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 2 settembre 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame formulata da M.F. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 4 agosto 2010 dal gip del locale Tribunale in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p..

A M. si contesta di avere partecipato all’associazione di stampo mafioso capeggiata da P.G., F.G., P.V., P.A., L.A.ed altri e, in particolare, di essere stato membro della "società" di Siderno con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati, di partecipare alle riunioni ed eseguire le direttivi dei vertici della "società" e dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne al sodalizio.

Ad avviso dei giudici gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto contestato erano costituiti dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, contenenti, nel corso di colloqui intercorsi tra terze persone, riferimenti alla persona dell’indagato, al ruolo da lui svolto nel sodalizio, all’articolazione del sodalizio di stampo mafioso.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, M., il quale, anche mediante una memoria difensiva, lamenta violazione di legge, mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. in assenza di elementi di riscontro estrinseco individualizzante e di dati obiettivi su cui fondare l’esatta identificazione della persona cui si fa riferimento nei colloqui.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, contenenti, nel corso di colloqui intercorsi tra terze persone, riferimenti alla persona dell’indagato, al ruolo da lui svolto nel sodalizio, all’articolazione del sodalizio di stampo mafioso.

Il provvedimento impugnato, con motivazione compiuta e logica, evidenziava l’operatività di un articolato sodalizio di stampo mafioso, dedito alla commissione di reati e al capillare controllo delle attività economico-produttive, caratterizzato da un forte radicamento sul territorio calabrese, da un’organizzazione gerarchica, all’interno della quale il ricorrente forniva, nel territorio di sua competenza, un pieno e consapevole contributo causale all’operatività dell’associazione, da tempo adusa ad avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, per la commissione di una serie di reati, al fine di realizzare il controllo capillare del territorio e di conseguire ingenti profitti illeciti, funzionali ad accrescere la potenza del gruppo.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di M. in ordine al delitto di associazione di stampo mafioso a lui contestata.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

La coerenza e univocità del quadro indiziario non può ritenersi, d’altra parte, inficiata o sminuita dalla circostanza che il giudice a qua lo abbia ricavato prevalentemente dalle risultanze delle conversazioni intercose fra terzi, contenenti chiari riferimenti alla persona del ricorrente, come confermato anche dai puntuali accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria. Invero alle indicazioni di reità rovenienti dalle conversazioni intercettate non si applica il canone di valutazione previsto dall’art. 192 c.p.p., comma 3, perchè non sono assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la persona imputata in procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi all’Autorità giudiziaria (Sez. 6, 5 ottobre 2005 n. 41203). Per esse vale, invece, la regola generale del prudente apprezzamento del giudice (Sez. 1, 23 settembre 2010, n. 36218; Sez. 5, 26 marzo 2010, n. 21878; Sez. 4, 28 settembre 2006, n. 35860; Sez. 5, 14 ottobre 2003, n. 603; Sez. 5, 19 gennaio 2001, n. 13614) che, nella fattispecie, è stato debitamente esercitato.

Infine, non possono trovare accoglimento le prospettazioni difensive, volte a impegnare la Corte, con riferimento all’identificazione di M., in una rilettura nel merito delle singole circostanze, laddove, invece, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato è – per espressa disposizione legislativa – rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, non fondate su dati contrastanti con il "senso della realtà" degli appartenenti alla collettività ed infine esenti da vistose ed insormontabili incongruenze tra di loro.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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