T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., 27-07-2011, n. 229 Opere idrauliche e di bonifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’azienda ricorrente premette che con delibera n. 10670 del 22 dicembre 1994 la G.R. dell’Umbria ha stabilito l’attuazione di un progetto di disinquinamento del fiume Chiascio, mediante installazione di un impianto di depurazione nei territori dei Comuni di Gualdo Tadino e Fossato di Vico.

Con delibere intervenute nel primo semestre del 1995 il Comune di Fossato di Vico e quello di Gualdo Tadino hanno approvato il progetto esecutivo dei lavori in questione ed il piano particellare delle aree da espropriare per la realizzazione del depuratore (dichiarato opera di pubblica utilità).

Espone che fra le aree ricomprese nel piano vi sono alcune proprietà della medesima, per una superficie complessiva di mq. 24.983 nel Comune di Fossato di Vico, e di mq. 2.930 nel Comune di Gualdo Tadino.

L’ambito territoriale di insediamento dell’impianto di depurazione era destinato dal programma di fabbricazione del Comune di Fossato allo sviluppo turistico; il progetto ha reso inattuabile la previsione dello strumento urbanistico.

Aggiunge ancora come con decreto del Sindaco n. 531 in data 15 giugno 1996 il Comune di Fossato abbia ordinato l’occupazione d’urgenza di tutte le aree su cui era prevista la realizzazione dell’impianto di depurazione, stabilendo che la presa di possesso sarebbe dovuta avvenire entro tre mesi; l’immissione in possesso è poi intervenuta in data 12 luglio 1996.

Analogamente, con decreto n. 13567 del 13 luglio 1996 il Sindaco di Gualdo ha disposto l’occupazione d’urganza delle aree di proprietà della ricorrente e l’immissione in possesso è intervenuta il 4 settembre 1996.

Rappresenta come l’opera pubblica sia stata realizzata ed i suoli siano stati irreversibilmente trasformati senza l’adozione, nei prescritti cinque anni, dei decreti di esproprio delle aree, con conseguente configurazione di una fattispecie di accessione invertita; va precisato ancora come la costruzione del’impianto e della relativa strada di accesso abbia interessato un’area maggiore rispetto a quella oggetto dell’originaria occupazione (circa 10.000 mq. in più), con conseguente usurpazione dei suoli da parte del Comune.

Alla stregua di quanto esposto, assume di avere diritto ad ottenere dalle Amministrazioni intimate il risarcimento del danno da perdita della proprietà sulle aree oggetto dell’occupazione d’urgenza, poi divenuta illegittima; l’indennità per l’occupazione d’urgenza, nonché il risarcimento del danno per la perdita della proprietà dell’area occupata "di fatto", al di fuori dell’occupazione d’urganza, aggiungendo altresì che le stesse Amministrazioni sono tenute ad emettere gli atti di acquisizione delle aree ai sensi di quanto disposto dall’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 (t.u. in materia di espropriazione per pubblica utilità).

Al risarcimento, da parametrare al valore del bene, vanno aggiunti gli interessi moratori con decorrenza dal giorno dell’occupazione sine titulo.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Gualdo Tadino ed il Comune di Fossato di Vico; il primo, nel rappresentare che l’area di proprietà della ricorrente insistente nel proprio territorio ha un’estensione assai più limitata rispetto a quella collocata nel territorio di Fossato di Vico, e che i lavori sono consistiti solamente nella posa in opera (ed in particolare nell’interramento) di condutture per convogliare le acque verso il depuratore, concretandosi dunque in un mero asservimento temporaneo del fondo privato, ha concluso per il rigetto del ricorso, eccependo altresì la prescrizione del diritto; con successiva memoria ha altresì eccepito il difetto di giurisdizione in favore del Tribunale delle Acque Pubbliche asseritamente vertendosi al cospetto di una servitù di passaggio di condotta idrica. Il Comune di Fossato, da parte sua, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo sia con riguardo alla pretesa risarcitoria, sia con riguardo alla domanda volta ad ottenere l’indennità di occupazione, trattandosi di materie asseritamente rientranti nella cognizione del giudice ordinario, e comunque la sua infondatezza nel merito.

All’udienza del 20 aprile 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. – Deve anzitutto essere disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione svolta dal Comune di Gualdo Tadino, nell’assunto che la presente controversia appartenga alla cognizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ai sensi dell’art. 140 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, in quanto concernente pretese correlate all’esecuzione di un impianto di depurazione delle acque del fiume Alto Chiascio, e dunque di un’opera idraulica, rientrante nell’ambito del programma regionale di cui al piano territoriale di tutela delle acque 94/96.

Secondo la più corretta interpretazione giurisprudenziale, infatti, la nozione di opera idraulica in senso proprio non comprende tutti gli impianti che abbiano attinenza con le acque pubbliche, ma è riferibile solo a quelli che rivelino una diretta influenza sul decorso, la disciplina o l’utilizzazione delle stesse, sì da incidere sugli interessi pubblici connessi al loro regime.

Conseguentemente, non è qualificabile come opera idraulica l’impianto di depurazione del fiume in questione, che si limita a ridurre l’inquinamento dello stesso, senza alcun riflesso, anche indiretto, sul regime delle acque pubbliche (in termini, seppure con riguardo ad una fattispecie parzialmente diversa, Cass., Sez. I, 14 febbraio 2004, n. 2899).

2. – Per quanto concerne, poi, l’eccezione di inammissibilità del ricorso, svolta nell’assunto che la giurisdizione spetti al giudice ordinario, occorre distinguere tra le varie domande svolte in questa sede.

In particolare, per quanto concerne l’indennità relativa all’occupazione legittima, la cognizione spetta al giudice ordinario, e deve dunque essere dichiarato il difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, secondo quanto inferibile anche dall’art. 133, lett. g), del cod. proc. amm., con conseguente inammissibilità, in parte qua, del ricorso (in termini T.A.R. Lazio, Sez. II, 3 giugno 2010, n. 15015; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 9 febbraio 2010, n. 722; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 10 maggio 2010, n. 5911).

3. – Analogamente, il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione con riferimento alla domanda di risarcimento per occupazione usurpativa, ovvero per la manipolazione del fondo di proprietà privata non preceduta da un originario provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità (Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008, n. 19501; Cons. Stato, Sez. IV, 6 novembre 2008, n. 5498; Cons. Stato, Sez. IV, 4 aprile 2011, n. 2113).

4. – Al contrario, anche prima dell’entrata in vigore del cod. proc. amm., si intendevano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie nelle quali si facesse questione, anche ai fini complementari della tutela risarcitoria, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non fosse poi sfociato in un tempestivo atto traslativo, ovvero fosse stato caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi (tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676; Cass., Sez. Un., 9 febbraio 2010, n. 2788; Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6861).

5. – La domanda risarcitoria esperita nei confronti del Comune di Fossato di Vico muove, come già esposto, dalla premessa per cui al provvedimento di occupazione d’urgenza, risalente al 15 giugno 1996, non ha poi fatto seguito l’espropriazione, ma la trasformazione irreversibile dell’area, conseguente alla realizzazione dell’opera pubblica.

Tale era l’ambito tematico della c.d. accessione invertita (denominata anche occupazione appropriativa, od acquisitiva), istituto di elaborazione pretoria (cfr., a titolo esemplificativo, Cass., Sez. Un., 26 febbraio 1983, n. 1464; 10 giugno 1988, n. 3940), caratterizzato dal fatto che, anziché trovare esplicazione il principio generale in forza del quale superficies solo cedit, contemplato dall’art. 934 del c.c., si determina, per effetto della realizzazione dell’opera pubblica, la perdita della proprietà del suolo da parte del privato, e l’acquisto a titolo originario da parte dell’Amministrazione, corrispettivamente obbligata al risarcimento del danno.

Tale istituto ha però evidenziato problemi di compatibilità sistematica con la riserva di legge prevista dall’art. 42, comma 3, della Costituzione, ed anche con il protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, integrante, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del Trattato C.E., anche principio generale del diritto comunitario; dall’applicazione dell’accessione invertita sono derivate, in sede sovranazionale, plurime pronunce di condanna della Repubblica italiana da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (tra le tante, Sez. II, 30 maggio 2000, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia; Sez. IV, 17 maggio 2005 Scordino c. Governo italiano; Sez. IV, 6 marzo 2007, Scordino c. Italia).

Ha cercato di porre rimedio a tale problematica il d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (t.u. in materia di espropriazione per pubblica utilità) con la previsione dell’art. 43, in materia di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, ed in particolare con la c.d. acquisizione sanante, che ha inteso abolire l’occupazione acquisitiva dall’ordinamento statuale; la disposizione da ultimo indicata sanciva la regola per cui il diritto di proprietà, in mancanza di decreto di esproprio o di cessione spontanea, si estingue solamente per effetto del decreto di acquisizione sanante, e dunque di uno specifico provvedimento amministrativo; in difetto dello stesso, grava sull’Amministrazione stessa l’obbligo di restituzione del bene illecitamente detenuto.

L’art. 43 del t.u. sull’espropriazione è stato peraltro dichiarato incostituzionale con sentenza 8 ottobre 2010, n. 293 della Corte costituzionale, essenzialmente per eccesso di delega legislativa (e dunque per violazione dell’art. 76 della Carta fondamentale), nell’assunto, in particolare, che l’art. 7 della legge n. 50 del 1999 aveva conferito al legislatore delegato solamente il potere di provvedere ad un coordinamento "formale" delle disposizioni vigenti, mentre l’istituto dell’acquisizione sanante è connotato da molteplici aspetti di novità.

Ne discende che l’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 non è più applicabile nell’ordinamento interno a fare tempo dal 13 ottobre 2010, data di pubblicazione nella G.U. della sentenza recante la declaratoria di incostituzionalità.

Nel nuovo contesto di vuoto normativo venutosi a creare, la giurisprudenza ha cercato soluzioni per la travagliata materia collegata alla realizzazione di opera pubbliche in procedimenti ablatori non conclusisi con un formale provvedimento di espropriazione.

Senza indugiare sulle varie tesi sostenute, sembra progressivamente prevalsa l’opinione secondo cui l’Amministrazione può legittimamente apprendere il bene privato solamente facendo uso dei due strumenti tipici previsti dall’ordinamento, e cioè il contratto, con il consenso della controparte, ovvero il provvedimento, tramite la rinnovazione del procedimento amministrativo con le garanzie sue proprie; conseguentemente, l’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all’acquisto della proprietà in favore dell’Amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 1 giugno 2011, n. 3331).

Nella correlata prospettiva delle tecniche di tutela, la giurisprudenza (cfr. in particolare Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3561; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 12 luglio 2011, n. 245) ha ritenuto che: a) se il privato espropriato ha chiesto unicamente il risarcimento del danno per equivalente, preso atto dell’irreversibile trasformazione dell’immobile, con tale richiesta rinuncia alla restitutio in integrum (C.G.A., 25 maggio 2009, n. 486); b) venuto meno l’art. 43 del t.u. in materia di espropriazioni, la richiesta del solo risarcimento per equivalente non sortisce effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, contrastando tale conclusione con l’esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua ad una volontà inequivoca del proprietario interessato, occorrendo dunque un accordo transattivo tra le parti (Cons. Stato, Sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676); c) se invece il privato espropriato chiede la tutela restitutoria, la medesima va accordata, a meno che non ricorrano i presupposti per l’applicazione degli artt. 2933, comma 2, o 2058 del c.c.

Occorre considerare che, da ultimo, è intervenuto il d.l. 6 luglio 2011, n. 98, recante "disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria" (convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111), il cui art. 34 ha reintrodotto, con talune modifiche, l’istituto dell’acquisizione sanante, dichiaratamente applicabile anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, che consente all’Amministrazione di intervenire, pure in pendenza di giudizio, con un provvedimento (senza dunque più contemplare il meccanismo della c.d. acquisizione giudiziaria, per effetto di domanda di autocondanna al risarcimento del danno prevista dal vecchio art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 327 del 2001), specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione.

La nuova disposizione prevede che il provvedimento di acquisizione (al patrimonio indisponibile dell’Amministrazione) non ha efficacia retroattiva, e, forse proprio in ragione di ciò, dispone, a differenza del passato, che sia corrisposto un indennizzo, anziché il risarcimento del danno.

L’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità, e se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, ai sensi dell’art. 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7 del t.u. in materia di espropriazione.

6. – Nel caso di specie la ricorrente non ha proposto la domanda restitutoria, ma solamente quella risarcitoria, che, nei termini seguenti, è fondata.

Secondo il già richiamato orientamento giurisprudenziale formatosi in precedenza del d.l. n. 98 del 2011, il risarcimento del danno per equivalente va determinato alla luce del valore di mercato attuale, cioè al momento dell’accordo transattivo con effetto traslativo, ovviamente senza tenere conto del deprezzamento conseguente alla realizzazione dell’opera pubblica, dell’area occupata e trasformata e della diminuzione del valore di mercato attuale della proprietà privata residua dell’impresa ivi ubicata, detratto quanto già corrisposto (o da corrispondere) a titolo di indennità di occupazione.

Il risarcimento dei danni da occupazione senza titolo, e dunque per la mancata utilizzazione dell’immobile nel periodo di illegittimo spossessamento, può essere poi equitativamente determinato nella misura del cinque per cento annuo sul valore di mercato.

Emerge da quanto esposto che i criteri di liquidazione del danno patrimoniale elaborati in sede giurisprudenziale sono tendenzialmente sovrapponibili a quelli "indennitari" prefigurati a livello legislativo con l’art. 34 del d.l. n. 98 del 2011, e non occorre dunque attendere l’adozione del provvedimento, peraltro con caratura discrezionale, dell’Amministrazione comunale.

Ai sensi dell’art. 34, comma 4, del cod. proc. amm., il Collegio assegna dunque al Comune di Fossato di Vico un termine di trenta giorni per proporre a parte ricorrente il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento per equivalente sulla base dei criteri determinati nel presente paragrafo, e tenendo conto dell’esatta destinazione urbanistica dei terreni che risulta mutata nel tempo; gli interessi e la rivalutazione spettano dalla data di accettazione della proposta fino al pagamento effettivo.

Resta da precisare, per completezza di esposizione, ed in ragione dell’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalle parti resistenti, che il comportamento tenuto dall’Amministrazione, la quale abbia emanato una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, deve essere qualificato come "illecito permanente", nella cui vigenza non decorre la prescrizione, proprio perché manca un effetto traslativo della proprietà (in termini T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II Quater, 14 aprile 2011, n. 3260); peraltro, anche ad individuare come dies a quo il termine finale delle occupazioni, queste sono scadute nel giugno/luglio 2001, con conseguente tempestività del ricorso.

7. – Per quanto concerne, poi, la posizione del Comune di Gualdo Tadino, nel cui territorio sono state solamente interrate le condutture del depuratore, tramite un asservimento temporaneo dei terreni di proprietà dell’azienda ricorrente, appare evidente come la stessa sia più marginale, come del resto emerge chiaramente anche dall’"analisi dei danni" contenuta nella relazione tecnica di parte versata in atti dalla ricorrente.

Anche la pretesa risarcitoria svolta nei confronti del Comune di Gualdo, nei limiti rientranti nella cognizione del giudice amministrativo, deve ritenersi fondata.

Occorre, in particolare, evidenziare come la giurisprudenza prevalente ritenga che l’installazione di una fognatura sotterranea non alteri la preesistente destinazione del fondo, con conseguente irreversibile trasformazione, e pertanto non configuri una fattispecie di accessione invertita, che è estranea alla materia dei diritti reali sui beni altrui (Cass., Sez. II, 24 settembre 2009, n. 20621; Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2006, n. 6446); tale servitù determina peraltro un’illecita limitazione delle facoltà di godimento dell’immobile da parte del proprietario (Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2006, n. 6446).

L’art. 34 del d.l. n. 98 del 2011, al comma 6, prevede, al riguardo, che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù ed il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale".

Ritiene il Collegio, anche in tale caso facendo applicazione dell’art. 34, comma 4, del cod. proc. amm., che al Comune di Gualdo vada assegnato un termine di trenta giorni per proporre all’azienda ricorrente il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento per equivalente, in una misura che può essere equitativamente determinata nel dieci per cento del valore venale del fondo insistente nel territorio comunale.

8. – In conclusione, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato in parte inammissibile per difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, ed in parte accolto, per l’effetto ordinandosi ai Comuni di Fossato di Vico e di Gualdo Tadino di proporre all’azienda ricorrente il pagamento di somme a titolo di risarcimento del danno, da determinarsi secondo i criteri esposti in precedenza; per quanto riguarda il Comune di Fossato di Vico, il trasferimento dell’area occupata dall’espropriato all’espropriante avverrà quale condizione ed effetto del pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.

Con riferimento, infine, alle domande dichiarate inammissibili per difetto di giurisdizione, il processo potrà essere riproposto dinanzi al giudice ordinario con le modalità ed i termini previsti dal’art. 11 del cod. proc. amm.

Le spese di giudizio seguono, come per regola, la soccombenza, e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile, ed in parte lo accoglie, e, per l’effetto, ordina ai Comuni di Fossato di Vico e di Gualdo Tadino di provvedere ai conseguenti adempimenti, nei termini e nei modi stabiliti in motivazione, ai sensi dell’art. 34, comma 4, del cod. proc. amm.

Condanna le Amministrazioni intimate alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di giudizio, ponendole per 2/3 a carico del Comune di Fossato di Vico e per 1/3 a carico del Comune di Gualdo Tadino, che si liquidano complessivamente in euro seimila/00 (6.000,00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Luigi Cardoni, Presidente FF

Pierfrancesco Ungari, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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