Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 21-07-2011, n. 29203 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Il 30 settembre 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame formulata da O.M. (cl. (OMISSIS)) e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 4 agosto 2010 dal gip del locale Tribunale in ordine ai delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso (capo a), introduzione, detenzione e porto di armi da guerra (capo q), aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

A O. si contesta di avere fatto parte, in qualità di dirigente, della "società" di Rosarno con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati. di partecipare alle riunioni ed eseguire le direttivi dei vertici della società e dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne al sodalizio.

Ad avviso dei giudici gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti contestati erano costituiti dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, suffragate dai servizi di osservazione e pedinamento svolti, contenenti univoci riferimenti alle dinamiche interne all’organizzazione, alla distribuzione delle cariche, alla spartizione degli appalti in Lombardia, ai contrasti con cosche avverse, in particolare quella capeggiata da S. S. e I.F., ai riti di affiliazione alla cosca, alla disponibilità di armi da guerra (kalasnikov, bombe), funzionali anche alla contrapposizione a clan avversi e al controllo del territorio.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, O., il quale lamenta: a) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, ha natura "mista" e implica un effettivo ricorso da parte degli associati alla forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e una condizione di assoggettamento e di omertà immediatamente riconducibile alla suddetta capacità di intimidazione; b) violazione dei canoni di valutazione probatoria con riferimento al ritenuto ricorso da parte degli associati alla forza intimidatrice del vincolo associativo: c) violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti contestati, tenuto altresì conto della possibile diversa lettura della conversazione del 24 dicembre 2009 su cui i giudici hanno prevalentemente ritenuto comprovato l’addebito in materia di armi e con riferimento al quale la difesa ha prodotto una consulenza di parte contenente una diversa trascrizione del contenuto del colloquio.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. In relazione alla prima doglianza, priva di pregio, il Collegio osserva quanto segue.

L’associazione di tipo mafioso viene qualificata come tale in ragione dei mezzi usati e dei fini perseguiti.

L’art. 416 bis c.p., comma 3 individua il metodo mafioso mediante la fissazione di tre parametri caratterizzanti – forza intimidatrice del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e condizione di omertà – da considerare tutti e tre come elementi necessari ed essenziali, perchè possa configurarsi questo reato associativo, come del resto si desume senza possibilità di dubbio dall’uso della congiunzione e impiegata nel testo normativo.

Il ricorso specifico, da parte di ciascun membro del gruppo, all’intimidazione, all’assoggettamento e all’omertà non costituisce una modalità di realizzazione della condotta tipica – la quale si esaurisce nel fatto in sè di associarsi, ovvero di promuovere, dirigere, organizzare un’associazione di questo tipo, apportando un certo contributo all’esistenza dell’ente – ma costituisce l’elemento strumentale tipico di cui gli associati si avvalgono in vista della realizzazione degli scopi propri dell’associazione.

In altri termini, quindi, ai fini della consumazione del reato associativo in questione, non è necessario che i suddetti strumenti siano stati utilizzati in concreto dai singoli associati, sempre che costoro, però, siano effettivamente nelle condizioni e nella consapevolezza di poterne disporre.

La consorteria deve, infatti, potersi avvalere della pressione derivante dal vincolo associativo, nel senso che è l’associazione e soltanto essa, indipendentemente dal compimento di specifici atti di intimidazione da parte dei singoli associati, ad esprimere il metodo mafioso e la sua capacità di sopraffazione, che rappresenta l’elemento strumentale tipico del quale gli associati si servono in vista degli scopi propri dell’associazione.

E’, pertanto, necessario che l’associazione abbia conseguito, in concreto, nell’ambiente circostante nel quale essa opera, un’effettiva capacità di intimidazione, sino a estendere intorno a sè un alone permanente di intimidazione diffusa, tale che si mantenga vivo anche a prescindere da singoli atti di intimidazione concreti posti in essere da questo o quell’associato.

E’ ovvio che, qualora emergano prove di concreti atti di intimidazione e di violenza, esse possono utilmente riflettersi anche sulla prova della forza intimidatrice del vincolo associativo; ma vi si riflettono solo in via ausiliaria, poichè ciò che conta è che, anche mancando la prova di tali atti, l’elemento della forza intimidatrice sia desunto da circostanze atte a dimostrare la capacità di incutere timore propria dell’associazione, e ricollegabile ad una generale percezione della sua terribile efficienza nell’esercizio della coercizione fisica.

Tale capacità deve essere, peraltro, attuale e non solo potenziale, e l’alone di intimidazione diffusa deve essere effettivo ed obiettivamente riscontrabile, essendo insufficiente la prova della sola intenzione di produrlo e di avvalersene.

La violenza e la minaccia, rivestendo natura strumentale nei confronti della forza intimidatrice, costituiscono un accessorio eventuale o, meglio, latente, della stessa, ben potendo derivare dalla semplice esistenza e notorietà del vincolo associativo. Esse, quindi, non costituiscono una modalità con la quale deve puntualmente manifestarsi all’esterno la condotta degli agenti, dal momento che le condizioni di assoggettamento e gli atteggiamenti omertosi, indotti nella popolazione e negli associati stessi, ben possono costituire, più che l’effetto di singoli atti di sopraffazione, la conseguenza del prestigio criminale dell’associazione, che, per la sua fama negativa e per la capacità di lanciare avvertimenti anche simbolici ed indiretti, si accredita come temibile ed effettivo centro di potere.

In mancanza di una quadro indiziario emergente dal compimento di atti diretti ad intimidire, deve, comunque, emergere aliunde e deve essere obiettivamente dimostrabile un clima di intimidazione diffusa scaturente dall’associazione medesima, quale risultante di un’antica e, in ogni caso, consolidata consuetudine di violenza, che venga chiaramente percepito come tale all’esterno e del quale gli associati si avvantaggino per perseguire i loro fini.

L’omertà – intesa come rifiuto assoluto e incondizionato di collaborare con gli organi dello Stato – che si correla in rapporto di causa ad effetto alla forza di intimidazione dell’associazione di stampo mafioso deve essere sufficientemente diffusa, anche se non generale, e può derivare non solo dalla paura di danni alla propria persona, ma anche dall’attuazione di minacce che comunque possono realizzare danni rilevanti, sicchè sia diffusa la convinzione che la collaborazione con l’Autorità giudiziaria non impedirà ritorsioni dannose per la persona del denunciante, in considerazione della ramificazione dell’organizzazione, della sua efficienza, della sussistenza di altri soggetti non identificabili, forniti del potere di danneggiare chi ha osato contrapporsi.

La tipicità del modello associativo delineato dall’art. 416 bis c.p. risiede nella modalità attraverso cui l’associazione si manifesta concretamente (modalità che si esprimono nel concetto di metodo mafioso) e non negli scopi che si intendono perseguire, delineati nell’art. 416 bis c.p., comma 3 in modo alternativo.

La prova degli elementi caratterizzanti l’ipotesi criminosa di cui all’art. 416 bis c.p. può essere desunta, con metodo logico- induttivo, in base al rilievo che il sodalizio presenti tutti gli indici rivelatori del fenomeno mafioso, quali la segretezza del vincolo, i vincoli di comparaggio o di comparatico tra gli adepti, il rispetto assoluto del vincolo gerarchico, l’accollo delle spese di giustizia da parte della cosca, il diffuso clima di omertà come conseguenza e indice rivelatore dell’assoggettamento alla consorteria.

Gli indizi del reato associativo possono essere legittimamente tratti, altresì, dalla commissione dei reati fine, interpretati alla luce dei moventi che li hanno ispirati, quando questi valgano ad inquadrarli nella finalità dell’associazione (Sez. 6, 10.2.2000, n. 01612, ric. Perone ed altri, riv. 216632-216636; Sez. 5, 20.4.2000, n. 04893, ric. P.G. in proc. Frasca, riv. 215965).

Alla luce dei principi giurisprudenziali sopra enucleati in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso e dell’analisi retrospettiva della struttura razionale delle inferenze probatorie che legano la linea logica della motivazione, ritiene il Collegio che nel caso di specie il Tribunale del riesame abbia effettuato una compiuta motivazione in ordine a tutti gli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., laddove, anche sulla base delle sentenze irrevocabili di condanna acquisite ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p., ha ricostruito la genesi, la composizione, gli ambiti territoriali e i settori di operatività, la metodologia, le finalità dell’associazione per delinquere di stampo mafioso in cui era organicamente e stabilmente inserito O.M. (cl.

(OMISSIS)), associazione dedita, grazie alla forza di intimidazione da essa promanate e alle conseguenti condizioni di assoggettamento ed omertà sia interne che esterne al gruppo, alla commissione di delitti contro il patrimonio, la persona, in materia di armi, a traffici di sostanze stupefacenti rispettivamente, alla corruzione, al riciclaggio di denaro, ed altro, e ha delineato le sue articolate strategie criminali in vista dei pieno radicamento territoriale e del controllo capillare delle diverse attività, strumentale all’accrescimento del suo potere e del suo prestigio e al mantenimento degli associati detenuti in carcere.

2. Parimenti infondati sono gli altri due motivi di ricorso.

Il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravita degli indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso (capo a), introduzione, detenzione e porto di armi da guerra (capo q) dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, dai servizi di osservazione e pedinamento svolti, dagli accertamenti di polizia giudiziaria svolti.

Il provvedimento impugnato, con motivazione compiuta e logica, evidenziava l’operatività di un articolato sodalizio di stampo mafioso, dedito alla commissione dei reati indicati al paragrafo che precede e al capillare controllo degli appalti pubblici e delle attività economico-produttive, caratterizzato da un forte radicamento sul territorio calabrese, da un’organizzazione gerarchica, all’interno della quale il ricorrente forniva, grazie al suo rapporto fiduciario con il capo dell’organizzazione, un pieno e consapevole contributo causale all’operatività dell’associazione, da tempo adusa ad avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, per la commissione di una serie di reati, al fine di realizzare il controllo capillare del territorio e di conseguire ingenti profitti illeciti, funzionali, da un lato, ad accrescere la potenza del gruppo e, dall’altro, a provvedere al mantenimento in carcere degli associati detenuti.

Ha, inoltre, messo in luce che O.M. (cl. (OMISSIS)), insieme con gli altri concorrenti nei reati, aveva ampia disponibilità di armi e di bombe, strumentali alle strategie di contrapposizione dell’organizzazione di appartenenza con clan avversi e alla riaffermazione, anche mediante il ricorso alla violenza, della supremazia della stessa non solo in Calabria, ma anche in Lombardia.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravita, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di O.M. (cl. (OMISSIS)) in ordine a tutti i delitti a lui contestati.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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