Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 21-07-2011, n. 29202 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 26 agosto 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame formulata da B.P. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 9 giugno 2010 dal gip del locale Tribunale in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. descritto al capo a), in esso assorbite anche le contestazioni sub h) e d), nonchè in relazione ai delitti di cui agli artt. 629 e 353 c.p., aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

A B. si contesta di avere fatto parte, in qualità di dirigente, della cosca mafiosa Buda-Imerti, alleata storica della "famiglia" Condello, dedita alla consumazione di estorsioni in danno di imprenditori e commercianti, al controllo capillare delle attività economiche nella zona di competenza del clan, a turbative d’asta in vista dell’aggiudicazione di immobili e attività, funzionali al progressivo accrescimento economico dell’organizzazione, al controllo capillare del territorio nell’ambito dei nuovi equilibri raggiunti dopo una sanguinosa guerra di mafia, nonchè al mantenimento degli associati.

Ad avviso dei giudici gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti contestati erano costituiti dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, dai servizi di osservazione e pedinamento svolti, dalla documentazione acquisita concernente le procedure di svolgimento delle aste giudiziarie presso il Tribunale di Reggio Calabria, ufficio esecuzioni immobiliari, dall’arresto di B. nella flagrante detenzione di un’arma nel febbraio 2008. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, B., il quale lamenta: a) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i delitti di cui agli artt. 416 bis, 629 e 353 c.p.; b) violazione dei canoni di valutazione probatoria, tenuto conto dell’assenza di elementi obiettivamente e univocamente indicativi di un’attualità della condotta associativa, dell’intervenuta sottoposizione di B. a due distinti processi per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., conclusisi rispettivamente con la condanna e con l’assoluzione dell’indagato, dei riferimenti a fatti risalenti nel tempo contenuti nei colloqui captati.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravita degli indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli artt. 416 bis, 81 cpv., 110 c.p., art. 353 c.p., comma 1 art. 629 c.p., comma 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3 e art. 61 c.p., n. 7, L. n. 203 del 1991, art. 7 dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, dai servizi di osservazione e pedinamento svolti, dalla documentazione acquisita concernente le procedure di svolgimento delle aste giudiziarie presso il Tribunale di Reggio Calabria, ufficio esecuzioni immobiliari, dall’arresto di B. nella flagrante detenzione di un’arma nel febbraio 2008.

Il provvedimento impugnato, con motivazione compiuta e logica, evidenziava l’operatività di un articolato sodalizio di stampo mafioso, dedito alla commissione di reati e al capillare controllo degli appalti pubblici e delle attività economico-produttive, caratterizzato da un forte radicamento sul territorio calabrese, da un’organizzazione gerarchica, all’interno della quale il ricorrente, che rivestiva un ruolo di primario rilievo, forniva, grazie al suo rapporto di organizzatore e dirigente, un pieno e consapevole contributo causale all’operatività dell’associazione, da tempo adusa ad avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, per la commissione di una serie di reati, al fine di realizzare il controllo capillare del territorio e di conseguire ingenti profitti illeciti, funzionali, da un lato, ad accrescere la potenza del gruppo e, dall’altro, a provvedere al mantenimento in carcere degli associati detenuti.

Ha, inoltre, messo in luce che B., insieme con gli altri concorrenti nei reati, facendo ricorso al metodo mafioso ed evocando la capacità di intimidazione promanante dal suo clan di appartenenza, turbava le aste giudiziarie che si svolgevano presso l’ufficio esecuzioni immobiliari del Tribunale di Reggio Calabria al fine di ottenere, mediante l’alterazione dello svolgimento delle relative procedure, l’aggiudicazione degli immobili in favore di determinate persone vicine all’organizzazione, di cui, in tal modo, veniva accresciuto il prestigio criminale e la potenza economica.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravita, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di B. in ordine a tutti i delitti a lui contestati.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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