Corte Costituzionale sentenza n. 1 SENTENZA 4 dicembre 2013- 13 gennaio 2014

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ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli artt. 4, comma
2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361
(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalla legge
21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); degli artt. 14,
comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993,
n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del
Senato della Repubblica), nel testo risultante dalla legge n. 270 del
2005, promosso dalla Corte di cassazione nel giudizio civile vertente
tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed
altro con ordinanza del 17 maggio 2013 iscritta al n. 144 del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di costituzione di Aldo Bozzi ed altri;
udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
uditi gli avvocati Claudio Tani, Aldo Bozzi e Felice Carlo
Besostri per Aldo Bozzi ed altri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 17 maggio 2013, la Corte di cassazione ha
sollevato questioni di legittimita’ costituzionale degli artt. 4,
comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957,
n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati), nel testo in vigore con le
modificazioni apportate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270
(Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica), nonche’ degli artt. 14, comma 1, e 17,
commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo
unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della
Repubblica), nel testo in vigore con le modificazioni apportate dalla
legge n. 270 del 2005, in riferimento agli artt. 3, 48, secondo
comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 117, primo comma,
della Costituzione, anche alla luce dell’art. 3, protocollo 1, della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di seguito,
CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali firmata a Roma il 4
novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952).
1.1.- Il rimettente premette di essere chiamato a pronunciarsi
sul ricorso promosso nei confronti della sentenza della Corte
d’appello di Milano, resa il 24 aprile 2012, con cui quest’ultima,
confermando la sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda
con la quale un cittadino elettore aveva chiesto che fosse accertato
che il suo diritto di voto non aveva potuto e non puo’ essere
esercitato in coerenza con i principi costituzionali.
In particolare, la Corte di cassazione precisa che il suddetto
cittadino elettore aveva convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale
di Milano, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero
dell’interno, deducendo che nelle elezioni per la Camera dei deputati
e per il Senato della Repubblica svoltesi successivamente all’entrata
in vigore della legge n. 270 del 2005 e, specificamente, in occasione
delle elezioni del 2006 e del 2008, egli aveva potuto esercitare il
diritto di voto secondo modalita’ configurate dalla predetta legge in
senso contrario ai principi costituzionali del voto «personale ed
eguale, libero e segreto» (art. 48, secondo comma, Cost.) ed «a
suffragio universale e diretto» (artt. 56, primo comma e 58, primo
comma, Cost.). Pertanto, chiedeva fosse dichiarato che il suo diritto
di voto non aveva potuto e non puo’ essere esercitato in modo libero
e diretto, secondo le modalita’ previste e garantite dalla
Costituzione e dal protocollo 1 della CEDU, e quindi chiedeva di
ripristinarlo secondo modalita’ conformi alla legalita’
costituzionale. A tal fine eccepiva l’illegittimita’ costituzionale
di svariate disposizioni delle leggi elettorali della Camera e del
Senato. Il Tribunale di Milano, dinanzi al quale svolgevano
interventi ad adiuvandum venticinque cittadini elettori, con sentenza
del 18 aprile 2011, rigettava le eccezioni preliminari di
inammissibilita’ per difetto di giurisdizione e insussistenza
dell’interesse ad agire e, nel merito, respingeva le domande,
giudicando manifestamente infondate le proposte eccezioni di
illegittimita’ costituzionale. Avverso tale decisione veniva proposto
appello che veniva, tuttavia, anche quanto alla fondatezza
dell’eccezione di illegittimita’ costituzionale, respinto nel merito.
1.2.- In linea preliminare, la Corte di cassazione rileva,
anzitutto, che sulla questione della sussistenza dell’interesse ad
agire dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 100 del codice di procedura
civile, in specie sull’interesse dei predetti a proporre un’azione di
accertamento della pienezza del proprio diritto di voto, quale
diritto politico di rilevanza primaria, di cui sarebbe precluso
l’esercizio in modo conforme alla Costituzione dalla legge n. 270 del
2005, si e’ formato il giudicato, considerato che i giudici di merito
avevano respinto le relative eccezioni delle amministrazioni
convenute in giudizio e che queste ultime non hanno proposto ricorso
incidentale.
1.3.- Il rimettente afferma, inoltre, che anche sulla questione
della giurisdizione si e’ formato il giudicato, non essendo stata
piu’ riproposta. Un’azione di accertamento di un diritto, d’altra
parte, non avrebbe potuto che essere promossa dinanzi al giudice
ordinario, giudice naturale dei diritti fondamentali, non
interferendo in nessun modo con la giurisdizione riservata alle
Camere, tramite le rispettive Giunte parlamentari (art. 66 Cost.), in
tema di operazioni elettorali.
1.4.- Quanto, poi, alla rilevanza delle questioni di legittimita’
costituzionale proposte, la Corte di cassazione ne ravvisa la
sussistenza sulla base della considerazione che l’accertamento della
pienezza del diritto di voto non puo’ avvenire se non all’esito del
controllo di costituzionalita’ delle norme di cui alla legge n. 270
del 2005, da cui si ritiene derivi la lesione del predetto diritto.
1.5. – Ancora preliminarmente, il rimettente rileva, infine, che,
nella specie, sussiste il necessario nesso di pregiudizialita’ delle
questioni di legittimita’ costituzionale proposte rispetto al
giudizio principale, posto che quest’ultimo deve essere definito con
una sentenza che accerti la portata del diritto azionato e lo
ripristini nella pienezza della sua espansione, anche se per il
tramite della sentenza della Corte costituzionale. Il petitum del
giudizio principale sarebbe, pertanto, separato e distinto rispetto a
quello oggetto del giudizio di legittimita’ costituzionale. Peraltro,
nei casi di leggi che, nel momento stesso in cui entrano in vigore,
creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a
determinati soggetti, i quali, pertanto, si trovano per cio’ stesso
gia’ pregiudicati da esse, come nel caso in esame delle leggi
elettorali, l’azione di accertamento rappresenterebbe l’unica strada
percorribile per la tutela giurisdizionale di diritti fondamentali di
cui, altrimenti, non sarebbe possibile una tutela efficace e diretta.
1.6.- Nel merito, la Corte di cassazione, in contrasto con quanto
ritenuto dai giudici di merito, premette che l’assenza di una
espressa base giuridica della materia elettorale nella Costituzione
non autorizza a ritenere che la relativa disciplina non debba essere
coerente con i conferenti principi sanciti dalla Costituzione ed in
specie con il principio di eguaglianza inteso come principio di
ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., e con il vincolo del voto
personale, eguale, libero e diretto (artt. 48, 56 e 58 Cost.), in
linea, peraltro, con una consolidata tradizione costituzionale comune
a molti Stati.
Ne’ varrebbe ad escludere la possibilita’ di sollevare questioni
di legittimita’ costituzionale delle leggi elettorali l’obiezione
che, rientrando queste ultime nella categoria delle leggi
costituzionalmente necessarie, non ne sarebbe possibile l’espunzione
dall’ordinamento nemmeno in caso di illegittimita’ costituzionale,
poiche’, in tal modo, si finirebbe col tollerare la permanente
vigenza di norme incostituzionali, di rilevanza essenziale per la
vita democratica di un Paese. D’altra parte, la Corte di cassazione
sottolinea che le questioni di legittimita’ costituzionale proposte
non mirano «a far caducare l’intera legge n. 270/2005, ne’ a
sostituirla con un’altra eterogenea, impingendo nella
discrezionalita’ del legislatore», ma solo a «ripristinare nella
legge elettorale contenuti costituzionalmente obbligati, senza
compromettere la permanente idoneita’ del sistema elettorale a
garantire il rinnovo degli organi costituzionali». A tal proposito la
Corte di cassazione sottolinea che «tale conclusione non e’
contraddetta ne’ ostacolata dalla eventualita’ che si renda
necessaria un’opera di mera cosmesi normativa e di ripulitura del
testo per la presenza di frammenti normativi residui, che puo’ essere
realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei suoi poteri
(in specie di quelli di cui all’art. 27, ultima parte, della legge n.
87 del 1953) o dal legislatore in attuazione dei principi enunciati
dalla stessa Corte».
1.7.- Tanto premesso, il rimettente censura anzitutto l’art. 83,
comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in
cui prevede che l’Ufficio elettorale nazionale verifica «se la
coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior
numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi»
(comma 1, n. 5) e stabilisce che, in caso negativo, ad essa viene
attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale
consistenza.
Tali disposizioni, non subordinando l’attribuzione del premio di
maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi,
trasformando una maggioranza relativa di voti (potenzialmente anche
molto modesta) in una maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero
irragionevolmente una oggettiva e grave alterazione della
rappresentanza democratica.
Esse, inoltre, delineerebbero un meccanismo premiale
manifestamente irragionevole, il quale, da un lato, incentivando il
raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio,
si porrebbe in contraddizione con l’esigenza di assicurare la
governabilita’, stante la possibilita’ che, anche immediatamente dopo
le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga o uno o
piu’ partiti che ne facevano parte ne escano; dall’altro,
provocherebbe una alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto
conto che la maggioranza beneficiaria del premio sarebbe in grado di
eleggere gli organi di garanzia che, tra l’altro, restano in carica
per un tempo piu’ lungo della legislatura.
La previsione dell’attribuzione del premio di maggioranza recata
dalle predette disposizioni comprometterebbe poi l’eguaglianza del
voto e cioe’ la «parita’ di condizione dei cittadini nel momento in
cui il voto viene espresso», in violazione dell’art. 48, secondo
comma, Cost., tenuto conto che la distorsione provocata dalla
predetta attribuzione del premio costituirebbe non gia’ un mero
inconveniente di fatto, ma il risultato di un meccanismo irrazionale
poiche’ normativamente programmato per tale esito.
1.8.- Analoghe censure sono, poi, rivolte all’art. 17, commi 2 e
4, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui prevede che
l’Ufficio elettorale regionale verifica «se la coalizione di liste o
la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi
espressi nell’ambito della circoscrizione abbia conseguito almeno il
55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento
all’unita’ superiore» (comma 2) e che, in caso negativo, «l’ufficio
elettorale regionale assegna alla coalizione di liste o alla singola
lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi
ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi
assegnati alla regione, con arrotondamento all’unita’ superiore»
(comma 4).
Anche le predette disposizioni, infatti, nella parte in cui non
subordinano l’attribuzione del premio di maggioranza su scala
regionale al raggiungimento di una soglia minima di voti, sarebbero
tali da determinare una oggettiva e grave alterazione della
rappresentanza democratica.
Esse, inoltre, recherebbero un meccanismo intrinsecamente
irrazionale, che di fatto finirebbe con contraddire lo scopo di
assicurare la governabilita’, in quanto, essendo il premio diverso
per ogni Regione, il risultato sarebbe una sommatoria casuale dei
premi regionali, che potrebbero finire per elidersi tra loro e
addirittura rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni
di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze
parlamentari non coincidenti, pur in presenza di una distribuzione
del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, e
compromettendo sia il funzionamento della forma di governo
parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due
Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione
legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce alla Camera ed al
Senato.
Un’ulteriore censura e’, infine, prospettata con riferimento agli
artt. 3 e 48, secondo comma, Cost., in quanto, posto che l’entita’
del premio, in favore della lista o coalizione che ha ottenuto piu’
voti, varia da Regione a Regione ed e’ maggiore nelle Regioni piu’
grandi e popolose, il peso del voto (che dovrebbe essere uguale e
contare allo stesso modo ai fini della traduzione in seggi) sarebbe
diverso a seconda della collocazione geografica dei cittadini
elettori.
1.9.-Vengono, infine, censurati l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n.
361 del 1957 e, in via consequenziale, l’art. 59, comma 1, del
medesimo d.P.R., nonche’ l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del
1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma
2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un voto
per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in
ragione proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il
contrassegno di ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n.
361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un
voto di lista»; nonche’ l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del
1993, che «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda
un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il
contrassegno della lista prescelta».
Tali disposizioni violerebbero gli artt. 56, primo comma, e 58,
primo comma, Cost., che stabiliscono che il suffragio e’ «diretto»
per l’elezione dei deputati e dei senatori; l’art. 48, secondo comma,
Cost. che stabilisce che il voto e’ personale e libero; l’art. 117,
primo comma, Cost. in relazione all’art. 3 del protocollo 1 della
CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla «scelta del corpo
legislativo»; e l’art. 49 Cost. Esse, infatti, non consentendo
all’elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una
lista di partito, cui e’ rimessa la designazione dei candidati,
renderebbero il voto sostanzialmente "indiretto", posto che i partiti
non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost.
presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli
elettori. Inoltre, sottraendo all’elettore la facolta’ di scegliere
l’eletto, farebbero si’ che il voto non sia ne’ libero, ne’
personale.
2.- Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti i
ricorrenti nel giudizio principale, i quali, nell’atto di
costituzione e nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza
pubblica, hanno chiesto che sia dichiarata l’illegittimita’
costituzionale delle norme censurate con l’ordinanza di rimessione;
nonche’ che sia dichiarata l’illegittimita’ costituzionale, per
relationem, anche dell’art. 83, commi 1, n. 3 e 6, del d.P.R. n. 361
del 1957 e dell’art. 16, comma 1, lettera b), n. 1 e n. 2, del d.lgs.
n. 533 del 1993.
In particolare, con riguardo alle norme inerenti al premio di
maggioranza, i ricorrenti ne sostengono l’irrazionalita’, sulla scia
di quanto gia’ evidenziato dalla dottrina ed affermato dalla
giurisprudenza costituzionale, in sede di sindacato di ammissibilita’
del referendum abrogativo (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008 e n. 13
del 2012), proprio in relazione al fatto che le vigenti leggi
elettorali attribuiscono un enorme premio di maggioranza alla lista
che ha ottenuto anche un solo voto in piu’ delle altre, senza
prevedere il raggiungimento di una soglia minima di voti.
Quanto al voto di preferenza, i ricorrenti lamentano che
l’esercizio di tale diritto sia stato illegittimamente soppresso dal
legislatore del 2005, in contrasto con la Costituzione, che, all’art.
48, secondo comma, stabilisce che il voto e’ «personale ed eguale,
libero e segreto» ed agli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma,
prevede che il voto deve avvenire «a suffragio universale e diretto»,
assicurando in tal modo che il voto sia espresso dalla persona che
vota (elettorato attivo) e ricevuto direttamente dalla persona che si
e’ candidata (elettorato passivo). Attribuendo rilevanza esclusiva
all’ordine di inserimento dei candidati nella medesima lista, gia’
deciso dagli organi di partito, ed eliminando ogni potere
dell’elettore di incidere direttamente sulla composizione
dell’Assemblea, la legge avrebbe trasformato le elezioni in un
procedimento di mera ratifica dell’ordine di lista deciso dagli
organi di partito, conferendo a costoro l’esclusivo potere non piu’
di designazione di una serie di nomi da sottoporre singolarmente alla
scelta diretta degli elettori, ma di nomina.
3.- All’udienza pubblica, le parti costituite nel giudizio hanno
insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese
scritte.

Considerato in diritto

1.- La Corte di cassazione dubita della legittimita’
costituzionale di alcune disposizioni del d.P.R. 30 marzo 1957, n.
361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati) e del decreto legislativo 20
dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per
l’elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalle
modifiche apportate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche
alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica), relative all’attribuzione del premio di
maggioranza su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al
Senato, nonche’ di quelle disposizioni che, disciplinando le
modalita’ di espressione del voto come voto di lista, non consentono
all’elettore di esprimere alcuna preferenza.
1.1.- In particolare, la Corte di cassazione censura, anzitutto,
l’art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui dispone che
l’Ufficio elettorale nazionale verifica «se la coalizione di liste o
la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi
espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5) e
stabilisce che, in caso negativo, «ad essa viene ulteriormente
attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale
consistenza» (comma 2).
Tali disposizioni violerebbero l’art. 3 Cost., congiuntamente
agli artt. 1, secondo comma, e 67 Cost., in quanto, non subordinando
l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una
soglia minima di voti e, quindi, trasformando una maggioranza
relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una
maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero irragionevolmente una
oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica.
Esse, inoltre, avrebbero stabilito un meccanismo di attribuzione
del premio manifestamente irragionevole, il quale, da un lato,
sarebbe in contrasto con l’esigenza di assicurare la governabilita’,
in quanto incentiverebbe il raggiungimento di accordi tra le liste al
solo fine di accedere al premio, senza scongiurare il rischio che,
anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del
premio possa sciogliersi, o uno o piu’ partiti che ne facevano parte
escano dalla stessa. Dall’altro, provocherebbe un’alterazione degli
equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria
del premio sarebbe in grado di eleggere gli organi di garanzia che
restano in carica per un tempo piu’ lungo della legislatura.
Tale modalita’ di attribuzione del premio di maggioranza
stabilita dalle predette disposizioni comprometterebbe, inoltre,
l’eguaglianza del voto e cioe’ la parita’ di condizione dei cittadini
nel momento in cui il voto viene espresso, in violazione dell’art.
48, secondo comma, Cost. La distorsione che ne risulta non
costituirebbe, infatti, un mero inconveniente di fatto, ma sarebbe il
risultato di un meccanismo irrazionale normativamente programmato per
determinare tale esito.
1.2.- Analoghe censure sono rivolte all’art. 17 del d.lgs. n. 533
del 1993 (concernente la disciplina dell’elezione del Senato della
Repubblica), nella parte in cui stabilisce che l’Ufficio elettorale
regionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che
ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell’ambito
della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei
seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unita’
superiore» (comma 2) e che, in caso negativo, «l’ufficio elettorale
regionale assegna alla coalizione di liste o alla singola lista che
abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore
necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla
regione, con arrotondamento all’unita’ superiore» (comma 4).
Anche tali disposizioni, nella parte in cui non subordinano
l’attribuzione del premio di maggioranza su scala regionale al
raggiungimento di una soglia minima di voti, determinerebbero,
irragionevolmente, una oggettiva e grave alterazione della
rappresentanza democratica. Inoltre, avrebbero creato un meccanismo
intrinsecamente irrazionale, in contrasto con lo scopo di assicurare
la governabilita’. Infatti, essendo detto premio diverso per ogni
Regione, il risultato sarebbe una somma casuale dei premi regionali,
che potrebbero finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle
liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la
formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami
del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto
sostanzialmente omogenea, cosi’ da compromettere sia il funzionamento
della forma di governo parlamentare, nella quale il Governo deve
avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia
l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost.
attribuisce alla Camera ed al Senato.
Le predette disposizioni violerebbero anche gli artt. 3 e 48,
secondo comma, Cost., in quanto, posto che l’entita’ del premio, in
favore della lista o coalizione che ha ottenuto piu’ voti, varia da
Regione a Regione ed e’ maggiore in quelle piu’ grandi e popolose, il
peso del voto – che dovrebbe essere uguale e contare allo stesso modo
ai fini della traduzione in seggi – sarebbe diverso a seconda della
collocazione geografica dei cittadini elettori.
1.3.- La Corte di cassazione censura, infine, l’art. 4, comma 2,
del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale, l’art. 59 del
medesimo d.P.R., nonche’ l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del
1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma
2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un voto
per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in
ragione proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il
contrassegno di ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n.
361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un
voto di lista»; nonche’ l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del
1993, che «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda
un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il
contrassegno della lista prescelta».
Tali disposizioni, ad avviso del rimettente, violerebbero gli
artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., i quali stabiliscono
che il suffragio e’ diretto per l’elezione dei deputati e dei
senatori; l’art. 48, secondo comma, Cost., in virtu’ del quale il
voto e’ personale e libero; l’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 3 del protocollo 1, della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di seguito, CEDU), ratificata e
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed
esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle liberta’ fondamentali firmata a Roma il 4 novembre
1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a
Parigi il 20 marzo 1952), che riconosce al popolo il diritto alla
«scelta del corpo legislativo»; e l’art. 49 Cost. Dette norme, non
consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza per i
candidati, ma solo di scegliere una lista di partito, cui e’ rimessa
la designazione di tutti i candidati, renderebbero, infatti, il voto
sostanzialmente "indiretto", posto che i partiti non potrebbero
sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presupporrebbe
l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori.
Inoltre, sottraendo all’elettore la facolta’ di scegliere l’eletto,
farebbero si’ che il voto non sia libero, ne’ personale.
2.- In ordine all’ammissibilita’ delle questioni di legittimita’
costituzionale in esame, va premesso che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, siffatto controllo ai sensi dell’art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale) «va limitato
all’adeguatezza delle motivazioni in ordine ai presupposti in base ai
quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente ed effettivamente
instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire un petitum, separato
e distinto dalla questione di legittimita’ costituzionale, sul quale
il giudice remittente sia chiamato a decidere» (tra le molte,
sentenza n. 263 del 1994). Il riscontro dell’interesse ad agire e la
verifica della legittimazione delle parti, nonche’ della
giurisdizione del giudice rimettente, ai fini dell’apprezzamento
della rilevanza dell’incidente di legittimita’ costituzionale, sono,
inoltre, rimessi alla valutazione del giudice a quo e non sono
suscettibili di riesame da parte di questa Corte, qualora sorretti da
una motivazione non implausibile (fra le piu’ recenti, sentenze n. 91
del 2013, n. 280 del 2012, n. 279 del 2012, n. 61 del 2012, n. 270
del 2010).
Nella specie, la Corte di cassazione, con motivazione ampia,
articolata ed approfondita, ha plausibilmente argomentato in ordine
sia alla pregiudizialita’ delle questioni di legittimita’
costituzionale rispetto alla definizione del giudizio principale, sia
alla rilevanza delle medesime.
Essa ha affermato che nel giudizio principale e’ stata proposta
un’azione di accertamento avente ad oggetto il diritto di voto,
finalizzata – come tutte le azioni di tale natura, la cui generale
ammissibilita’ e’ desunta dal principio dell’interesse ad agire – ad
accertare la portata del diritto, ritenuta incerta. L’esistenza di
detto interesse e della giurisdizione – ha sottolineato l’ordinanza –
costituisce, peraltro, oggetto di un giudicato interno. La
sussistenza dell’uno e dell’altra e’ stata, infatti, contestata dalle
Amministrazioni nella fase di merito, con eccezione rigettata dal
Tribunale e dalla Corte d’appello di Milano, e non e’ stata reiterata
dinanzi alla Corte di cassazione mediante la proposizione di ricorso
incidentale, con la conseguenza che deve ritenersi definitivamente
precluso il riesame di tale profilo.
Il rimettente, con argomentazioni plausibili, ha altresi’
sottolineato, in ordine alla natura ed oggetto dell’azione, che gli
attori hanno agito allo scopo «di rimuovere un pregiudizio», frutto
di «una (gia’ avvenuta) modificazione della realta’ giuridica che
postula di essere rimossa mediante un’attivita’ ulteriore, giuridica
e materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare
realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori
costituzionali». A suo avviso, gli attori hanno, quindi, chiesto al
giudice ordinario – in qualita’ di giudice dei diritti – di accertare
la portata del proprio diritto di voto, resa incerta da una normativa
elettorale in ipotesi incostituzionale, previa l’eventuale
proposizione della relativa questione. Pertanto, l’eventuale
accoglimento delle questioni di legittimita’ costituzionale non
esaurirebbe la tutela richiesta nel giudizio principale, che si
realizzerebbe solo a seguito ed in virtu’ della pronuncia con la
quale il giudice ordinario accerta il contenuto del diritto
dell’attore, all’esito della sentenza di questa Corte.
Al riguardo, in ordine ai presupposti della rilevanza della
questione di legittimita’ costituzionale, va ricordato che, secondo
un principio enunciato da questa Corte fin dalle sue prime pronunce,
«la circostanza che la dedotta incostituzionalita’ di una o piu’
norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al
giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito
della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio
principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle
questioni) di legittimita’ costituzionale, sul quale il giudice
rimettente sia chiamato a pronunciarsi» (sentenza n. 4 del 2000; ma
analoga affermazione era gia’ contenuta nella sentenza n. 59 del
1957), anche allo scopo di scongiurare «la esclusione di ogni
garanzia e di ogni controllo» su taluni atti legislativi (nella
specie le leggi-provvedimento: sentenza n. 59 del 1957).
Nel caso in esame, tale condizione e’ soddisfatta, perche’ il
petitum oggetto del giudizio principale e’ costituito dalla pronuncia
di accertamento del diritto azionato, in ipotesi condizionata dalla
decisione delle sollevate questioni di legittimita’ costituzionale,
non risultando l’accertamento richiesto al giudice comune totalmente
assorbito dalla sentenza di questa Corte, in quanto residuerebbe la
verifica delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il
riconoscimento del diritto di voto. Per di piu’, nella fattispecie
qui in esame, la questione ha ad oggetto un diritto fondamentale
tutelato dalla Costituzione, il diritto di voto, che ha come
connotato essenziale il collegamento ad un interesse del corpo
sociale nel suo insieme, ed e’ proposta allo scopo di porre fine ad
una situazione di incertezza sulla effettiva portata del predetto
diritto determinata proprio da «una (gia’ avvenuta) modificazione
della realta’ giuridica», in ipotesi frutto delle norme censurate.
L’ammissibilita’ delle questioni di legittimita’ costituzionale
sollevate nel corso di tale giudizio si desume precisamente dalla
peculiarita’ e dal rilievo costituzionale, da un lato, del diritto
oggetto di accertamento; dall’altro, della legge che, per il sospetto
di illegittimita’ costituzionale, ne rende incerta la portata. Detta
ammissibilita’ costituisce anche l’ineludibile corollario del
principio che impone di assicurare la tutela del diritto inviolabile
di voto, pregiudicato – secondo l’ordinanza del giudice rimettente –
da una normativa elettorale non conforme ai principi costituzionali,
indipendentemente da atti applicativi della stessa, in quanto gia’
l’incertezza sulla portata del diritto costituisce una lesione
giuridicamente rilevante. L’esigenza di garantire il principio di
costituzionalita’ rende quindi imprescindibile affermare il sindacato
di questa Corte – che «deve coprire nella misura piu’ ampia possibile
l’ordinamento giuridico» (sentenza n. 387 del 1996) – anche sulle
leggi, come quelle relative alle elezioni della Camera e del Senato,
«che piu’ difficilmente verrebbero per altra via ad essa sottoposte»
(sentenze n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976).
Nel quadro di tali principi, le sollevate questioni di
legittimita’ costituzionale sono ammissibili, anche in linea con
l’esigenza che non siano sottratte al sindacato di costituzionalita’
le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del
Senato, che definiscono le regole della composizione di organi
costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema
democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da
quel sindacato. Diversamente, si finirebbe con il creare una zona
franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito
strettamente connesso con l’assetto democratico, in quanto incide sul
diritto fondamentale di voto; per cio’ stesso, si determinerebbe un
vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale
complessivamente considerato.
3.- Nel merito, la prima delle questioni in esame riguarda il
premio di maggioranza assegnato per la elezione della Camera dei
deputati. L’art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957 prevede che l’Ufficio
elettorale nazionale verifichi «se la coalizione di liste o la
singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi
espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5), sulla
base dall’attribuzione di seggi in ragione proporzionale; e
stabilisce, in caso negativo, che ad essa venga attribuito il numero
di seggi necessario per raggiungere quella consistenza (comma 2).
Secondo la Corte di cassazione, tali disposizioni, non
subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al
raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi, trasformando
una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta,
in una maggioranza assoluta di seggi, avrebbero stabilito, in
violazione dell’art. 3 Cost., un meccanismo di attribuzione del
premio manifestamente irragionevole, tale da determinare una
oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica,
lesiva della stessa eguaglianza del voto, peraltro neppure idonea ad
assicurare la stabilita’ di governo.
3.1.- La questione e’ fondata.
Questa Corte ha da tempo ricordato che l’Assemblea Costituente,
«pur manifestando, con l’approvazione di un ordine del giorno, il
favore per il sistema proporzionale nell’elezione dei membri della
Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul piano
normativo, costituzionalizzando una scelta proporzionalistica o
disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la
configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria»
(sentenza n. 429 del 1995). Pertanto, la «determinazione delle
formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si
esprime con un massimo di evidenza la politicita’ della scelta
legislativa» (sentenza n. 242 del 2012; ordinanza n. 260 del 2002;
sentenza n. 107 del 1996). Il principio costituzionale di eguaglianza
del voto – ha inoltre rilevato questa Corte – esige che l’esercizio
dell’elettorato attivo avvenga in condizione di parita’, in quanto
«ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia alla
formazione degli organi elettivi» (sentenza n. 43 del 1961), ma «non
si estende […] al risultato concreto della manifestazione di
volonta’ dell’elettore […] che dipende […] esclusivamente dal
sistema che il legislatore ordinario, non avendo la Costituzione
disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e
amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si
ricollegano alle consultazioni popolari» (sentenza n. 43 del 1961).
Non c’e’, in altri termini, un modello di sistema elettorale
imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest’ultima lascia
alla discrezionalita’ del legislatore la scelta del sistema che
ritenga piu’ idoneo ed efficace in considerazione del contesto
storico.
Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione
dell’ampia discrezionalita’ legislativa, non e’ esente da controllo,
essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalita’
quando risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 242 del 2012
e n. 107 del 1996; ordinanza n. 260 del 2002).
Nella specie, proprio con riguardo alle norme della legge
elettorale della Camera qui in esame, relative all’attribuzione del
premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima
di voti o di seggi, questa Corte, pur negando la possibilita’ di
sindacare in sede di giudizio di ammissibilita’ del referendum
abrogativo profili di illegittimita’ costituzionale, in particolare
attinenti alla ragionevolezza delle predette norme, ha gia’ segnalato
l’esigenza che il Parlamento consideri con attenzione alcuni profili
di un simile meccanismo. Alcuni aspetti problematici sono stati
ravvisati nella circostanza che il meccanismo premiale e’ foriero di
una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza
relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un
numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza
assoluta dei seggi. In tal modo si puo’ verificare in concreto una
distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur
essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume
una misura tale da comprometterne la compatibilita’ con il principio
di eguaglianza del voto (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008).
Successivamente, questa Corte, stante l’inerzia del legislatore, ha
rinnovato l’invito al Parlamento a considerare con attenzione i punti
problematici della disciplina, cosi’ come risultante dalle modifiche
introdotte con la legge n. 270 del 2005, ed ha nuovamente
sottolineato i profili di irrazionalita’ segnalati nelle precedenti
occasioni sopra ricordate, insiti nell’«attribuzione dei premi di
maggioranza senza la previsione di alcuna soglia minima di voti e/o
di seggi» (sentenza n. 13 del 2012); profili ritenuti, tuttavia,
insindacabili in una sede diversa dal giudizio di legittimita’
costituzionale.
Gli stessi rilievi, nella perdurante inerzia del legislatore
ordinario, non possono che essere ribaditi e, conseguentemente,
devono ritenersi fondate le censure concernenti l’art. 83, comma 1,
n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. Tali disposizioni,
infatti, non superano lo scrutinio di proporzionalita’ e di
ragionevolezza, al quale soggiacciono anche le norme inerenti ai
sistemi elettorali.
In ambiti connotati da un’ampia discrezionalita’ legislativa,
quale quello in esame, siffatto scrutinio impone a questa Corte di
verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita’ tali da determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio
deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla
proporzionalita’ dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua
insindacabile discrezionalita’ rispetto alle esigenze obiettive da
soddisfare o alle finalita’ che intende perseguire, tenuto conto
delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti»
(sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalita’ utilizzato
da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali
europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale
strumento della Corte di giustizia dell’Unione europea per il
controllo giurisdizionale di legittimita’ degli atti dell’Unione e
degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di
scrutinio, con la misura e le modalita’ di applicazione stabilite,
sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente
perseguiti, in quanto, tra piu’ misure appropriate, prescriva quella
meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi.
Nella specie, le suddette condizioni non sono soddisfatte.
Le disposizioni censurate sono dirette ad agevolare la formazione
di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la
stabilita’ del governo del Paese e di rendere piu’ rapido il processo
decisionale, cio’ che costituisce senz’altro un obiettivo
costituzionalmente legittimo. Questo obiettivo e’ perseguito mediante
un meccanismo premiale destinato ad essere attivato ogniqualvolta la
votazione con il sistema proporzionale non abbia assicurato ad alcuna
lista o coalizione di liste un numero di voti tale da tradursi in una
maggioranza anche superiore a quella assoluta di seggi (340 su 630).
Se dunque si verifica tale eventualita’, il meccanismo premiale
garantisce l’attribuzione di seggi aggiuntivi (fino alla soglia dei
340 seggi) a quella lista o coalizione di liste che abbia ottenuto
anche un solo voto in piu’ delle altre, e cio’ pure nel caso che il
numero di voti sia in assoluto molto esiguo, in difetto della
previsione di una soglia minima di voti e/o di seggi.
Le disposizioni censurate non si limitano, tuttavia, ad
introdurre un correttivo (ulteriore rispetto a quello gia’ costituito
dalla previsione di soglie di sbarramento all’accesso, di cui al n. 3
ed al n. 6 del medesimo comma 1 del citato art. 83, qui non
censurati) al sistema di trasformazione dei voti in seggi «in ragione
proporzionale», stabilito dall’art. 1, comma 2, del medesimo d.P.R.
n. 361 del 1957, in vista del legittimo obiettivo di favorire la
formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili
governi, ma rovesciano la ratio della formula elettorale prescelta
dallo stesso legislatore del 2005, che e’ quella di assicurare la
rappresentativita’ dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette
norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione
dell’organo della rappresentanza politica, che e’ al centro del
sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo
parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volonta’ dei
cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale
strumento di manifestazione della sovranita’ popolare, secondo l’art.
1, secondo comma, Cost.
In altri termini, le disposizioni in esame non impongono il
raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o coalizione
di liste) di maggioranza relativa dei voti; e ad essa assegnano
automaticamente un numero anche molto elevato di seggi, tale da
trasformare, in ipotesi, una formazione che ha conseguito una
percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la
maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea. Risulta,
pertanto, palese che in tal modo esse consentono una illimitata
compressione della rappresentativita’ dell’assemblea parlamentare,
incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le
assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza
politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione del
voto e quindi della sovranita’ popolare, ed in virtu’ di cio’ ad esse
sono affidate funzioni fondamentali, dotate di «una caratterizzazione
tipica ed infungibile» (sentenza n. 106 del 2002), fra le quali vi
sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le
delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione
(art. 138 Cost.): cio’ che peraltro distingue il Parlamento da altre
assemblee rappresentative di enti territoriali.
Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza
prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale
introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con
l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere
all’assegnazione del premio, e’ pertanto tale da determinare
un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione,
basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48,
secondo comma, Cost.). Esso, infatti, pur non vincolando il
legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige
comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari
efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del
1961) ed assume sfumature diverse in funzione del sistema elettorale
prescelto. In ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano,
nei quali pure e’ contemplato detto principio e non e’
costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice costituzionale
ha espressamente riconosciuto, da tempo, che, qualora il legislatore
adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso
genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini
uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioe’ una diseguale
valutazione del "peso" del voto "in uscita", ai fini
dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un
pregiudizio per la funzionalita’ dell’organo parlamentare (BVerfGE,
sentenza 3/11 del 25 luglio 2012; ma v. gia’ la sentenza n. 197 del
22 maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952).
Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo
costituzionale, qual e’ quello della stabilita’ del governo del Paese
e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare,
dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor
sacrificio possibile degli altri interessi e valori
costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1,
secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta
disciplina non e’ proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito,
posto che determina una compressione della funzione rappresentativa
dell’assemblea, nonche’ dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale
da produrre un’alterazione profonda della composizione della
rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera
architettura dell’ordinamento costituzionale vigente.
Deve, quindi, essere dichiarata l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957.
4.- Le medesime argomentazioni vanno svolte anche in relazione
alle censure sollevate, in relazione agli stessi parametri
costituzionali, nei confronti dell’art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs.
n. 533 del 1993, che disciplina il premio di maggioranza per le
elezioni del Senato della Repubblica, prevedendo che l’Ufficio
elettorale regionale, qualora la coalizione di liste o la singola
lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
nell’ambito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55
per cento dei seggi assegnati alla regione, assegni alle medesime un
numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento
dei seggi assegnati alla regione.
Anche queste norme, nell’attribuire in siffatto modo il premio
della maggioranza assoluta, in ambito regionale, alla lista (o
coalizione di liste) che abbia ottenuto semplicemente un numero
maggiore di voti rispetto alle altre liste, in difetto del
raggiungimento di una soglia minima, contengono una disciplina
manifestamente irragionevole, che comprime la rappresentativita’
dell’assemblea parlamentare, attraverso la quale si esprime la
sovranita’ popolare, in misura sproporzionata rispetto all’obiettivo
perseguito (garantire la stabilita’ di governo e l’efficienza
decisionale del sistema), incidendo anche sull’eguaglianza del voto,
in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e
67 Cost.
Nella specie, il test di proporzionalita’ evidenzia, oltre al
difetto di proporzionalita’ in senso stretto della disciplina
censurata, anche l’inidoneita’ della stessa al raggiungimento
dell’obiettivo perseguito, in modo piu’ netto rispetto alla
disciplina prevista per l’elezione della Camera dei deputati. Essa,
infatti, stabilendo che l’attribuzione del premio di maggioranza e’
su scala regionale, produce l’effetto che la maggioranza in seno
all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di
premi regionali, che puo’ finire per rovesciare il risultato ottenuto
dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la
formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami
del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto
nell’insieme sostanzialmente omogenea. Cio’ rischia di compromettere
sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata
dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la
fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia
l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost.
attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In definitiva,
rischia di vanificare il risultato che si intende conseguire con
un’adeguata stabilita’ della maggioranza parlamentare e del governo.
E benche’ tali profili costituiscano, in larga misura, l’oggetto di
scelte politiche riservate al legislatore ordinario, questa Corte ha
tuttavia il dovere di verificare se la disciplina legislativa violi
manifestamente, come nella specie, i principi di proporzionalita’ e
ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt. 1, secondo comma,
3, 48, secondo comma, e 67 Cost.
Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993.
5.- Occorre, infine, esaminare le censure relative all’art. 4,
comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale,
all’art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonche’ all’art. 14, comma
1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui, rispettivamente,
prevedono: l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni
elettore dispone di un voto per la scelta della lista ai fini
dell’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su
un’unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista»; l’art. 59
del medesimo d.P.R. n. 361, che «Una scheda valida per la scelta
della lista rappresenta un voto di lista»; nonche’ l’art. 14, comma
1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto si esprime tracciando,
con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto, sul
rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta».
Secondo il rimettente, tali disposizioni, non consentendo
all’elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una
lista di partito, cui e’ rimessa la designazione e la collocazione in
lista di tutti i candidati, renderebbero il voto sostanzialmente
"indiretto", posto che i partiti non possono sostituirsi al corpo
elettorale e che l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato
conferito direttamente dagli elettori. Cio’ violerebbe gli artt. 56,
primo comma, e 58, primo comma, Cost., l’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all’art. 3 del protocollo 1 della CEDU, che
riconosce al popolo il diritto alla "scelta del corpo legislativo", e
l’art. 49 Cost. Inoltre, sottraendo all’elettore la facolta’ di
scegliere l’eletto, farebbero si’ che il voto non sia ne’ libero, ne’
personale, in violazione dell’art. 48, secondo comma, Cost.
5.1.- La questione e’ fondata nei termini di seguito precisati.
Le norme censurate, concernenti le modalita’ di espressione del
voto per l’elezione dei componenti, rispettivamente, della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica, si inseriscono in un contesto
normativo in base al quale tale voto avviene per liste concorrenti di
candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957; art. 1, comma
2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati «secondo un determinato
ordine», in numero «non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi
assegnati alla circoscrizione» (art. 18-bis, comma 3, del d.P.R. n.
361 del 1957 ed art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 533 del 1993). Le
circoscrizioni elettorali, la cui disciplina non e’ investita dalle
censure qui esaminate, corrispondono sempre, per il Senato, ai
territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del 1993); per la
Camera dei deputati (Allegato A alla legge n. 270 del 2005), le
circoscrizioni corrispondono ai territori regionali, con l’eccezione
delle Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali sono presenti due
circoscrizioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) o tre
(Lombardia).
La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti e’, inoltre,
effettuata in ragione proporzionale, con l’eventuale attribuzione del
premio di maggioranza (art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957),
che e’ definito, per il Senato, «di coalizione regionale» (art. 1,
comma 2, d.lgs. n. 533 del 1993); e sono proclamati «eletti, nei
limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati
compresi nella lista medesima, secondo l’ordine di presentazione»
nella lista (art. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957 ed art. 17,
comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993).
In questo quadro, le disposizioni censurate, nello stabilire che
il voto espresso dall’elettore, destinato a determinare per intero la
composizione della Camera e del Senato, e’ un voto per la scelta
della lista, escludono ogni facolta’ dell’elettore di incidere
sull’elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che,
ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di
appartenenza, dall’ordine di presentazione dei candidati nella
stessa, ordine di presentazione che e’ sostanzialmente deciso dai
partiti. La scelta dell’elettore, in altri termini, si traduce in un
voto di preferenza esclusivamente per la lista, che – in quanto
presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie, come si e’
rilevato – contiene un numero assai elevato di candidati, che puo’
corrispondere all’intero numero dei seggi assegnati alla
circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili
dall’elettore stesso.
Una simile disciplina priva l’elettore di ogni margine di scelta
dei propri rappresentanti, scelta che e’ totalmente rimessa ai
partiti. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che «le funzioni
attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di
eleggere le assemblee – quali la "presentazione di alternative
elettorali" e la "selezione dei candidati alle cariche elettive
pubbliche" – non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni
costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore
ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente
riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralita’ di partiti
con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito
del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello
stesso art. 49 Cost.» (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni
devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione
alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee
programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo
elettorale, al fine di consentire una scelta piu’ chiara e
consapevole anche in riferimento ai candidati.
Sulla base di analoghi argomenti, questa Corte si e’ gia’
espressa, sia pure con riferimento al sistema elettorale vigente nel
1975 per i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, contraddistinto
anche esso dalla ripartizione dei seggi in ragione proporzionale fra
liste concorrenti di candidati. In quella occasione, la Corte ha
affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai
partiti il compito di indicare l’ordine di presentazione delle
candidature non lede in alcun modo la liberta’ di voto del cittadino:
a condizione che quest’ultimo sia «pur sempre libero e garantito
nella sua manifestazione di volonta’, sia nella scelta del
raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o
quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di
preferenza» (sentenza n. 203 del 1975).
Nella specie, tale liberta’ risulta compromessa, posto che il
cittadino e’ chiamato a determinare l’elezione di tutti i deputati e
di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle
circoscrizioni piu’ popolose) di candidati, che difficilmente
conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di scelte
operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione,
si’ che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo
stesso ordine di lista puo’ essere delusa, tenuto conto della
possibilita’ di candidature multiple e della facolta’ dell’eletto di
optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del
partito.
In definitiva, e’ la circostanza che alla totalita’ dei
parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della
indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della
rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di
voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere
in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non
ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente
destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati
o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile ne’ con
altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei
seggi, ne’ con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di
dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei
candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva
conoscibilita’ degli stessi e con essa l’effettivita’ della scelta e
la liberta’ del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi
uninominali).
Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa,
tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto
di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si
costituisca correttamente e direttamente, coartano la liberta’ di
scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in
Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della
sovranita’ popolare, e pertanto contraddicono il principio
democratico, incidendo sulla stessa liberta’ del voto di cui all’art.
48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978).
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimita’ costituzionale
degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonche’
dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui
non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per i
candidati, al fine di determinarne l’elezione.
Resta, pertanto, assorbita la questione proposta in riferimento
all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 del
protocollo 1 della CEDU. Peraltro, nessun rilievo assume la sentenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo del 13 marzo 2012 (caso
Saccomanno e altri contro Italia), resa a seguito di un ricorso
proposto da alcuni cittadini italiani che deducevano la pretesa
violazione di quel parametro precisamente dalle norme elettorali qui
in esame, sentenza che ha dichiarato tutti i motivi di ricorso
manifestamente infondati, sul presupposto dell’«ampio margine di
discrezionalita’ di cui dispongono gli Stati in materia» (paragrafo
64). Spetta, in definitiva, a questa Corte di verificare la
compatibilita’ delle norme in questione con la Costituzione.
6.- La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata
illegittimita’ costituzionale delle disposizioni oggetto delle
questioni sollevate dalla Corte di cassazione e’ «complessivamente
idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo
costituzionale elettivo», cosi’ come richiesto dalla costante
giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2012).
Le leggi elettorali sono, infatti, "costituzionalmente necessarie",
in quanto «indispensabili per assicurare il funzionamento e la
continuita’ degli organi costituzionali» (sentenza n. 13 del 2012;
analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del 2008, n. 13 del 1999, n. 26
del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29 del
1987), dovendosi inoltre scongiurare l’eventualita’ di «paralizzare
il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica previsto
dall’art. 88 Cost.» (sentenza n. 13 del 2012).
In particolare, la normativa che rimane in vigore stabilisce un
meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente
l’attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni
elettorali che rimangono immutate, sia per la Camera che per il
Senato. Cio’ che resta, invero, e’ precisamente il meccanismo in
ragione proporzionale delineato dall’art. 1 del d.P.R. n. 361 del
1957 e dall’art. 1 del d.lgs. n. 533 del 1993, depurato
dell’attribuzione del premio di maggioranza; e le norme censurate
riguardanti l’espressione del voto risultano integrate in modo da
consentire un voto di preferenza. Non rientra tra i compiti di questa
Corte valutare l’opportunita’ e/o l’efficacia di tale meccanismo,
spettando ad essa solo di verificare la conformita’ alla Costituzione
delle specifiche norme censurate e la possibilita’ immediata di
procedere ad elezioni con la restante normativa, condizione,
quest’ultima, connessa alla natura della legge elettorale di «legge
costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 32 del 1993). D’altra
parte, la rimettente Corte di cassazione aveva significativamente
puntualizzato che «la proposta questione di legittimita’
costituzionale non mira a far caducare l’intera legge n. 270/2005 ne’
a sostituirla con un’altra eterogenea impingendo nella
discrezionalita’ del legislatore, ma a ripristinare nella legge
elettorale contenuti costituzionalmente obbligati (concernenti la
disciplina del premio di maggioranza e delle preferenze), senza
compromettere la permanente idoneita’ del sistema elettorale a
garantire il rinnovo degli organi costituzionali», fatta salva
«l’eventualita’ che si renda necessaria un’opera di mera cosmesi
normativa e di ripulitura del testo per la presenza di frammenti
normativi residui, che puo’ essere realizzata dalla Corte
costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha a disposizione».
La presente decisione non puo’ andare al di la’ di quanto
ipotizzato e richiesto dal giudice rimettente.
Per quanto riguarda la possibilita’ per l’elettore di esprimere
un voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che
comunque «non incidono sull’operativita’ del sistema elettorale, ne’
paralizzano la funzionalita’ dell’organo» (sentenza n. 32 del 1993),
possono essere risolti mediante l’impiego degli ordinari criteri
d’interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme gia’
vigenti coerente con la pronuncia di questa Corte: come, ad esempio,
con riferimento alle previsioni, di cui agli artt. 84, comma 1, del
d.P.R. n. 361 del 1957, e 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993,
che, nella parte in cui stabiliscono che sono proclamati eletti, nei
limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati
compresi nella lista medesima «secondo l’ordine di presentazione»,
non appaiono incompatibili con l’introduzione del voto di preferenza,
dovendosi ritenere l’ordine di lista operante solo in assenza di
espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle modalita’
di redazione delle schede elettorali di cui all’art. 31 del d.P.R. n.
361 del 1957 ed all’art. 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che,
nello stabilire che nella scheda devono essere riprodotti i
contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nella
circoscrizione, secondo il fac-simile di cui agli allegati, non
escludono che quegli schemi siano integrati da uno spazio per
l’espressione della preferenza; o, quanto alla possibilita’ di
intendere l’espressione della preferenza come preferenza unica, in
linea con quanto risultante dal referendum del 1991, ammesso con
sentenza n. 47 del 1991, in relazione alle formule elettorali
proporzionali. Simili eventuali inconvenienti potranno, d’altro
canto, essere rimossi anche mediante interventi normativi secondari,
meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia e delle
soluzioni interpretative sopra indicate. Resta fermo ovviamente, che
lo stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga, «potra’ correggere,
modificare o integrare la disciplina residua» (sentenza n. 32 del
1993).
7.- E’ evidente, infine, che la decisione che si assume, di
annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la
normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato,
produrra’ i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova
consultazione elettorale, consultazione che si dovra’ effettuare o
secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a
seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa
elettorale eventualmente adottata dalle Camere.
Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere
in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme
annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti
adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il
principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento
di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30
della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in
vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato
con il ricorso alla formula della c.d. "retroattivita’" di dette
sentenze, vale pero’ soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con
conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati
dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).
Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme
elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono,
in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il
processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione
degli eletti.
Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno
prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.
Rileva nella specie il principio fondamentale della continuita’
dello Stato, che non e’ un’astrazione e dunque si realizza in
concreto attraverso la continuita’ in particolare dei suoi organi
costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal
Parlamento. E’ pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – e’ appena
il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza e’ in grado di spiegare
la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere
adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono
organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in
alcun momento cessare di esistere o perdere la capacita’ di
deliberare. Tanto cio’ e’ vero che, proprio al fine di assicurare la
continuita’ dello Stato, e’ la stessa Costituzione a prevedere, ad
esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle
Camere precedenti «finche’ non siano riunite le nuove Camere» (art.
61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte,
sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per
la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art.
77, secondo comma, Cost.).

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 83, comma
1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del
testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera
dei deputati);
2) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 17, commi 2
e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico
delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della
Repubblica);
3) dichiara l’illegittimita’ costituzionale degli artt. 4, comma
2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonche’ dell’art. 14, comma 1,
del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono
all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013.

F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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