Corte Costituzionale sentenza n. 7 SENTENZA 15 – 23 gennaio 2014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SENTENZA

nei giudizi di legittimita’ costituzionale degli artt. 9, commi
1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitivita’ economica), convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, promossi dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio con ordinanze del 10, del 9 e dell’8 maggio 2012,
rispettivamente iscritte ai nn. 184, 185 e 194 del registro ordinanze
2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 37 e
38, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti gli atti di costituzione di Abbonato Rosa ed altri, di
Falvella Lina ed altro, di Liberatore Benedetta Alessia ed altri,
nonche’ gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2013 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi gli avvocati Aristide Police per Abbonato Rosa ed altri e
per Falvella Lina ed altro, Mario Sanino per Liberatore Benedetta
Alessia ed altri e l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con tre
ordinanze di identico tenore (reg. ord. n. 184, n. 185 e n. 194 del
2012), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 42, 53, 97 e
117 della Costituzione questione di legittimita’ costituzionale degli
artt. 9, commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitivita’ economica), convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
1.1.- Il rimettente premette che i giudizi a quibus hanno ad
oggetto la richiesta di annullamento: 1) della delibera
dell’Autorita’ per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 114/11/CONS del
2 marzo 2011, pubblicata il 23 marzo 2011, con la quale sono state
individuate le modalita’ di attuazione delle disposizioni previste
dal d.l. n. 78 del 2010, nonche’ di ogni altro atto presupposto, ivi
compresi: a) il Parere del Dipartimento della Ragioneria Generale
dello Stato in data 11 gennaio 2011, reso su apposita richiesta
dell’Autorita’ Garante per la Concorrenza ed il Mercato prot. n.
0068665 del 17 dicembre 2010 in merito all’applicabilita’ delle
disposizioni di cui al d.l. n. 78 del 2010; b) l’elenco delle
Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato
redatto dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31
dicembre 2009, n. 196; c) i singoli provvedimenti individuali
adottati in esecuzione della predetta delibera n. 114/11/CONS del
2011 nei confronti dei singoli ricorrenti; 2) il nuovo elenco delle
Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato
redatto dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 196
del 2009 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
serie generale, n. 228, del 30 settembre 2011; 3) la delibera
dell’Autorita’ per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 498/11/CONS del
13 settembre 2011, pubblicata in data 11 novembre 2011, con la quale,
in attuazione dell’art. 12, commi 7, 8, 9 e 10 del d.l. n. 78 del
2010 e dell’art. 7 della suddetta delibera n. 114/11/CONS del 2 marzo
2011, e’ stata ridefinita la disciplina del trattamento di fine
rapporto del personale dell’Autorita’.
Il rimettente riferisce che gli atti impugnati sono tutti diretti
a dare attuazione alle norme censurate.
1.2.- Il TAR del Lazio evidenzia, in primo luogo, l’infondatezza
dei motivi di ricorso sollevati dai ricorrenti nei giudizi a quibus
per l’annullamento degli atti impugnati e il cui accoglimento
priverebbe di rilevanza le questioni.
Il TAR del Lazio afferma la sussistenza della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie in materia di
impiego alle dipendenze dell’Autorita’ garante delle comunicazioni
richiamando la pronuncia della Corte di cassazione sezioni unite,
ordinanza 23 giugno 2005, n. 13446, e la successiva evoluzione
legislativa e giurisprudenziale.
Sempre in via preliminare, il TAR ritiene che, ai fini
dell’interesse ad agire dei ricorrenti e della rilevanza delle
questioni di legittimita’ costituzionale, non assuma rilievo
assorbente – a differenza di quanto affermato dai ricorrenti nella
memoria depositata in data 18 febbraio 2012 – la circostanza che la
sezione III-quater del medesimo Tribunale amministrativo regionale
con la sentenza 11 gennaio 2012, n. 226, abbia annullato l’elenco
ISTAT pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 228 del
30 settembre 2011, nella parte in cui inserisce anche l’AGCOM fra le
predette Amministrazioni.
Secondo il rimettente, tale annullamento non sarebbe rilevante
perche’ il legislatore ha operato un rinvio recettizio al
provvedimento dell’ISTAT e da cio’ deriverebbe che il suddetto
annullamento non puo’ dispiegare effetti sul provvedimento legificato
Il TAR, sempre motivando in punto di rilevanza, ritiene infondato
il motivo di ricorso che attiene alla presunta non applicabilita’
all’Autorita’ delle comunicazioni della disciplina del d.l. n. 78 del
2010. Il Collegio ritiene che la prova della volonta’ del legislatore
di includere anche l’AGCOM nel campo di applicazione degli artt. 9,
commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del 2010 si
rinvenga: a) nel fatto che il legislatore quando ha menzionato
espressamente le autorita’ indipendenti (come, per l’appunto,
nell’art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del d.l. n. 78 del 2010) ha
utilizzato la formula «incluse le autorita’ indipendenti», cosi’
limitandosi a specificare un dato – quale l’inclusione di tali enti
nell’elenco ISTAT – chiaramente evincibile da una semplice lettura
del predetto elenco; b) nel fatto che lo stesso legislatore, laddove
ha inteso garantire la specialita’ di determinati soggetti pubblici,
ha introdotto una disciplina speciale in materia di contenimento
della spesa, come ha fatto, ad esempio, con l’art. 3, comma 3, del
medesimo decreto-legge, che riguarda soltanto la Banca d’Italia e non
le altre autorita’ indipendenti.
Infine, a differenza di quanto affermato dai ricorrenti, non
assumerebbe rilievo decisivo il parere del Consiglio di Stato,
commissione speciale, 26 gennaio 2012, n. 385. In tale sede, infatti,
il Consiglio di Stato – chiamato a chiarire l’applicabilita’
dell’art. 6, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 all’AGCOM, sul
presupposto che il sistema di finanziamento dell’Autorita’ e’ quasi
interamente autonomo, essendo affidato al contributo versato dai
soggetti regolati, mentre solo una minima ed irrilevante parte delle
entrate e’ a carico del bilancio dello Stato – dopo aver ribadito «il
principio di corrispondenza tra gli oneri imposti agli operatori e i
costi amministrativi sostenuti per l’esercizio dei compiti svolti
dall’Autorita’», ha affermato che le somme ricavate da economie di
gestione dall’Autorita’ possono essere destinate al bilancio statale
solo relativamente alla parte imputabile ai contributi ricevuti dallo
Stato, ossia nella misura corrispondente al valore percentuale di
tali contributi sul complesso delle entrate finanziarie
dell’Autorita’. Secondo il rimettente, il parere citato confermerebbe
ulteriormente l’applicabilita’ delle norme di cui al d.l. n. 78 del
2010 all’AGCOM.
1.3.- Dopo aver evidenziato, ai fini della rilevanza,
l’infondatezza dei motivi di ricorso proposti nell’ambito dei giudizi
a quibus, il TAR motiva in ordine alla non manifesta infondatezza
delle singole questioni di costituzionalita’.
La prima, sollevata dal rimettente d’ufficio, e’ relativa
all’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui
introduce un contributo di solidarieta’ per i dipendenti pubblici
pari alla decurtazione del 5% dei trattamenti economici complessivi
superiori a € 90.000 e del 10% per i trattamenti economici
complessivi superiori a € 150.000. Secondo il rimettente la norma
violerebbe gli artt. 3 e 53, Cost., poiche’, colpendo la sola
categoria dei dipendenti pubblici, si porrebbe in contrasto con il
principio di universalita’ dell’imposizione a parita’ di reddito,
creando un effetto discriminatorio, reso evidente dalla diversa
disciplina riservata al contributo di solidarieta’, oltre i 300.000
euro di reddito, previsto per gli altri cittadini, il quale, sebbene
giustificato dalla medesima ratio, prevedrebbe una soglia superiore,
un’aliquota inferiore e la deducibilita’ dal reddito complessivo.
In via subordinata, il rimettente solleva questione di
costituzionalita’ anche con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. in
quanto, rideterminando «in senso ablativo un trattamento economico
gia’ acquisito alla sfera del pubblico dipendente sub specie di
diritto soggettivo», inciderebbe in pejus sullo status economico dei
lavoratori, alterando quel sinallagma che e’ il fondamento dei
rapporti di durata ed, in particolare, proprio dei rapporti di
lavoro, trasmodando in un regolamento irrazionale con riguardo a
situazioni fondate su leggi precedenti e cosi’ frustrando il
principio del legittimo affidamento, da intendersi quale elemento
costitutivo dello Stato di diritto.
Il TAR del Lazio ritiene violato anche l’art. 42 Cost. perche’,
una volta che fosse esclusa la natura tributaria del prelievo
dovrebbe necessariamente riconoscersi la sua natura sostanzialmente
espropriativa, dal momento che verrebbe a costituire una vera e
propria ablazione di redditi formanti oggetto di diritti quesiti,
senza alcuna indennita’, attraverso una norma-provvedimento priva
della fase del procedimento e senza neanche la partecipazione degli
interessati, cui e’ negato il diritto di interloquire sulla
legittimita’ ed opportunita’ delle scelte cui sono chiamati a
contribuire con il loro sacrificio.
Inoltre il rimettente evoca la violazione dell’art. 97, Cost.,
perche’ sarebbe completamente svuotata la capacita’ autorganizzativa
delle pubbliche amministrazioni, che dovrebbe normalmente potersi
esprimere anche in riferimento allo stato economico del personale.
1.4.- Il rimettente ritiene di dover sollevare, d’ufficio – con
riferimento agli articoli 2, 3, 42, 53 e 97 Cost. – anche la
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 12, comma 7, del
d.l. n. 78 del 2010, secondo il quale: a «titolo di concorso al
consolidamento dei conti pubblici attraverso il contenimento della
dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza
pubblica previsti dall’Aggiornamento del programma di stabilita’ e
crescita, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento,
con riferimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche come
individuate dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ai sensi
del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 il
riconoscimento dell’indennita’ di buonuscita, dell’indennita’ premio
di servizio, del trattamento di fine rapporto e di ogni altra
indennita’ equipollente corrisposta una tantum comunque denominata
spettante a seguito di cessazione a vario titolo dall’impiego e’
effettuato: a) in un unico importo annuale se l’ammontare complessivo
della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, e’
complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro; b) in due importi
annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle
relative trattenute fiscali, e’ complessivamente superiore a 90.000
euro ma inferiore a 150.000 euro. In tal caso il primo importo
annuale e’ pari a 90.000 curo e il secondo importo annuale e’ pari
all’ammontare residuo; c) in tre importi annuali se l’ammontare
complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute
fiscali, e’ complessivamente uguale o superiore a 150.000 euro, in
tal caso il primo importo annuale e’ pari a 90.000 curo, il secondo
importo annuale e’ pari a 60.000 euro e il terzo importo annuale e’
pari all’ammontare residuo».
Il rimettente, nel motivare la non manifesta infondatezza della
questione, fa riferimento ad altra questione di costituzionalita’
dell’art. 12, comma 7, del predetto decreto-legge sollevata dal TAR
Calabria (ordinanza n. 89 del 1° febbraio 2012). In tale ordinanza si
evidenzia che la disposizione in esame comporta lo scaglionamento –
in favore del solo datore di lavoro pubblico – dell’onere di
corresponsione delle indennita’, comunque denominate, di fine
rapporto con differenti modalita’ a seconda dell’ammontare
complessivo delle prestazioni. Cio’ comporta una diminuzione
patrimoniale certa, che si identifica nella mancata corresponsione di
interessi per la dilazione del pagamento. La misura determinerebbe
anche una piu’ profonda compromissione del rapporto sinallagmatico
tra datore di lavoro e dipendente pubblico, giacche’ le somme di cui
trattasi hanno pacificamente natura retributiva, sia pure differita,
e si tratterebbe di una misura strutturale, non limitata – nella sua
vigenza – ad un periodo di tempo predefinito.
Inoltre, il TAR osserva che «il mero differimento della
retribuzione non risponde ad alcuna logica di riduzione di spesa, ne’
puo’ essere apprezzato in sede comunitaria, atteso che non si tratta
di una misura strutturale ma di un mero rinvio della spesa, di
talche’ la razionalita’ del "prelievo" mascherato cede innanzi alle
esigenze di trasparenza dello Stato con il cittadino, oltre che di
lealta’ dello Stato-datore di lavoro con il dipendente che esige la
giusta remunerazione di una vita di lavoro; analogo rilievo vale per
la nuova e diversa incisione del computo dei trattamenti di fine
servizio».
In tal modo, verrebbe leso – senza che lo richieda il
soddisfacimento di altri e piu’ pregnanti principi costituzionali,
nell’ottica di un ragionevole bilanciamento – il principio di
affidamento del pubblico dipendente nell’ordinario sviluppo economico
della carriera, comprensivo del trattamento collegato alla cessazione
del rapporto di impiego.
Si lamenta anche la discriminazione che subirebbero in peius i
pubblici dipendenti rispetto a tutti gli altri lavoratori, con palese
violazione dell’art. 3 Cost., posto che il datore di lavoro privato
non e’ legittimato ad effettuare alcuna rateizzazione del trattamento
di fine rapporto.
Sarebbe palese anche «la violazione dell’art. 36 Cost., tenuto
conto che il trattamento di fine rapporto, e gli istituti
equivalenti, altro non sono se non una retribuzione differita, i cui
importi devono pertanto essere restituiti al lavoratore al momento
della cessazione del rapporto.
Infine, anche in questo caso verrebbe completamente svuotata la
capacita’ autorganizzativa delle pubbliche amministrazioni, che
dovrebbero normalmente potersi esprimere pur in riferimento allo
stato economico del personale, secondo i generali principi espressi
dall’art. 97 Cost.
1.5.- Il Tribunale rimettente considera rilevante e non
manifestamente infondata anche la questione di legittimita’
costituzionale sollevata con il secondo motivo del ricorso
introduttivo, ove viene denunciata l’incostituzionalita’ degli artt.
9, commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del 2010, per
violazione degli artt. 3, 97 e 117, primo comma, Cost., sul
presupposto della ritenuta inapplicabilita’ all’AGCOM dello speciale
regime previsto per la Banca d’Italia dall’art. 3, comma 3, del d.l.
n. 78 del 2010.
In punto di rilevanza di quest’ultima questione, il Collegio
osserva che la tesi secondo la quale l’art. 3, comma 3, del d.l. n.
78 del 2010 sarebbe implicitamente applicabile anche all’AGCOM,
sostenuta dai ricorrenti, sulla scorta del combinato disposto
dell’art. 2, comma 28, della legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme
per la concorrenza e per la regolazione dei servizi di pubblica
utilita’. Istituzione delle Autorita’ di regolazione dei servizi di
pubblica utilita’), e dell’art. 11, comma 2, della legge 10 ottobre
1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato),
non puo’ essere condivisa perche’, a fronte della gia’ evidenziata
inclusione delle autorita’ indipendenti (ivi compresa 1’AGCOM)
nell’elenco ISTAT, la disposizione dell’art. 3, comma 3, del d.l. n.
78 del 2010 si presenta come una norma eccezionale e, come tale, non
suscettibile di essere applicata in ambiti diversi da quelli
espressamente indicati dal legislatore.
In punto di non manifesta infondatezza, in aggiunta alle
considerazioni svolte dai ricorrenti nel primo motivo sulla autonomia
ed indipendenza organizzativa e finanziaria (considerazioni che il
rimettente richiama integralmente), il Collegio ritiene sufficiente
evidenziare che la mancata applicazione all’AGCOM del regime speciale
previsto dall’art. 3, comma 3, del d.l. n. 78 del 2010 per la Banca
d’Italia, oltre a comportare un’ingiustificata disparita’ di
trattamento tra enti appartenenti alla medesima categoria (quella
delle autorita’ indipendenti), finisce per pregiudicare gravemente
l’autonomia e l’indipendenza organizzativa e finanziaria riconosciuta
all’AGCOM dall’ordinamento comunitario e da quello nazionale, in
contrasto con gli articoli 3, 97 e 117, primo comma, Cost.
2.- Si e’ costituito nei giudizi il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
L’Avvocatura dello Stato premette che le disposizioni censurate
si inseriscono nell’ambito dell’articolata ed organica manovra di
contenimento delle spese nel settore del pubblico impiego effettuata
nell’anno 2010. Tale manovra economica e’ stata determinata
dall’eccezionalita’ della situazione economica internazionale e
dall’esigenza prioritaria del raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica concordati in sede europea. In tale contesto, uno
dei settori di intervento per il contenimento della spesa, e’ stato,
necessariamente, quello dell’impiego pubblico.
In tal modo si e’ fornita una risposta anticipata a quanto e’
stato espressamente richiesto, successivamente, con lettera della
Banca centrale europea (BCE).
Il legislatore ha ritenuto che anche il personale dell’AGCOM
dovesse concorrere al conseguimento degli obiettivi di finanza
pubblica, in termini non dissimili da quanto avvenuto per tutti i
pubblici dipendenti con l’art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992,
n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita’ e di
pubblico impiego, nonche’ disposizioni fiscali), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438.
L’Avvocatura dello Stato ricorda che le questioni di legittimita’
costituzionale sollevate con riferimento a quest’ultima disposizione
legislativa sono state dichiarate manifestamente infondate (ordinanza
n. 299 del 1999). Peraltro, quando s’impone l’esigenza di effettuare
manovre correttive di finanza pubblica incisive e si deve intervenire
con misure che attengono direttamente al rapporto di impiego, anche
il personale dell’AGCOM e’ tenuto a contribuirvi. Sarebbe non
ragionevole chiedere sacrifici ai dipendenti di tutti i settori della
pubblica amministrazione (sia in regime privatistico che
pubblicistico) esentandone alcuni.
Secondo la difesa dello Stato, l’intervento legislativo non
avrebbe natura tributaria, perche’ altrimenti avrebbe dovuto
riguardare tutti i cittadini, si tratterebbe invece di un intervento
adottato al fine di ridurre la spesa di quel determinato settore (la
pubblica amministrazione) che e’ stato individuato anche in sede
europea quale elemento distorsivo in eccesso del debito pubblico. In
materia fiscale, d’altronde, il legislatore non si e’ mai fatto
carico di salvaguardare gli effetti previdenziali dell’emolumento
oggetto di imposizione, come, invece, e’ previsto dalla norma oggetto
di censura, nella quale si e’ precisato che «tale riduzione non opera
ai fini previdenziali». Pertanto, dovrebbe ritenersi infondata la
prospettata violazione dell’art. 53 Cost.
L’intervento normativo in questione dunque sarebbe, secondo
l’Avvocatura, ragionevole e sostanzialmente equo, e non violerebbe
ne’ l’art. 2 ne’ l’art. 3 Cost. Esso non violerebbe nemmeno l’artt.
97 Cost., pure richiamato dal giudice rimettente, perche’ il predetto
«precetto costituzionale non puo’ essere invocato al fine di
giustificare la pretesa al conseguimento di miglioramenti economici»
(Corte costituzionale, ordinanza n. 290 del 2006).
Non sembrerebbe fondata neanche la questione relativa alla
violazione dell’art. 36 Cost., giacche’, per valutare se una
riduzione del trattamento economico incida sul principio
dell’adeguatezza del trattamento economico, bisogna avere riguardo al
trattamento economico complessivo del dipendente e non alle singole
componenti di esso: e la misura della riduzione prevista, nel caso di
specie, non puo’ dirsi che comprometta l’adeguatezza della
retribuzione (sentenza n. 287 del 2006).
Secondo la difesa dello Stato, le considerazioni svolte in
relazione alla prima questione sono riferibili anche alle censure
formulate, per ragioni sostanzialmente analoghe, nei riguardi
dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, che ha previsto uno
scaglionamento del pagamento della indennita’ di buonuscita e delle
indennita’ analoghe spettanti ai dipendenti pubblici per importi
superiori ad euro 90.000,00.
In particolare, si osserva che non sussiste la violazione
dell’art. 36 Cost., perche’ le indennita’ dovute non sono negate o
decurtate, ma solo in parte differite. Non sussiste violazione dei
principi di solidarieta’, di uguaglianza, di legalita’ e di buona
amministrazione, perche’ la misura adottata si applica in egual modo
per tutti i dipendenti pubblici e risponde ad esigenze di
solidarieta’ sociale, essendo finalizzata a fronteggiare la grave
situazione di crisi della finanza pubblica insorta nella recente fase
di integrazione europea. Ne’ puo’ dirsi che sussista disparita’ di
trattamento tra dipendenti pubblici e privati, che sono soggetti a
diverso trattamento giuridico ed economico.
Neppure sarebbero fondate le censure di illegittimita’
costituzionale formulate dai ricorrenti e recepite dal TAR, secondo
cui l’art. 9, commi l, 2 e 21, e l’art. 12, commi 7 e 10, del d.l. in
esame, sarebbero illegittimi per violazione degli artt. 3, 97 e 117
Cost., in quanto determinerebbero una disparita’ di trattamento dei
dipendenti dell’AGCOM rispetto a quelli della Banca d’Italia.
Sebbene si possa riconoscere che la Banca d’Italia e l’AGCOM
costituiscano autorita’ indipendenti e godano, pertanto, di una
speciale autonomia organizzativa e funzionale, occorre tuttavia
evidenziare che la Banca d’Italia presenta caratteri del tutto
peculiari, che la differenziano da ogni altra autorita’. Ne consegue
che, con riferimento alla Banca d’Italia, non e’ possibile
configurare una identita’ di situazioni che costituisca presupposto
dell’eccepita violazione del principio di uguaglianza.
Invero, osserva l’Avvocatura dello Stato, mentre le autorita’
indipendenti di regolazione sono enti nazionali, preposti a dare
concreta attuazione alle direttive europee nei mercati di
riferimento, le banche centrali – come la Banca d’Italia –
costituiscono ormai organi del Sistema europeo di banche centrali
(SEBC) previsto dagli artt. 127 e seguenti del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea. Esse, pertanto, non possono essere
considerate come autorita’ indipendenti nazionali, bensi’ come enti
federati di un ente federale europeo. Per queste ragioni, si e’ reso
necessario adottare una normativa di carattere speciale per i
dipendenti della Banca d’Italia, sottoposta al parere obbligatorio
della Banca centrale europea ai sensi della decisione del Consiglio
98/15/CE del 29 giugno 1998, allo scopo di salvaguardare la
particolare autonomia delle istituzioni comunitarie. Dunque, la
previsione di un regime specifico per la Banca d’Italia concerne la
sua veste di Banca centrale nazionale, che e’ propria solo della
Banca d’Italia e non certamente dell’AGCOM.
Neppure sussisterebbe violazione degli artt. 97 e 117 Cost.
Invero, l’indipendenza delle autorita’ di regolazione – qual e’
l’AGCOM – non implica che esse siano dotate di un’assoluta autonomia
patrimoniale e finanziaria e di una totale autarchia nel governo del
personale. Viceversa, esse costituiscono parte della pubblica
amministrazione e sono soggette al principio di legalita’ stabilito
dall’art. 97 Cost., con la conseguenza che giustamente il trattamento
economico e retributivo del proprio personale viene regolato per
legge, cosi’ come avviene per tutte le altre categorie del pubblico
impiego, e non e’ invece riservato agli autonomi poteri delle singole
autorita’.
3.- Con riferimento alle ordinanze di rimessione n. 184 e n. 185
del 2012 si sono costituiti nel giudizio costituzionale i ricorrenti
nei giudizi a quibus riservandosi di illustrare in un secondo momento
le proprie difese.
4.- Con riferimento all’ordinanza di rimessione n. 194 del 2012
si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo chiedendo che la
Corte, in accoglimento delle questioni sollevate dal TAR del Lazio,
dichiari l’illegittimita’ costituzionale degli artt. 9, commi 1, 2 e
21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del 2010.
In particolare, le parti private compiono una ricostruzione
completa del quadro normativo nazionale e comunitario in materia di
autorita’ indipendenti al fine di evidenziare che tali autorita’
devono godere di piena autonomia, anche con riferimento al potere di
autoregolamentarsi in relazione al personale dipendente.
Quanto alle singole censure, vengono sviluppate argomentazioni
analoghe a quelle dell’ordinanza di rimessione.
5.- Con memorie depositate in prossimita’ dell’udienza tutti i
ricorrenti nei giudizi a quibus ribadiscono le proprie richieste,
insistendo nell’accoglimento delle questioni e, in particolare,
sostenendo l’equiparabilita’ della disciplina delle autorita’
indipendenti a quella prevista per la Banca d’Italia a tutela
dell’autonomia e dell’indipendenza.
6.- Con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza,
l’Avvocatura dello Stato insiste nella proprie richieste. In
particolare, l’Avvocatura sottolinea che, successivamente alla
proposizione dell’ordinanza, e’ intervenuta la sentenza n. 223 del
2012 con la quale e’ stata dichiarata l’illegittimita’ costituzionale
degli artt. 9, comma 2, e 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010.
Pertanto, in relazione a tali norme, le questioni di
costituzionalita’ sono divenute inammissibili per mancanza di
oggetto.
Con riferimento alla questione relativa all’art. 12, comma 7, del
d.l. n. 78 del 2010, l’Avvocatura dello Stato eccepisce
l’inammissibilita’ della questione in conformita’ con quanto deciso
da questa Corte nella citata sentenza n. 223 del 2012. Nel merito
tale questione sarebbe comunque infondata per le ragioni gia’ esposte
nell’atto di costituzione.
Infine, con riferimento alla questione relativa agli artt. 9,
commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella
parte in cui non estendono anche ai dipendenti dell’AGCOM la
disciplina prevista per la Banca d’Italia per l’adeguamento ai
principi contenuti nel medesimo decreto-legge, l’Avvocatura dello
Stato eccepisce l’inammissibilita’ delle censure relative alla
violazione degli artt. 97 e 117, primo comma, Cost. per difetto di
motivazione.
L’ordinanza di rimessione omette, infatti, di esplicitare i
motivi per i quali, a suo avviso, sarebbe violato il principio di
buon andamento della pubblica amministrazione, ed omette altresi’ di
indicare le norme comunitarie che costituirebbero parametro di
riferimento interposto e che sarebbero state violate nel caso di
specie.
Quanto alla violazione dell’art. 3 per disparita’ di trattamento
con la Banca d’Italia, l’Avvocatura ribadisce i motivi di
infondatezza gia’ evidenziati nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.- Con tre ordinanze di identico tenore (reg. ord. n. 184, n.
185 e n. 194 del 2012) il Tribunale amministrativo regionale del
Lazio ha sollevato questione di legittimita’ costituzionale degli
artt. 9, commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitivita’ economica), convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione
degli artt. 2, 3, 36, 42, 53, 97 e 117 della Costituzione.
1.1.- In considerazione dell’identita’ delle questioni, deve
essere disposta la riunione dei giudizi, al fine di definirli con
un’unica pronuncia.
Va, preliminarmente, affermato che e’ da condividere
l’argomentazione con cui il TAR ritiene di respingere la tesi, che
priverebbe di rilevanza la questione di costituzionalita’, con cui i
ricorrenti nel giudizio principale sostengono che sussisterebbe un
limite non superabile delle somme da destinare al bilancio dello
Stato, rappresentato dai soli importi corrispondenti ai contributi da
quest’ultimo direttamente versati all’AGCOM. Lo Stato non potrebbe,
con un atto di normazione primaria avente ad oggetto le retribuzioni
di coloro che vi lavorano, eccedere rispetto a tale importo, che, per
gli esercizi finanziari rientranti nel periodo di vigenza delle
misure in oggetto, sarebbe di entita’ irrilevante e non potrebbe,
quindi, estendere il prelievo alla parte relativa ai contributi
versati dai soggetti regolati, anche se tale contribuzione deriva da
scelte di finanziamento coattivo operate dalla legislazione statale.
Poiche’ a fondamento di tale tesi viene invocato un parere emesso
nell’Adunanza della commissione speciale del Consiglio di Stato (n.
385 del 26 gennaio 2012), deve rilevarsi che, anche prescindendo
dalla condivisibilita’ delle conclusioni cui perviene, esso
riguardava un aspetto diverso, vale a dire la destinazione al
bilancio dello Stato delle somme provenienti dalle riduzioni di spesa
conseguenti all’applicazione dell’art. 6, comma 21, del d.l. n. 78
del 2010, e che, quindi, esso si riferiva ad una fase successiva che
presupponeva proprio l’applicazione della normativa contestata.
1.2.- La prima questione posta dal rimettente riguarda l’art. 9,
comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 nella parte in cui dispone che «a
decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i
trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di
qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell’art. 1,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000 euro lordi
annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto
importo fino a 150.000 euro, nonche’ del 10 per cento per la parte
eccedente 150.000 euro».
La citata disposizione violerebbe gli artt. 3 e 53 Cost.,
poiche’, colpendo la sola categoria dei dipendenti pubblici, si
porrebbe in contrasto con il principio di universalita’
dell’imposizione a parita’ di reddito, creando un effetto
discriminatorio, reso evidente dalla diversa disciplina relativa al
contributo di solidarieta’ previsto per gli altri cittadini, che fa
riferimento ai redditi oltre i 300.000 euro, il quale, sebbene
giustificato dalla medesima ratio, prevederebbe una soglia superiore,
un’aliquota inferiore e la deducibilita’ dal reddito complessivo.
Inoltre, in via subordinata, il Tribunale rimettente ritiene
violati gli artt. 2 e 3 Cost. in quanto la norma rideterminerebbe,
«in senso ablativo, un trattamento economico gia’ acquisito alla
sfera del pubblico dipendente sub specie di diritto soggettivo» e, in
tal modo, verrebbe ad incidere in pejus sullo status economico dei
lavoratori, alterando quel sinallagma che e’ il proprium dei rapporti
di durata ed, in particolare, caratteristica non eliminabile dei
rapporti di lavoro, trasmodando in un regolamento irrazionale con
riguardo a situazioni fondate su leggi precedenti e cosi’ frustrando
il principio del legittimo affidamento, da intendersi quale elemento
fondamentale dello Stato di diritto.
Infine, il TAR del Lazio ritiene che, qualora si escludesse la
natura tributaria dell’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, in
questo caso la norma si porrebbe in contrasto in primo luogo con
l’art. 42 Cost., avendo natura sostanzialmente espropriativa, dal
momento che determinerebbe una vera e propria ablazione di redditi
formanti oggetto di diritti quesiti, senza alcuna indennita’, e, in
secondo luogo, con l’art. 97, Cost., perche’ verrebbe ad essere
completamente svuotata la capacita’ autorganizzativa delle pubbliche
amministrazioni, che dovrebbe normalmente potersi esprimere anche in
riferimento allo stato economico del personale.
1.3.- La seconda questione di costituzionalita’ riguarda l’art.
12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone lo
scaglionamento della corresponsione del trattamento di fine rapporto
fino a tre importi annuali, a seconda dell’ammontare complessivo
della prestazione.
Secondo il rimettente, la citata disposizione violerebbe gli
artt. 3 e 36 Cost., in quanto sarebbe irragionevole imporre ai soli
dipendenti pubblici lo scaglionamento dell’indennita’ di buonuscita
e, una tale previsione costituirebbe anche una violazione del
principio di adeguatezza della retribuzione, caratterizzandosi la
buonuscita come «retribuzione differita».
Il TAR del Lazio ritiene sussistere anche la violazione dell’art.
97 Cost. perche’ risulta svuotata la capacita’ auto organizzativa
della pubblica amministrazione, che dovrebbe normalmente potersi
esprimere anche in riferimento allo stato economico del personale.
1.4.- La terza e ultima questione ha ad oggetto gli artt. 9,
commi 1, 2 e 21, e 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella
parte in cui non estendono anche ai dipendenti dell’AGCOM la
disciplina prevista dall’art. 3, comma 3, del medesimo decreto-legge
per la Banca d’Italia.
Secondo il Tribunale rimettente, la mancata applicazione
all’AGCOM del regime speciale previsto per la Banca d’Italia
violerebbe gli articoli 3, 97 e 117, primo comma, Cost. in quanto,
oltre a comportare una ingiustificata disparita’ di trattamento tra
enti appartenenti alla medesima categoria delle autorita’
indipendenti, pregiudicherebbe gravemente l’autonomia e
l’indipendenza organizzativa e finanziaria riconosciuta all’AGCOM
dall’ordinamento comunitario e da quello nazionale.
2.- Le questioni relative agli artt. 9, comma 2, e 12, comma 10,
del d.l. n. 78 del 2010 sono inammissibili.
Questa Corte, con sentenza n. 223 del 2012, successiva alla
proposizione delle ordinanze in esame, ha ritenuto costituzionalmente
illegittimo l’art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, in
quanto, integrando una decurtazione patrimoniale con i caratteri del
tributo, si pone in evidente contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost.
In tale occasione si e’ anche affermato che l’introduzione di una
imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione
soltanto ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione viola il principio della parita’ di prelievo
a parita’ di presupposto d’imposta economicamente rilevante. Tale
violazione si manifesta sotto due diversi profili: da un lato, a
parita’ di reddito lavorativo, il prelievo e’ ingiustificatamente
limitato ai soli dipendenti pubblici; d’altro lato, il legislatore,
pur avendo richiesto (con l’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) il
contributo di solidarieta’ (di indubbia natura tributaria) del 3% sui
redditi annui superiori a 300.000,00 euro, al fine di reperire
risorse per la stabilizzazione finanziaria, ha inopinatamente scelto
di imporre ai soli dipendenti pubblici, per la medesima finalita’,
l’ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura.
L’irragionevolezza non risiede nell’entita’ del prelievo
denunciato, ma nella ingiustificata limitazione della platea dei
soggetti passivi. La sostanziale identita’ di ratio dei differenti
interventi "di solidarieta’", poi, prelude essa stessa ad un giudizio
di irragionevolezza ed arbitrarieta’ del diverso trattamento
riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di un risultato di
bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu’ favorevole per
lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di
eguaglianza dei cittadini e di solidarieta’ economica, anche
modulando diversamente un "universale" intervento impositivo.
Con la medesima sentenza n. 223 del 2012 e’ stata dichiarata
l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 12, comma 10, del d.l. n.
78 del 2010 con la seguente motivazione «a fronte dell’estensione del
regime di cui all’art. 2120 del codice civile (ai fini del computo
dei trattamenti di fine rapporto) sulle anzianita’ contributive
maturate a fare tempo dal 1º gennaio 2011, determina
irragionevolmente l’applicazione dell’aliquota del 6,91% sull’intera
retribuzione, senza escludere nel contempo la vigenza della
trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base
contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa
sull’accantonamento per l’indennita’ di buonuscita, in combinato con
l’art. 37 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032.
Nel consentire allo Stato una riduzione dell’accantonamento,
irragionevole perche’ non collegata con la qualita’ e quantita’ del
lavoro prestato e perche’ – a parita’ di retribuzione – determina un
ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto
a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di
lavoro, la disposizione impugnata viola per cio’ stesso gli articoli
3 e 36 della Costituzione».
Da quanto detto consegue che le questioni di legittimita’
costituzionale degli artt. 9, comma 2, e 12, comma 10, del d.l. n. 78
del 2010, dopo la sentenza n. 223 del 2012, sono divenute prive di
oggetto e vanno, quindi, dichiarate inammissibili in relazione ai
profili prospettati con le ordinanze di rimessione.
3.- Le questioni relative all’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78
del 2010 sono pur esse, anche se per diverso motivo, inammissibili.
Deve nuovamente richiamarsi la sentenza n. 223 del 2012 con la
quale le medesime questioni di costituzionalita’ sono state
dichiarate inammissibili perche’ non risulta «individuato alcun
immediato pregiudizio subito dai dipendenti in servizio, diverso
dalla rateizzazione, che essi subiranno nel momento del collocamento
a riposo per raggiunti limiti di eta’, il giorno successivo a quello
del compimento del settantesimo anno di eta’ o a quello fissato nel
provvedimento di trattenimento in servizio, ovvero per anzianita’ di
servizio, ovvero per dimissioni» (sentenza n. 223 del 2012).
Anche nel caso in esame deve evidenziarsi che in nessuna delle
ordinanze il Tribunale rimettente riferisce di essere investito di
una domanda da parte di un dipendente in quiescenza che, per
qualunque causa, in epoca successiva al 30 novembre 2010, abbia
subito gli effetti della norma. L’assenza di un pregiudizio e di un
interesse attuale a ricorrere rende evidente che il rimettente non
deve fare applicazione della norma impugnata.
4.- Anche la questione relativa all’art. 9, commi 1 e 21, del
d.l. n. 78 del 2010 sollevata con riferimento ai parametri di cui
agli artt. 97 e 117, primo comma, Cost. e’ inammissibile.
L’ordinanza di rimessione, infatti, e’ del tutto carente sulle
ragioni della non manifesta infondatezza della violazione dei
suddetti parametri costituzionali. Sul punto la motivazione si e’
limitata ad un mero richiamo alle argomentazioni dei ricorrenti,
senza riprodurle.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nei
giudizi incidentali di costituzionalita’ delle leggi non e’ ammessa
la cosiddetta motivazione per relationem. Il rimettente deve rendere
espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta
infondatezza e non puo’ limitarsi ad un mero richiamo di quelli
evidenziati dalle parti nel corso del giudizio (ex plurimis, sentenze
n. 234 del 2011 e n. 143 del 2010, ordinanze n. 175 del 2013, n. 239
e n. 65 del 2012).
Inoltre, poiche’ tali argomenti, prospettati dalle parti private,
riguardano i motivi dell’invocata illegittimita’ amministrativa dei
provvedimenti impugnati, gli stessi non possono essere utilizzati,
con un mero richiamo, per sostenere la violazione dei parametri di
costituzionalita’ che si pretendono violati.
5.- La questione relativa all’art. 9, commi 1 e 21, del d.l. n.
78 del 2010, per violazione dell’art. 3 Cost. non e’ fondata.
Il TAR del Lazio ritiene che l’art. 9, commi 1 e 21, del d.l. n.
78 del 2010, nella parte in cui non estendono anche ai dipendenti
dell’AGCOM la disciplina prevista dall’art. 3, comma 3, del medesimo
decreto-legge per la Banca d’Italia, determinino un’ingiustificata
disparita’ di trattamento, trattandosi in entrambi i casi di
autorita’ amministrative indipendenti, e sussistendo le medesime
esigenze di salvaguardia dell’autonomia delle stesse.
5.1.- L’art. 3, comma 3, ora richiamato dispone che «La Banca
d’Italia tiene conto, nell’ambito del proprio ordinamento, dei
principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013
contenuti nel presente titolo. A tal fine, qualora non si raggiunga
un accordo con le organizzazioni sindacali sulle materie oggetto di
contrattazione in tempo utile per dare attuazione ai suddetti
principi, la Banca d’Italia provvede sulle materie oggetto del
mancato accordo, fino alla successiva eventuale sottoscrizione
dell’accordo».
La scelta del legislatore di prevedere un meccanismo di
adeguamento della Banca d’Italia alla normativa introdotta dal d.l.
n. 78 del 2010 corrisponde all’esigenza, imposta dai Trattati
relativi alle modalita’ di funzionamento dell’Unione europea, di
consultare preventivamente la Banca centrale europea per ogni
modifica che riguardi una banca centrale nazionale.
La Banca d’Italia, infatti, e’ parte integrante del Sistema
europeo di banche centrali (SEBC). L’art. 130 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione prevede che: «Nell’esercizio dei poteri e
nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai
trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, ne’ la Banca centrale
europea ne’ una banca centrale nazionale ne’ un membro dei rispettivi
organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle
istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi
degli Stati membri ne’ da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni,
gli organi e gli organismi dell’Unione nonche’ i governi degli Stati
membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di
influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale
europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro
compiti», principio ribadito ed esplicitato anche dall’art. 7 dello
statuto del SEBC e della BCE.
Inoltre, ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, terzo alinea, della
decisione del Consiglio 98/15/CE del 29 giugno 1998 «Le autorita’
degli Stati membri consultano la BCE su ogni progetto di disposizioni
legislative che rientri nelle sue competenze ai sensi del trattato e,
in particolare, per quanto riguarda […] le banche centrali
nazionali».
Deve riconoscersi che la normativa comunitaria tende ad un
rafforzamento dell’indipendenza anche delle autorita’ nazionali di
regolazione. A tal fine, tuttavia, si ritiene sufficiente che sia
garantito mediante una previsione esplicita che l’autorita’ nazionale
responsabile della regolazione ex ante del mercato o della
risoluzione di controversie tra imprese sia al riparo, nell’esercizio
delle sue funzioni, da qualsiasi intervento esterno o pressione
politica che possa compromettere la sua imparzialita’ di giudizio
nelle questioni che e’ chiamata a dirimere.
In particolare, per il settore in esame, la direttiva 2002/21/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, che
istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di
comunicazione elettronica (cosiddetta direttiva quadro), prevede
all’undicesimo "considerando" che: «In conformita’ al principio della
separazione delle funzioni di regolamentazione dalle funzioni
operative, gli Stati membri sono tenuti a garantire l’indipendenza
delle autorita’ nazionali di regolamentazione in modo da assicurare
l’imparzialita’ delle loro decisioni. Il requisito dell’indipendenza
lascia impregiudicata l’autonomia istituzionale e gli obblighi
costituzionali degli Stati membri, come pure il principio della
neutralita’ rispetto alla normativa sul regime di proprieta’
esistente negli Stati membri sancito nell’articolo 295 del trattato.
Le autorita’ nazionali di regolamentazione dovrebbero essere dotate
di tutte le risorse necessarie, sul piano del personale, delle
competenze e dei mezzi finanziari, per l’assolvimento dei compiti
loro assegnati». Si richiede, inoltre, in base al tredicesimo
considerando della direttiva n. 2009/140/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 25 novembre 2009, che siano stabilite
preventivamente le norme riguardanti i motivi di licenziamento del
responsabile dell’Autorita’ nazionale di regolazione in modo da
dissipare ogni dubbio circa la neutralita’ di tale ente e la sua
impermeabilita’ ai fattori esterni e che le autorita’ dispongano di
un bilancio proprio che permetta loro di assumere sufficiente
personale qualificato.
Dall’esame della disciplina europea risulta evidente la
differenza che esiste tra le banche centrali nazionali e le autorita’
di regolazione dei mercati ex ante e di risoluzione delle
controversie tra imprese.
Pertanto, pur godendo tanto la Banca d’Italia che l’AGCOM di una
speciale autonomia organizzativa e funzionale a tutela della loro
indipendenza, occorre tuttavia affermare che la Banca d’Italia
presenta caratteri del tutto peculiari che la differenziano da ogni
altra autorita’ amministrativa indipendente.
In conclusione, il diverso trattamento riservato dall’art. 3,
comma 3, del d.l. n. 78 del 2010 alla Banca d’Italia rispetto
all’AGCOM e’ giustificato dall’esigenza imposta dalla disciplina
dell’Unione di previa consultazione della Banca centrale europea da
parte delle autorita’ nazionali sui progetti di disposizioni
legislative concernenti, tra l’altro, le banche centrali nazionali.
Poiche’ analoga esigenza non viene in rilievo con riferimento alle
altre autorita’ amministrative indipendenti, la disciplina riservata
alla Banca d’Italia non puo’ costituire, sotto questo profilo, un
utile tertium comparationis per una pretesa disparita’ di trattamento
e la prospettata questione di legittimita’ costituzionale e’ priva di
fondamento in riferimento all’art. 3 Cost.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale degli artt. 9, comma 2, e 12, commi 7 e 10, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,
sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 42, 53, 97 e 117,
primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 21, del d.l. n. 78 del 2010,
sollevate, in riferimento agli artt. 97 e 117, primo comma, Cost.,
dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze
indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 21, del d.l. n. 78 del 2010,
sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze indicate in
epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2014.

F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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