Corte Costituzionale sentenza n. 11 SENTENZA 15 – 27 gennaio 2014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli artt. 1, 2, 3,
17, 35 e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69
(Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012), promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il
5-8 febbraio 2013, depositato in cancelleria il 12 febbraio 2013 ed
iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2013 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l’avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione
Toscana.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso spedito per la notifica il 5 febbraio 2013 e
ricevuto l’8 febbraio 2013, iscritto al n. 19 del registro ricorsi
dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questioni di legittimita’ costituzionale degli artt. 1, 2,
3, 17, 35 e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n.
69 (Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012).
Il ricorrente censura, innanzitutto, l’art. 1 della citata legge
il quale modifica l’art. 2 della legge della Regione Toscana 3
gennaio 1995, n. 3 (Norme sull’attivita’ di tassidermia e
imbalsamazione).
Censura inoltre gli artt. 2 e 3 della legge impugnata i quali
abrogano gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 3 del 1995 che, ai sensi
della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio),
disciplinavano l’acceso all’attivita’ di tassidermia subordinandolo
ad apposita autorizzazione regionale attraverso una specifica
abilitazione rilasciata dalla Regione, a seguito di superamento di un
esame, nonche’ di una dichiarazione di inizio attivita’.
Le disposizioni impugnate non solo prevedono la Segnalazione
certificata di inizio attivita’ (SCIA) in luogo della preesistente
Denuncia di inizio attivita’ (DIA), ma altresi’ abrogano le
disposizioni relative all’abilitazione tramite esame, prevedendo, in
sostituzione, l’obbligo di frequenza di un corso di formazione
professionale obbligatorio i cui contenuti devono essere definiti
dalla Regione entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge
regionale.
In tal modo gli artt. 1, 2 e 3 violerebbero l’art. 117, terzo
comma, della Costituzione atteso che secondo il costante orientamento
della giurisprudenza costituzionale nella materia concorrente delle
professioni la potesta’ legislativa regionale deve rispettare il
principio per cui la individuazione delle figure professionali, con i
relativi profili e titoli abilitanti e’ riservata, per il suo
carattere necessariamente unitario, alla normativa dello Stato,
mentre rientra nella competenza regionale la disciplina degli aspetti
che presentano uno specifico collegamento con la realta’ regionale
(come precisato nelle sentenze n. 300 del 2010, n. 57 del 2007, nn.
424 e 153 del 2006).
2.- Il ricorrente impugna, altresi’, l’art. 17 della legge reg.
n. 69 del 2012 il quale sostituisce l’art. 41 della legge della
Regione Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina della
ricerca, della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque
minerali, di sorgente e termali), e prevede che l’avvio di
un’attivita’ di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di
sorgente sia assoggettato a SCIA, attestante il possesso dei
requisiti previsti dall’art 42 e dal regolamento (CE) 29 aprile 2004,
n. 852/2004 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio
sull’igiene dei prodotti alimentari). Il comma 4, inoltre, stabilisce
che l’azienda USL «puo’ effettuare entro trenta giorni dal
ricevimento della SCIA di cui al comma 1, un sopralluogo di verifica
presso la sede dell’attivita’ di utilizzazione dell’acqua minerale
naturale e di sorgente».
Tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 6 e 22 del decreto
legislativo 8 ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva
2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque
minerali naturali), che subordina l’utilizzazione dell’acqua minerale
naturale e di sorgente ad autorizzazione regionale rilasciata «previo
accertamento che gli impianti destinati all’utilizzazione siano
realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da
conservare all’acqua le proprieta’ esistenti alla sorgente
corrispondenti alla sua qualificazione». Inoltre gli artt. 7 e 23 del
citato decreto stabiliscono che gli accertamenti devono essere
effettuati dagli organi regionali per il rilascio
dell’autorizzazione.
Ebbene, la previsione della SCIA, la quale costituisce una forma
di controllo successivo, in luogo dell’autorizzazione, che
costituisce una forma di controllo preventivo, esporrebbe i cittadini
al pericolo di danni per la salute, tenuto anche conto della
circostanza che la normativa regionale prevede che i sopralluoghi
della ASL siano meramente facoltativi.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 244 del 2012, nel
dichiarare non fondate le censure prospettate proprio dalla Regione
Toscana in relazione agli artt. 6, 7, comma 1, 22 e 23 del d.lgs. n.
176 del 2011, ha affermato che l’autorizzazione, essendo prevista
dalla normativa comunitaria, non puo’ essere derogata dalla Regione,
e che il legislatore comunitario, nell’esercizio della sua
discrezionalita’, ha ritenuto prevalente l’esigenza di tutela della
salute dei consumatori rispetto a quella di semplificazione della
attivita’ amministrativa.
Inoltre la Corte ha affermato che il d.lgs. n. 176 del 2011
contiene una disciplina di principio della materia non modificabile
dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione
dell’atto comunitario.
Conseguentemente, la disposizione impugnata viola l’art. 117,
terzo comma, Cost., in quanto contrasta con il d.lgs. n. 176 del 2011
che detta una disciplina di principio in materia di tutela della
salute, nonche’ l’art. 117, primo comma, Cost. dal momento che,
disattendendo le previsioni della normativa comunitaria, la quale
subordina ad autorizzazione l’utilizzazione di una sorgente d’acqua
minerale naturale, si pone in contrasto con i vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario.
3.- E’ censurato, altresi’, l’art. 35 della legge reg. n. 69 del
2012 il quale sostituisce l’art. 16 della legge della Regione Toscana
24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia),
prevedendo, al comma 1, che: «Gli interventi di cui ai commi 3 e 4
sono soggetti a SCIA, ai fini degli adempimenti in materia edilizia e
di energia, nel rispetto delle disposizioni di cui al titolo VI della
L.R. n. 1/2005, delle disposizioni di cui ai commi 2, 5 e 6, del
presente articolo, nonche’ nel rispetto degli articoli 3, 3-bis,
3-ter, 8, 10, 18, 20, 21, 26, 39 e 42, della presente legge».
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. con
riguardo alla materia di governo del territorio e protezione civile
nella parte in cui prevede il rispetto dell’art. 10 della legge reg.
n. 39 del 2005. Quest’ultimo articolo, infatti, a seguito delle
modifiche introdotte dalla legge della Regione Toscana 18 giugno
2012, n. 29 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012),
ha escluso talune opere dal rilascio delle autorizzazioni per
l’inizio dei lavori nelle zone sismiche. Il ricorrente ricorda che
proprio in relazione a tali disposizioni il Consiglio dei ministri,
nella seduta del 3 agosto 2012, aveva deliberato l’impugnativa della
suddetta legge regionale.
La previsione censurata contrasterebbe con l’art. 19, comma 1,
della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), il quale stabilisce che le disposizioni in materia
di SCIA non si applicano ai casi previsti dalla normativa per le
costruzioni in zona sismica.
Inoltre, la violazione dei principi fondamentali della normativa
statale che impongono specifici obblighi agli enti regionali sarebbe
dimostrata dalla abrogazione, ad opera dell’art. 32 della legge reg.
n. 69 del 2012, dell’art. 12, comma 5, legge reg. n. 39 del 2005 il
quale prevedeva la possibilita’ per la Regione di intervenire nel
procedimento e nella conferenza di servizi per il rilascio
dell’autorizzazione unica, al fine di assicurare il coordinamento
interregionale e infraregionale.
Sarebbe altresi’ dimostrata dalla abrogazione, ad opera dell’art.
47, comma 5, della legge censurata, dell’art. 39, comma 2, lettera
k), legge reg. n. 39 del 2005 il quale prevedeva che il regolamento
regionale di attuazione della suddetta legge disciplinasse le
modalita’ e le forme di redazione e di presentazione degli elaborati
progettuali e della documentazione (di cui all’art. 10, commi 5 e 6)
da presentare ai competenti uffici regionali ai fini della
prevenzione del rischio sismico.
4.- E’ impugnato, inoltre, l’art. 37, il quale sostituisce l’art.
17 della legge reg. n. 39 del 2005. Tale disposizione, ai commi 2,
lettere a), b) e f), 3, lettera a), 5, lettere a), b) e c), e 11,
individua gli interventi concernenti l’installazione di impianti a
fonti rinnovabili che producono energia elettrica e termica per i
quali non e’ necessario il titolo abilitativo.
La norma impugnata, disciplinando il regime abilitativo dei
suddetti interventi in modo difforme rispetto a quanto previsto dalla
normativa statale ed in particolare dal decreto legislativo 3 marzo
2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione
dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), e
dal decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con
il Ministro per i beni e le attivita’ culturali 10 settembre 2010
(Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabil), contrasterebbe con il principio fondamentale della
materia dei regimi di abilitazione alla costruzione di impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili.
In particolare, il ricorrente evidenzia i seguenti profili di
incostituzionalita’:
a) mentre l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011
consente la comunicazione di inizio lavori secondo il regime di cui
al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia), ovvero del decreto
legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva
2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i
servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE), ove
ricorrano specifiche condizioni, l’art. 17, comma 2, lettere a) e b),
della legge reg. n. 39 del 2005 – come modificato dall’art. 37 della
legge reg. n. 69 del 2012 – pur prevedendo per gli stessi interventi
la comunicazione, non specifica quale delle due tipologie si debba
applicare, ne’ recepisce le condizioni previste dalla normativa
statale per l’applicazione del regime semplificato;
b) mentre l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 consente
alle Regioni di prevedere il regime della comunicazione per gli
impianti a fonte rinnovabile qualunque essa sia, vale a dire tanto se
producono energia elettrica o termica, purche’ si tratti di impianti
con potenza non superiore a 50 KW, l’art. 17, comma 2, lettera f),
della legge reg. n. 39 del 2005 prevede il regime della comunicazione
per gli impianti alimentati da biomassa fino a 0,5 MW termici, e
quindi con potenza superiore a 50 KW;
c) in base al combinato disposto dell’art. 6, comma 11, del
d.lgs. n. 28 del 2011 e del paragrafo 12.5, lettera a), dell’allegato
al d.m. 10 settembre 2010, il regime della comunicazione si applica
ai singoli generatori eolici purche’ collocati su edifici esistenti e
aventi una potenza nominale massima di 50 KW. L’art. 17, comma 3,
lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005, invece, non prevede tale
ultimo limite ed estende la comunicazione anche agli impianti non
collocati su edifici;
d) l’art. 17, comma 5, lettera a), della legge reg. n. 39 del
2005 contrasta con l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 in
quanto, nell’assoggettare al regime della comunicazione anche gli
impianti di produzione di energia elettrica e termica alimentati da
fonti rinnovabili, non fissa il limite di potenza fino a 50 KW
stabilito dalla normativa statale;
e) l’art. 17, comma 5, lettera b), della legge reg. n. 39 del
2005 assoggetta a comunicazione di inizio lavori gli impianti che
producono energia elettrica aventi una capacita’ di generazione
compatibile con il regime di scambio sul posto (i quali sono quelli
con capacita’ di generazione fino a 200 KW e in taluni casi
superiore) in contrasto con quanto statuito dall’art. 6, comma 11,
del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale prevede per l’applicazione del
regime della comunicazione il limite di potenza fino a 50 KW;
f) il comma 5, lettera c), della disposizione regionale in parola
contrasta con l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011 in
quanto assoggetta a comunicazione gli impianti solari senza
richiamare le condizioni previste dalla legge statale, nonche’ in
quanto non specifica a quale comunicazione faccia riferimento (se
quella di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero a quella del d.lgs.
n. 115 del 2008). Inoltre contrasta con l’art. 7, comma 5, del
medesimo d.lgs. n. 28 del 2011 perche’ consente la collocazione di
detti impianti anche oltre i casi previsti dalla normativa statale
(edifici e spazi liberi privati annessi).
Ulteriori censure vengono mosse avverso l’art. 17, comma 11,
della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato dalla legge reg. n.
69 del 2012. Tale disposizione, stabilendo che non e’ necessario il
titolo abilitativo per le modifiche e manutenzioni degli impianti di
cui agli artt. 11, 13, 15, 16, comma 3, e 16-bis, comma 4, esistenti
o in corso di realizzazione, assoggetta tutte le modifiche degli
impianti, siano esse sostanziali o meno, alla mera comunicazione. In
tal modo la norma impugnata viola l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28
del 2011 il quale rinvia ad un apposito decreto del Ministro dello
sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza
unificata, la individuazione degli interventi di modifica sostanziale
degli impianti da fonti rinnovabili da assoggettare ad
autorizzazione, e detta in via transitoria criteri per individuare le
modifiche non sostanziali da assoggettare alla procedura abilitativa
semplificata (PAS).
Ad avviso del ricorrente, la norma regionale, nell’assoggettare
tutte le modifiche impiantistiche al regime di libera attivita’,
contrasta con la richiamata disposizione statale che assoggetta in
via transitoria a PAS (la quale, sebbene costituisca un regime
semplificato, e’ pur sempre piu’ stringente della mera comunicazione)
le sole modifiche non sostanziali e per i soli impianti esistenti.
Quanto alle modifiche sostanziali, il legislatore statale, in
attesa della adozione di apposito decreto interministeriale, ha fatto
salvo il principio della identita’ di forma tra il provvedimento
abilitativo originario e la sua variante.
Conseguentemente, la disposizione impugnata violerebbe l’art.
117, terzo comma, Cost. in quanto l’individuazione del regime
abilitativo delle modifiche costituisce principio fondamentale della
materia «produzione trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia», atteso che detto regime non puo’ che essere omogeneo
su tutto il territorio nazionale onde evitare ingiustificate
discriminazioni tra iniziative economiche ed assicurare «un
equilibrio tra la competenza esclusiva statale in materia di ambiente
e paesaggio e quella concorrente in materia di energia».
5.- La Regione Toscana, costituitasi in giudizio, ha sostenuto
che le censure svolte dalla Stato sono inammissibili o infondate.
Ad avviso della resistente gli artt. 1, 2 e 3 della legge reg. n.
69 del 2012 sarebbero espressione della competenza attribuita alla
Regione dall’art. 6 della legge n. 157 del 1992 a disciplinare, con
apposito regolamento, l’attivita’ di tassidermia e imbalsamazione.
La legge regionale impugnata da un lato avrebbe inteso ribadire
la necessita’ della acquisizione di specifica preparazione per coloro
che svolgono tale attivita’; dall’altro lato avrebbe voluto superare
la previgente scelta legislativa della Regione che richiedeva il
superamento di un esame prevedendo, in suo luogo, un sistema di
qualificazione con svolgimento di un corso obbligatorio. E cio’ la
Regione avrebbe fatto ispirandosi ai nuovi principi statali volti ad
attuare la semplificazione dei rapporti tra cittadini, imprese e
istituzioni.
In tal modo le norme impugnate non darebbero vita ad una nuova
figura professionale, ma, in attuazione dell’art. 6 della legge n.
157 del 1992, avrebbero introdotto «un nuovo sistema di acquisizione
della conoscenza».
6.- Riguardo alle censure aventi ad oggetto l’art. 17 della legge
reg. n. 69 del 2012, la resistente sostiene che l’iter di formazione
di detta legge era gia’ in uno stadio avanzato (essendo stato il
relativo progetto licenziato dalla Giunta regionale il 27 agosto
2012) allorche’ e’ intervenuta la sentenza n. 244 del 2012 con cui la
Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di
costituzionalita’ prospettate dalla Regione Toscana aventi ad oggetto
le norme del d.lgs. n. 176 del 2011 che imponevano alle Regioni il
rilascio dell’autorizzazione per l’avvio dell’attivita’ di
utilizzazione delle acque naturali e di sorgente.
La resistente afferma che sarebbe in fase di predisposizione una
proposta di legge di modifica della norma impugnata allo scopo di
renderla conforme alle disposizioni del d.lgs. n. 176 citato.
7.- Inammissibile sarebbe la doglianza avente ad oggetto l’art.
35, atteso che essa non risponderebbe ai requisiti di chiarezza e
completezza per la proposizione delle questioni di legittimita’ nei
giudizi in via principale.
La Regione fa inoltre presente che non le sarebbe mai stato
notificato un ricorso dello Stato avverso la legge reg. n. 29 del
2012 avanti alla Corte costituzionale.
Nel merito, la resistente sostiene che ove la censura si dovesse
intendere nel senso che il ricorrente lamenta che la normativa
regionale – attraverso il richiamo all’art. 10 della legge reg. n. 39
del 2005 – avrebbe esteso la previsione della SCIA anche per
costruzioni in zone sismiche in contrato con l’art. 19 della legge n.
241 del 1990, con conseguente violazione di un principio fondamentale
in materia di governo del territorio, essa sarebbe infondata.
L’art. 10, infatti, sarebbe norma generale che riguarda tutto il
procedimento da seguire per ottenere titoli abilitativi (qualunque
essi siano) per la costruzione e l’esercizio di impianti di
produzione, trasporto, trasmissione e distribuzione di energia, di
impianti per la lavorazione e lo stoccaggio di oli minerali, gas
naturali e liquefatti, nonche’ impianti di illuminazione esterna.
Inoltre esso richiama espressamente la necessita’ che tutti gli
interventi disciplinati rispettino la normativa antisismica.
Solo con riguardo ai titoli abilitativi per la costruzione e
l’esercizio delle linee elettriche aeree il comma 5 dell’art. 10
della legge reg. n. 39 del 2005 richiama una normativa speciale e
cio’ fa allo scopo di adeguare la disposizione legislativa a tre
pronunce del Consiglio di Stato (sentenze n. 1526 e n. 1527 del 2008,
n. 5278 del 2007) le quali hanno annullato i decreti del Ministro dei
lavori pubblici del 21 dicembre 2000 e 9 aprile 1999 concernenti la
normativa tecnica relativa alle linee aeree esterne.
Secondo quanto statuito dalle richiamate decisioni del giudice
amministrativo, mentre a tutte le opere in conglomerato cementizio,
normale, precompresso e a struttura metallica si applicano le norme
in materia antisismica contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
(Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia), alla costruzione delle linee elettriche esterne si
applica la normativa speciale di cui alla legge 28 giugno 1986, n.
339 (Nuove norme per la disciplina della costruzione e dell’esercizio
di linee elettriche aeree esterne), e alla relativa normativa di
attuazione. Pertanto, la disposizione regionale impugnata avrebbe
inteso unicamente adeguare la normativa regionale a quanto stabilito
dall’art. 2 della legge n. 339 del 1986.
Conseguentemente, il richiamo all’art. 10 contenuto nella
disposizione impugnata non puo’ essere interpretato nel senso che
esso escluda per talune opere la necessita’ del rilascio
dell’autorizzazione per l’inizio dei lavori in zone sismiche.
Inoltre il legislatore regionale avrebbe inteso adeguare la
normativa concernente gli impianti di produzione di energia elettrica
da fonti rinnovabili allo specifico titolo abilitativo semplificato
(PAS) in armonia con quanto previsto dall’art. 19 della legge n. 241
del 1990 e dall’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70
(Semestre Europeo – prime disposizioni urgenti per l’economia),
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
La norma impugnata, inoltre, rinviando alla legge della Regione
Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio),
che riguarda l’attivita’ edilizia – la quale all’art. 84 stabilisce
che il progettista che presenta la SCIA deve dare atto nella sua
relazione del rispetto delle norme antisismiche – rende evidente che
detta segnalazione non sostituisce i nulla osta e le autorizzazioni
richieste a fini sismici la cui acquisizione e’ obbligatoria.
Inconferente sarebbe poi il richiamo all’abrogazione, disposta
dall’art. 32, comma 2, della legge reg. n. 69 del 2012, dell’art. 12,
comma 5, della legge reg. n. 39 del 2005 che prevedeva che, al fine
di assicurare il coordinamento interregionale e infraregionale, la
Regione potesse intervenire nel procedimento e nella conferenza di
servizi di cui al comma 2. Tale abrogazione avrebbe avuto lo scopo di
semplificare il procedimento unico per il rilascio
dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di
energia, posto che la disposizione regionale era priva di
collegamento con i principi statali.
Ne’ il ricorrente ha indicato quale norma statale di principio
sarebbe stata violata dalla abrogazione dell’art. 12, comma 5.
Diversamente, nei casi in cui la normativa statale configura
l’intervento della Regione come necessario, la normativa regionale e’
intervenuta con specifica disciplina.
8.- Riguardo alle censure relative all’art. 37, che ha sostituito
l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005, il quale disciplina una
serie di interventi relativi all’installazione di impianti alimentati
da fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e
termica, la Regione osserva, preliminarmente, come la norma impugnata
sia stata introdotta per la necessita’ di adeguare la normativa
regionale alle norme statali in materia di semplificazione (in
particolare, al d.l. n. 70 del 2011, al decreto-legge 25 marzo 2010,
n. 40, recante «Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in
materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali
operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti "caroselli" e
"cartiere", di potenziamento e razionalizzazione della riscossione
tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di
destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per
incentivi e sostegno della domanda in particolari settori»,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73,
alle linee guida dettate dal d.m. 10 settembre 2010, nonche’ al
d.lgs. n. 28 del 2011, ai decreti-legge 24 gennaio 2012, n. 1,
recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitivita’», convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e 9 febbraio 2012, n. 5, recante
«Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo»,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35)
nonche’ alle sentenze n. 313 del 2010 e n. 248 del 2006 con cui la
Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale di
talune disposizioni della legge reg. n. 39 del 2005.
Inoltre, alcune previsioni contenute nella disposizione impugnata
costituirebbero legittimo esercizio della facolta’ espressamente
prevista al legislatore regionale di individuare ulteriori interventi
edilizi da sottoporre al regime dell’attivita’ libera, in conformita’
di quanto stabilito dall’art. 6, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001
e dall’art. 11, comma 4, del d.lgs. n. 115 del 2008, i quali
riguardano anche gli interventi relativi all’utilizzo di fonti
alternative mediante apparecchi omogenei agli edifici per
l’autoconsumo (come si evince dalla sentenza n. 313 del 2010).
Esaminando nel dettaglio le singole censure, la difesa regionale
sostiene l’infondatezza di quelle relative all’art. 17, comma 2,
lettere a) e b), della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato
dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012, con cui lo Stato deduce
la violazione dell’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011.
Infatti tali ultime previsioni sarebbero state pedissequamente
recepite rispettivamente dal comma 3, lettera b), e dal comma 6
dell’art. 17 della legge regionale.
Invece gli interventi previsti dall’art. 17, comma 2, lettere a)
e b), riguarderebbero unicamente gli interventi minimi, per la
produzione della sola energia termica destinata all’utilizzo diretto,
relativi alla installazione di pannelli solari termici di sviluppo
uguale o inferiore a 20 mq, ovvero ai pannelli solari per
applicazioni nel settore vivaistico. Tali interventi sarebbero gia’
sottoposti al solo regime edilizio. Argomentando diversamente, si
dovrebbe ritenere che l’elencazione contenuta nell’art. 7 del d.lgs.
n. 28 del 2011 sia tassativa e sostitutiva della vigente disciplina
per gli impianti da fonti rinnovabili gia’ sottoposti ad attivita’
libera e cio’ in contrasto con la direttiva 23 aprile 2009, n.
2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla
promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante
modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e
2003/30/CE – Testo rilevante ai fini del SEE), che persegue la
finalita’ di incentivare il ricorso alla produzione di energia da
fonti rinnovabili anche attraverso percorsi semplificati per
l’installazioni di tali tipologie di impianti.
Infondate sarebbero, inoltre, le censure mosse avverso l’art. 37
nella parte in cui introduce l’art. 17, comma 2, lettera f), alla
legge reg. n. 39 del 2005 per violazione dell’art. 6, comma 11, del
d.lgs. n. 28 del 2011. Ad avviso della Regione, infatti, la
disposizione statale evocata sarebbe inconferente atteso che essa
avrebbe ad oggetto unicamente gli impianti di produzione di energia
elettrica e non termica, di tal che il limite di 50 KW da essa
prevista dovrebbe intendersi riferito unicamente ai KW elettrici,
laddove invece la norma regionale fa riferimento alla sola potenza
termica. Si tratterebbe peraltro di una previsione gia’ contenuta nel
testo originario della legge reg. n. 39 del 2005.
Inconferente sarebbe altresi’ il richiamo all’art. 6, comma 11,
del d.lgs. n. 28 del 2011 di cui si deduce la violazione ad opera
dell’art. 17, comma 3, lettera a), della legge reg. n. 39 del 2005.
La disposizione statale, infatti, la quale prevede la
possibilita’ per le Regioni di estendere il regime semplificato delle
comunicazioni ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili
con potenza nominale fino a 50 KW, riguarderebbe unicamente l’ipotesi
in cui il legislatore regionale voglia individuare tipologie di
interventi da sottoporre al regime di attivita’ libera ulteriori
rispetto a quelli gia’ previsti ai sensi dei paragrafi 11 e 12 delle
linee guida.
La disposizione regionale impugnata, invece, costituirebbe fedele
riproduzione dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008
richiamato dal d.lgs. n. 28 del 2011 il quale dispone che «gli
interventi di incremento dell’efficienza energetica che prevedano
l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva
non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro, nonche’
di impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei
tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso
orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma
degli edifici stessi, sono considerati interventi di manutenzione
ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di
inizio attivita’ di cui agli articoli 22 e 23» del d.P.R. n. 380 del
2001, «qualora la superficie dell’impianto non sia superiore a quella
del tetto stesso».
Le censure relative all’art. 17, comma 5, lettere a), b) e c),
benche’ formulate distintamente dal ricorrente, dovrebbero essere
trattate unitariamente, atteso che solo dalla lettura complessiva
delle disposizioni impugnate sarebbe possibile comprenderne la reale
portata.
Il comma 5 prevede che non necessitino di titolo abilitativo due
diverse tipologie di impianti di produzione energetica e cioe’ quelli
realizzati in edifici esistenti, sempre che non alterino i volumi e
le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non
riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento
del numero delle unita’ immobiliari e non implichino incremento di
parametri urbanistici ed alla ulteriore condizione che:
1) vi sia produzione di energia elettrica e la relativa capacita’
di generazione sia compatibile con il regime di scambio sul posto
(lettera b);
2) vi sia produzione di calore e questo sia destinato alla
climatizzazione o alla produzione di acqua calda sanitaria
dell’edificio stesso (lettera c).
Anche in questo caso la Regione non prevederebbe nuove forme di
semplificazione, ma si limiterebbe a recepire la disciplina statale
che identifica gli interventi soggetti al regime di attivita’ libera.
In particolare, quanto agli impianti di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili, verrebbero in considerazione il
paragrafo 12 delle linee guida e l’art. 123 del d.P.R. n. 380 del
2001, nonche’ il connesso art. 6, comma 1, lettera a), e comma 2,
lettera a), dello stesso decreto.
Quanto agli impianti di produzione di calore da fonti rinnovabili
di cui al combinato disposto delle lettere a) e c) del comma 5
dell’art. 17, la normativa recepirebbe le disposizioni dell’art. 7,
comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011.
Riguardo poi alle censure relative alla lettera b) del comma 5,
la resistente sostiene che il parametro evocato sarebbe inconferente
atteso che la norma regionale «non riguarda gli impianti solari
termici che per loro intrinseca natura si posizionano sugli edifici,
[e dunque] sul loro involucro e mai all’interno degli edifici».
Infondate sarebbero, infine, le censure relative all’art. 17,
comma 11, il quale si limiterebbe a chiarire che, ove gli interventi
di modifica o manutenzione degli impianti non comportino modifiche
assoggettate a PAS o a SCIA, esse possono essere realizzate in regime
di attivita’ libera ai sensi degli artt. 16, 16-bis e 17 della legge
reg. n. 39 del 2005.
Peraltro la disposizione censurata sarebbe stata contenuta nella
stessa formulazione nel testo dell’art. 17 anteriore alle modifiche
introdotte dalla legge reg. n. 69 del 2012.
In prossimita’ dell’udienza, la resistente ha depositato una
memoria nella quale da’ atto che, successivamente alla proposizione
del ricorso, e’ stata emanata la legge della Regione Toscana 9 agosto
2013, n. 47 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2013),
il cui art. 59 ha modificato l’art. 41 della legge reg. n. 38 del
2004 disponendo che l’avvio dell’attivita’ di utilizzazione
dell’acqua minerale naturale e di sorgente sia assoggettato al
rilascio di autorizzazione, e non piu’ a SCIA. In considerazioni di
tali modifiche, la resistente ha chiesto che sia dichiarata la
cessazione della materia del contendere con riguardo alle censure
prospettate in relazione all’art. 17 della legge reg. n. 69 del 2012.

Considerato in diritto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso
questioni di legittimita’ costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 17, 35
e 37 della legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge
di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012).
2.- Il ricorrente impugna, innanzitutto, gli artt. 1, 2 e 3 della
legge richiamata i quali modificano talune previsioni contenute nella
legge della Regione Toscana 3 gennaio 1995, n. 3 (Norme
sull’attivita’ di tassidermia e imbalsamazione).
In particolare l’art. 1 della legge reg. n. 69 del 2012 modifica
l’art. 2 della legge reg. n. 3 del 1995, mentre gli artt. 2 e 3
abrogano rispettivamente gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 3 del
1995.
Per effetto di tali modifiche nella Regione Toscana l’esercizio
dell’attivita’ di tassidermia ed imbalsamazione e’ subordinato alla
presentazione, in luogo della denuncia di inizio attivita’ (DIA)
originariamente prevista, di una segnalazione certificata di inizio
attivita’ (SCIA) nella quale viene attestata la frequenza ad un corso
di formazione professionale obbligatoria.
Vengono, inoltre, abrogate le disposizioni della legge reg. n. 3
del 1995 che subordinavano l’esercizio di tale attivita’ al
superamento di un esame di abilitazione, prevedendosi, in
sostituzione, la frequenza obbligatoria di un corso di formazione, i
cui contenuti sono rimessi ad un atto del dirigente della competente
struttura regionale.
Il ricorrente sostiene che tali disposizioni violerebbero l’art.
117, terzo comma, Cost. in quanto interverrebbero nella materia
concorrente delle professioni senza rispettare il principio secondo
il quale la individuazione delle figure professionali con i relativi
profili e titoli abilitanti e’ riservata alla normativa dello Stato.
2.1.- La questione non e’ fondata.
Questa Corte, con orientamento ormai costante, ha affermato che
«la potesta’ legislativa regionale nella materia concorrente delle
"professioni" deve rispettare il principio secondo cui
l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e
titoli abilitanti, e’ riservata, per il suo carattere necessariamente
unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la
disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico
collegamento con la realta’ regionale; tale principio, al di la’
della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi,
si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile
dalla legge regionale, da cio’ derivando che non e’ nei poteri delle
Regioni dar vita a nuove figure professionali» (da ultimo, sentenza
n. 98 del 2013).
Una volta, pero’, che la legge statale abbia dato vita ad
un’autonoma figura professionale «non si spiega per quale motivo le
Regioni, dotate di potesta’ primaria in materia di formazione
professionale, non possano regolare corsi di formazione relativi alle
professioni […] gia’ istituite dallo Stato, fermo restando che
l’esercizio di tale attribuzione regionale non e’ necessariamente
subordinato a siffatto requisito preliminare, ma puo’ venire
realizzato nell’interesse formativo di qualunque lavoratore, anche al
di fuori di un tipico inquadramento professionale di quest’ultimo,
purche’ con cio’ non si dia vita ad una nuova professione, rilevante
in quanto tale nell’ordinamento giuridico» (sentenze n. 108 del 2012
e n. 271 del 2009).
Con riguardo all’attivita’ di tassidermia e di imbalsamazione, le
uniche disposizioni dettate dalla normativa statale sono contenute
nell’art. 6 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio), il quale, al comma 1, stabilisce che «Le regioni sulla
base di apposito regolamento disciplinano l’attivita’ di tassidermia
ed imbalsamazione e la detenzione o il possesso di preparazioni
tassidermiche e trofei», e al comma 4 dispone che «Le regioni
provvedono ad emanare, non oltre un anno dalla data di entrata in
vigore della presente legge, un regolamento atto a disciplinare
l’attivita’ di tassidermia ed imbalsamazione di cui al comma 1».
La Regione Toscana aveva gia’ dato attuazione a tali previsioni
con la legge reg. n. 3 del 1995 la quale, nella formulazione
originaria, subordinava l’esercizio di questa attivita’ alla
presentazione di una DIA e al superamento di un apposito esame.
La legge impugnata ha eliminato la necessita’ di tale esame
prevedendo, invece, la partecipazione obbligatoria ad un corso di
formazione disciplinato dalla Regione stessa.
Alla luce di questo quadro normativo si puo’ affermare che le
modifiche introdotte dalla legge reg. n. 69 del 2012 non hanno
istituito una nuova figura professionale, ma sono intervenute sulla
disciplina regionale gia’ vigente in materia, prevedendo una diversa
modalita’ di accesso allo svolgimento dell’attivita’ di
imbalsamazione e tassidermia per la quale e’ richiesta
obbligatoriamente la frequenza di un corso di formazione. Le
disposizioni impugnate, pertanto, costituiscono esercizio della
potesta’ residuale delle Regioni in tema di formazione professionale.
3.- Lo Stato ha poi impugnato l’art. 17 della legge reg. n. 69
del 2012 il quale sostituisce l’art. 41 della legge della Regione
Toscana 27 luglio 2004, n. 38 (Norme per la disciplina della ricerca,
della coltivazione e dell’utilizzazione delle acque minerali, di
sorgente e termali).
A seguito di tali modifiche, la nuova versione dell’art. 41 della
legge reg. n. 38 del 2004 stabilisce che l’avvio dell’attivita’ di
utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente e’
assoggettato a SCIA, attestante il possesso dei requisiti previsti
dal regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 852/2004 (Regolamento del
Parlamento europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti
alimentari). Stabilisce, inoltre, che l’ASL puo’ effettuare un
sopralluogo di verifica entro 30 giorni.
Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost. in quanto, prevedendo in luogo dell’autorizzazione (forma di
controllo preventivo), la SCIA (che implica controlli successivi), la
norma impugnata contrasterebbe con la disciplina di principio in
materia di tutela della salute dettata dal decreto legislativo 8
ottobre 2011, n. 176 (Attuazione della direttiva 2009/54/CE,
sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali
naturali). Gli artt. 6 e 22 del citato decreto, infatti, subordinano
l’inizio di tale attivita’ ad autorizzazione, la quale e’ rilasciata
previo accertamento che gli impianti destinati all’utilizzazione
siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e
da conservare all’acqua le proprieta’, corrispondenti alla sua
qualificazione, esistenti alla sorgente.
Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe,
altresi’, l’art. 117, primo comma, Cost. in quanto, disattendendo le
previsioni della normativa comunitaria, la quale subordina ad
autorizzazione l’utilizzazione di una sorgente d’acqua minerale
naturale, si porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario.
3.1.- Successivamente alla proposizione del ricorso, la Regione
Toscana ha emanato la legge 9 agosto 2013, n. 47 (Legge di
manutenzione dell’ordinamento regionale 2013), la quale, all’art. 59,
ha modificato l’art. 41 della legge reg. n. 38 del 2004 disponendo
che l’avvio dell’attivita’ di utilizzazione dell’acqua minerale
naturale e di sorgente sia assoggettato al rilascio di
autorizzazione, e non piu’ a SCIA.
La resistente ha chiesto che sia dichiarata cessata la materia
del contendere essendo dette modifiche satisfattive delle censure
mosse dallo Stato e non avendo avuto medio tempore applicazione la
disposizione impugnata.
3.2.- Come noto, lo ius superveniens puo’ determinare la
cessazione della materia del contendere solo ove al contempo rivesta
efficacia satisfattiva rispetto alle ragioni del ricorrente e la
normativa censurata non abbia avuto medio tempore applicazione (ex
plurimis, sentenze n. 73 e n. 18 del 2013, n. 300 e n. 193 del 2012).
Se nel caso in esame le modifiche introdotte dalla legge reg. n.
47 del 2013, recependo senz’altro la normativa statale appaiono
soddisfare le censure mosse dal ricorrente, non vi e’, tuttavia,
alcuna dimostrazione del fatto che la disposizione impugnata – la
quale contiene previsioni dotate di immediata efficacia – non abbia
avuto applicazione. Non ricorrono pertanto, nella specie, le
condizioni richieste dalla giurisprudenza di questa Corte perche’
possa essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
3.3.- La disposizione censurata va pertanto sottoposta allo
scrutinio di costituzionalita’.
Gli artt. 6 e 22 del d.lgs. n. 176 del 2011, nel disciplinare
l’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali
naturali in attuazione della direttiva 18 giugno 2009, n. 2009/54/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’utilizzazione
e la commercializzazione delle acque minerali naturali), stabiliscono
che l’utilizzazione delle acque minerali naturali e l’immissione in
commercio delle acque di sorgente siano subordinate ad una previa
autorizzazione rilasciata dopo aver accertato la ricorrenza delle
condizioni ivi indicate.
Questa Corte, nella sentenza n. 244 del 2010, esaminando le
censure proposte proprio dalla Regione Toscana avverso tali
disposizioni, laddove subordinano lo svolgimento delle attivita’ in
parola ad una previa autorizzazione rilasciata dopo l’accertamento
della sussistenza delle condizioni ivi indicate, ha affermato che «Il
legislatore comunitario, nell’esercizio della propria
discrezionalita’ normativa, ha ritenuto prevalente, rispetto a quella
della semplificazione amministrativa dei procedimenti, la finalita’
di assicurare la tutela della salute dei consumatori di acque
minerali. Nell’ordinamento nazionale analoga finalita’ costituisce un
interesse generale, costituzionalmente rilevante, in quanto species
del piu’ ampio genus della salute del singolo individuo e della
collettivita’ di cui all’art. 32 Cost. e, nel caso di specie, anche
pienamente conforme alla regola introdotta dal legislatore
comunitario […]. La normativa nazionale di recepimento, contenuta
nel d.lgs. n. 176 del 2011 e censurata dalla Regione Toscana, proprio
perche’ in larga misura pedissequamente riproduttiva delle previsioni
comunitarie – sintetiche per definizione quanto ai loro enunciati –
contenute nella direttiva 2009/54/CE, detta nella specie una
disciplina di principio della materia, comunque non modificabile
dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione
dell’atto comunitario».
Alla luce di tale pronuncia le censure prospettate, sia con
riferimento al primo che al terzo comma dell’art. 117 Cost.,
risultano fondate.
La disposizione regionale impugnata, infatti, subordinando lo
svolgimento dell’attivita’ a semplice SCIA, anziche’ ad
autorizzazione, viola un principio fondamentale della materia della
tutela della salute, ed inoltre si pone in contrasto la normativa
comunitaria.
4.- Il ricorrente ha impugnato l’art. 35 della legge reg. n. 69
del 2012 il quale sostituisce l’art. 16 della legge della Regione
Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia).
L’art. 16, inserito nel Capo III della legge, concernente la
disciplina delle attivita’ energetiche, individua gli interventi
soggetti a SCIA.
Al comma 1 la citata disposizione stabilisce che gli interventi
previsti ai commi 3 e 4 «sono soggetti a SCIA, ai fini degli
adempimenti in materia edilizia e di energia, nel rispetto» tra le
altre, delle disposizioni di cui all’art. 10 della stessa legge
regionale.
Il Presidente del Consiglio sostiene che la disposizione
impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. con riguardo alla
materia di governo del territorio e protezione civile nella parte in
cui prevede il rispetto dell’art. 10 della legge reg. n. 39 del 2005,
il quale ha escluso talune opere dal rilascio delle autorizzazioni
per l’inizio dei lavori nelle zone sismiche, laddove invece l’art. 19
della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), stabilisce che le disposizioni in materia di SCIA
non si applicano ai casi previsti dalla normativa per le costruzioni
in zone sismiche.
La difesa della Regione Toscana ha eccepito l’inammissibilita’
della censura in quanto essa difetterebbe dei requisiti di chiarezza
e completezza necessari per sollevare una questione di legittimita’
costituzionale.
L’eccezione e’ fondata.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, il ricorso in
via principale deve anzitutto «identificare esattamente la questione
nei suoi termini normativi», indicando «le norme costituzionali e
ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilita’ o
incompatibilita’ costituisce l’oggetto della questione di
costituzionalita’», e altresi’ «contenere una seppur sintetica
argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di
incostituzionalita’ della legge» (ex plurimis, sentenze n. 41 del
2013 e n. 114 del 2011, nonche’ ordinanza n. 123 del 2012), ponendosi
l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa
«in termini perfino piu’ pregnanti nei giudizi diretti che in quelli
incidentali» (ordinanza n. 123 del 2012, che menziona anche le
sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005).
Nel caso in esame, le argomentazioni svolte dal ricorrente a
sostegno dell’impugnazione dell’art. 35 della legge reg. n. 69 del
2012 sono formulate in termini confusi e non raggiungono quella
soglia minima di chiarezza e completezza cui e’ subordinata
l’ammissibilita’ delle impugnative in via principale (ex plurimis,
sentenza n. 312 del 2013).
5.- E’ impugnato l’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 il
quale sostituisce l’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005. A
seguito delle modifiche introdotte, la citata disposizione
individuerebbe, ai commi 2, lettere a), b), ed f), 3, lettera a), 5,
lettere a), b) e c), e 11, una serie di interventi concernenti
l’installazione di impianti da fonti rinnovabili che producono
energia elettrica e termica per i quali non e’ necessario il titolo
abilitativo.
In tal modo la disposizione censurata violerebbe l’art. 117,
terzo comma, Cost. in quanto disciplinerebbe il regime abilitativo
per i suddetti interventi in modo difforme rispetto a quanto previsto
dalla normativa statale dettata dagli artt. 6 comma 11, e 7, commi 1,
2 e 5, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della
direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), nonche’ dal decreto del Ministro
dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e
le attivita’ culturali 10 settembre 2010 (Linee guida per
l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili). I
regimi di abilitazione alla costruzione di impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili previsti dalle disposizioni richiamate
costituirebbero infatti principio fondamentale della materia
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Il ricorrente evidenzia, analiticamente, diversi profili di
contrasto della disposizione impugnata con i parametri interposti
evocati.
Innanzitutto censura le modifiche introdotte dall’art. 37 della
legge reg. n. 69 del 2012 all’art. 17, comma 2, lettere a) e b),
della legge reg. n. 39 del 2005 le quali prevedono che «Non
necessitano di titolo abilitativo, ai sensi della presente legge e
della L.R. n. 1/2005, i seguenti interventi laddove realizzati
secondo le condizioni stabilite dal PAER e dai provvedimenti
attuativi dello stesso:
a) l’installazione di pannelli solari termici di sviluppo uguale
o inferiore a 20 metri quadrati;
b) l’installazione di pannelli solari termici per applicazioni
nel settore florovivaistico».
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. in
quanto disciplina il regime abilitativo per i suddetti interventi in
modo difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 7, commi 1 e 2,
del d.lgs. n. 28 del 2011. Le difformita’ sono individuate dal
ricorrente nella mancata specificazione della tipologia di
comunicazione alla quale gli interventi in esso previsti sono
soggetti, vale a dire se a quella di cui al decreto legislativo 30
maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa
all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e
abrogazione della direttiva 93/76/CEE), ovvero a quella di cui
all’art. 6, comma 2, lettera a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
(Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia). Inoltre la realizzazione degli impianti in parola
non sarebbe subordinata alle condizioni previste dalla norma statale.
5.1.- Al fine di valutare la fondatezza delle censure proposte e’
necessario preliminarmente analizzare la disciplina dettata dall’art.
7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011, evocato dall’Avvocatura a
parametro interposto.
Tale disposizione ha ad oggetto il regime di autorizzazione degli
impianti di produzione di energia termica da fonti rinnovabili.
Il comma 1 riguarda gli interventi di installazione di impianti
solari termici. Essi sono considerati attivita’ libera subordinata
alla sola previa comunicazione di cui all’art. 11, comma 3, del
d.lgs. n. 115 del 2008 alle seguenti congiunte condizioni: a) siano
installati impianti aderenti o integrati nei tetti di edifici
esistenti con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della
falda e i cui componenti non modifichino la sagoma degli edifici
stessi; b) la superficie dell’impianto non sia superiore a quella del
tetto su cui viene realizzato; c) gli interventi non ricadano nel
campo di applicazione del codice dei beni culturali e del paesaggio,
di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 e successive modificazioni.
Laddove ricorrano tali condizioni, per la realizzazione degli
impianti e’ richiesta la mera comunicazione preventiva, anche per via
telematica, al Comune, secondo quanto previsto dall’art. 11, comma 3,
del d.lgs. n. 115 del 2008.
Il comma 2 dell’art. 7 disciplina l’installazione di impianti
solari termici per i quali ricorrano congiuntamente le seguenti
condizioni: a) siano realizzati su edifici esistenti o su loro
pertinenze, ivi inclusi i rivestimenti delle pareti verticali esterne
agli edifici; b) gli impianti siano realizzati al di fuori della zona
A), di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile
1968, n. 1444.
In questi casi gli impianti sono realizzati previa comunicazione
secondo le modalita’ definite dagli artt. 6, comma 2, lettera a), e
123, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001.
L’art. 6, in particolare, stabilisce che gli interventi di
manutenzione straordinaria da essa previsti «possano essere eseguiti
senza alcun titolo abilitativo» previa comunicazione al Comune
dell’inizio dei lavori. Il comma 4 dello stesso art. 6, aggiunge che,
unitamente a tale comunicazione, l’interessato deve trasmettere i
dati identificativi dell’impresa cui saranno affidati i lavori e una
relazione tecnica, provvista di data certa e corredata degli
opportuni elaborati progettuali, a firma di tecnico abilitato, il
quale assevera, sotto la propria responsabilita’, che i lavori sono
conformi agli strumenti urbanistici e che per essi la normativa
statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo.
L’art. 123 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001 rinvia al
richiamato art. 6 e al regime ivi previsto per l’installazione di
impianti da fonti rinnovabili sugli edifici.
Il comma 5 dell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011, infine, prevede
che gli impianti di produzione di energia termica diversi da quelli
indicati sopra, i quali siano realizzati negli edifici esistenti e
negli spazi liberi privati annessi e purche’ destinati unicamente
alla produzione di acqua calda e aria per l’uso nei medesimi edifici,
sono soggetti alla previa comunicazione di cui all’art. 6 del d.P.R.
n. 380 del 2001.
5.2.- L’art. 17 della legge reg. n. 39 del 2005, al comma 2,
stabilisce che sono considerati attivita’ libera, e «non necessitano
di titolo abilitativo ai sensi della presente legge e della L.R. n.
1/2005», tra gli altri: a) l’installazione di pannelli solari termici
di sviluppo uguale o inferiore a 20 metri quadrati; b)
l’installazione di pannelli solari termici per applicazioni nel
settore florovivaistico.
Per questi interventi il comma 10 dell’art. 17 della legge reg.
dispone che l’interessato dia «preventiva comunicazione al comune».
La Regione nelle sue difese sostiene che le previsioni della
norma statale asseritamente violata sono pedissequamente recepite
dall’art. 17 al comma 3, lettera b) e al comma 6 della legge reg. n.
39 del 2005; inoltre che la disposizione censurata concerne
interventi diversi da quelli suddetti.
Questi sarebbero assoggettati ad attivita’ libera in coerenza con
la normativa statale che gia’ sottopone al solo regime edilizio tali
interventi (art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 e art. 11, comma 4, del
d.lgs. n. 115 del 2008) nonche’ della normativa comunitaria che
prevede percorsi semplificati per l’installazione di impianti da
fonti rinnovabili al fine di incentivarne l’utilizzo.
La censura e’ fondata.
Per cio’ che concerne la ricostruzione iniziale, e’ esatto quanto
sostiene la resistente. La normativa regionale recepisce, infatti, le
disposizioni dell’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011 dal momento che
l’art. 17, comma 3, lettera b), della legge reg. n. 39 del 2005 ha un
disposto che richiama il contenuto dell’art. 7, comma 1, mentre il
comma 6 recepisce il disposto dell’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 28.
Tuttavia, la disposizione regionale impugnata ha ad oggetto due
specifiche tipologie di impianti solari termici e cioe’ i pannelli
solari di sviluppo uguale o inferiore a 20 metri quadrati e i
pannelli solari per applicazioni nel settore florovivaistico. Poiche’
questi impianti sono descritti unicamente con riferimento alle
suddette caratteristiche, risultano diversi da quelli considerati
dalla norma statale, potendo trattarsi di pannelli solari non
collocati su edifici esistenti o che comunque non ne rispettino le
dimensioni e le caratteristiche. Tali interventi sono, altresi’,
assoggettati dal legislatore regionale ad un regime ancora piu’
semplificato rispetto a quello dettato dall’art. 7 del d.lgs. n. 28
del 2011 dal momento che, in luogo della comunicazione di cui
all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 – la quale, come si e’ detto
sopra, richiede anche ulteriori adempimenti tra cui, in particolare,
la presentazione di una relazione tecnica – prevede (art. 17, comma
10) la mera comunicazione al Comune e cioe’ un regime analogo a
quello dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 115 del 2008 riservato
dal legislatore statale solo a particolari interventi, comunque
diversi da quelli in oggetto.
Questa Corte, occupandosi piu’ volte della materia, ha affermato
che la normativa del d.lgs. n. 28 del 2011 «e’ espressione della
competenza statale in materia di energia, poiche’ detta il regime
abilitativo per gli impianti non assoggettati all’autorizzazione
unica, regime da applicarsi in tutto il territorio nazionale»
(sentenza n. 272 del 2012).
Inoltre, nella sentenza n. 313 del 2010 (avente ad oggetto
proprio la legge reg. n. 39 del 2005) ha dichiarato
costituzionalmente illegittime quelle disposizioni che o
assoggettavano a DIA o deregolamentavano, qualificando come attivita’
libera, interventi che, ai sensi della normativa, statale avrebbero
dovuto essere assoggettati ad autorizzazione unica. La ragione
dell’illegittimita’ costituzionale di tali disposizioni e’ stata
individuata nel fatto che le procedure previste dalla disciplina
statale sono volte a consentire il vaglio dei molteplici interessi
coinvolti (per la tutela dei quali e’ disposta la partecipazione di
soggetti diversi alla conferenza di servizi prevista per il rilascio
dell’autorizzazione).
Le medesime considerazioni possono svolgersi con riguardo al caso
di specie. La Regione, nell’estendere il regime semplificato della
mera comunicazione ad interventi ulteriori rispetto a quelli previsti
dalla normativa statale, ha violato il principio fondamentale nella
materia dell’energia costituito dalla disciplina del regime dei
titoli abilitativi dettata dall’art. 7 del d.lgs. n. 28 del 2011.
6.- L’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 e’ poi censurato
nella parte in cui modifica l’art. 17, comma 2, lettera f), della
legge reg. n. 39 del 2005. La disposizione legislativa inserisce alla
lettera f) «l’installazione di impianti di produzione energetica
alimentati a biomassa fino a 0,5 megawat termici» tra gli interventi
che «non necessitano di titolo abilitativo ai sensi della presente
legge e della L.R. n. 1/2005, […] laddove [essi siano] realizzati
secondo le condizioni stabilite dal PAER e dai provvedimenti
attuativi dello stesso».
L’Avvocatura dello Stato ha dedotto la violazione dell’art. 6,
comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 che consente alle Regioni di
estendere il regime dell’attivita’ libera agli impianti alimentati da
fonti rinnovabili, purche’ aventi potenza nominale fino a 50 KW.
Secondo la difesa regionale, tali censure sarebbero prive di
pregio dal momento che la norma statale, richiamando le "Linee guida"
dettate dal d.m. 10 settembre 2010, si riferirebbe solo agli impianti
di produzione di energia elettrica, mentre la norma regionale
riguarderebbe gli impianti di produzione di energia termica.
6.1.- La censura e’ fondata.
L’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, di cui si lamenta
la violazione, stabilisce che «La comunicazione relativa alle
attivita’ in edilizia libera, di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee
guida adottate ai sensi dell’articolo 12, comma 10 del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 continua ad applicarsi, alle
stesse condizioni e modalita’, agli impianti ivi previsti. Le Regioni
e le Province autonome possono estendere il regime della
comunicazione di cui al precedente periodo ai progetti di impianti
alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW,
nonche’ agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da
realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di
valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche».
Nel procedere all’esame di questa censura e’ necessario fare una
premessa che precisi l’incidenza che, nel processo valutativo
demandato a questa Corte, assumono atti di normazione secondaria che,
come le "Linee guida", costituiscono, in un ambito esclusivamente
tecnico, il completamento del principio contenuto nella disposizione
legislativa. Se e’ ovvio che essi, qualora autonomamente presi, non
possono assurgere al rango di normativa interposta, altra e’ la
conclusione cui deve giungersi ove essi vengano strettamente ad
integrare, in settori squisitamente tecnici, la normativa primaria
che ad essi rinvia. In detti campi applicativi essi vengono ad essere
un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che
ad essi affida il compito di individuare le specifiche
caratteristiche della fattispecie tecnica che, proprio perche’ frutto
di conoscenze periferiche o addirittura estranee a quelle di
carattere giuridico le quali necessitano di applicazione uniforme in
tutto il territorio nazionale, mal si conciliano con il diretto
contenuto di un atto legislativo. Non a caso per la loro definizione
e’ prevista una procedura partecipativa estremamente ampia ed
articolata. Poiche’ essi, come si e’ detto, fanno corpo con la
disposizione legislativa che ad essi rinvia, il loro mancato rispetto
comporta la violazione della norma interposta e determina, nel caso
si verta nelle materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. e
qualora la norma interposta esprima principi fondamentali,
l’illegittimita’ costituzionale della norma censurata.
Si tratta, peraltro, di principi gia’ espressi da questa Corte,
quando ha affermato (sentenza n. 275 del 2011) che: «Il d.m. 10
settembre 2010 contiene norme finalizzate a disciplinare, in via
generale ed astratta, il procedimento di autorizzazione alla
installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, alle
quali sono vincolati tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti
nell’attivita’ in questione». O quando, con molteplici pronunce (ex
multis: sentenze nn. 344 e 168 del 2010) si e’ affermato che in
assenza delle suddette "Linee guida" era preclusa alle Regioni la
possibilita’ di determinare l’individuazione dei parchi eolici
«poiche’ l’indicazione da parte delle Regioni dei luoghi preclusi
alla costruzione dei suddetti impianti puo’ avvenire solo a seguito
dell’approvazione delle linee guida nazionali per il corretto
inserimento degli impianti eolici nel paesaggio da parte della
Conferenza unificata ex art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del
2003».
Si e’ in presenza, come si e’ detto, di un canone interpretativo
di carattere generale, avendo questa Corte, anche recentemente
(sentenza n. 62 del 2013) ribadito che «nelle materie di competenza
concorrente, allorche’ vengono attribuite funzioni amministrative a
livello centrale allo scopo di individuare norme di natura tecnica
che esigono scelte omogenee su tutto il territorio nazionale
improntate all’osservanza di standard e metodologie desunte dalle
scienze, il coinvolgimento della Conferenza Stato Regioni puo’
limitarsi all’espressione di un parere obbligatorio (sentenze n. 265
del 2011, n. 254 del 2010, n. 182 del 2006, n. 336 e n. 285 del
2005). In tali casi la disciplina statale costituisce principio
generale della materia (sentenze n. 254 del 2010 e n. 182 del 2006)»
Cio’ precisato, occorre osservare che le "Linee guida" dettate
dal d.m. 10 settembre 2010 al paragrafo 12.3, lettera a),
assoggettano a comunicazione la realizzazione di impianti alimentati
a biomasse purche’ «operanti in assetto cogenerativo» e «aventi una
capacita’ di generazione massima inferiore a 50 kWe».
Il paragrafo 12.4 assoggetta a DIA (oggi «procedura abilitativa
semplificata» – PAS – ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011)
gli impianti di generazione elettrica alimentati da biomasse i quali
abbiano una capacita’ di generazione massima inferiore a 1.000 kWe
ovvero a 3.000 kWt.
Le "Linee guida", pertanto, nell’individuare il diverso regime
abilitativo degli impianti alimentati da biomasse, fanno riferimento
tanto ad un limite di potenza espresso in kW elettrici, quanto ad un
limite espresso in kW termici.
Tutto cio’ considerato, si rileva che, mentre la normativa
statale stabilisce che gli impianti alimentati da biomassa che hanno
una capacita’ di generazione massima fino a 3.000 kWt sono
assoggettati alla PAS (procedura abilitativa semplificata), la
disposizione regionale invece assoggetta gli impianti, con capacita’
di produzione fino a 0,5 MWt (e cioe’ 500 kWt) ad un regime diverso
rispetto a quello previsto dalle disposizioni statali, richiedendo
per la loro realizzazione la semplice comunicazione (secondo quanto
disposto dall’art. 17, commi 2, lettera f, e 10).
Tale intervento regionale contrasta, dunque, con quanto previsto
dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011, il quale consente
alle Regioni di estendere il regime semplificato soltanto
limitatamente agli impianti con potenza nominale fino a 50 kW.
Pertanto la disposizione impugnata contrasta con la normativa
statale concernente la disciplina dei titoli abilitativi di tal che
essa, violando un principio fondamentale in materia della «produzione
e trasporto di energia», deve essere dichiarata costituzionalmente
illegittima.
7.- L’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012 e’ poi censurato
nella parte in cui modifica l’art. 17, comma 3, lettera a), della
legge reg. n. 39 del 2005, assoggettando al regime della attivita’
libera l’installazione di singoli generatori eolici con altezza
complessiva non superiore ad 1,5 metri e diametro non superiore a 1
metro.
Ad avviso dell’Avvocatura, la disposizione contrasterebbe con il
combinato disposto dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 e
del paragrafo 12.5, lettera a), del d.m. 10 settembre 2010, in quanto
non rispetterebbe i limiti posti da tale disposizione la quale
prevede il regime della comunicazione per i singoli generatori eolici
purche’ collocati su edifici esistenti e aventi una potenza nominale
massima di 50 KW.
7.1.- La censura non e’ fondata.
Come si e’ innanzi detto, l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28
del 2011 consente alle Regioni di estendere il regime della
comunicazione di cui alle Linee guida ad impianti da fonti
rinnovabili con potenza fino a 50 KW nonche’ agli impianti
fotovoltaici di qualunque potenza da realizzare sugli edifici.
Il paragrafo 12.5, lettera a), delle "Linee guida" assoggetta a
comunicazione la realizzazione degli impianti eolici installati sui
tetti degli edifici esistenti purche’ si tratti di singoli generatori
eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro
non superiore ad un metro e purche’ gli interventi non ricadano nel
campo di applicazione del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137).
Cio’ posto, si osserva che l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28
del 2011, al primo periodo, stabilisce che il regime della
comunicazione previsto dai paragrafi 11 e 12 delle "Linee guida"
continua ad applicarsi alle stesse condizioni e modalita’ agli
impianti ivi previsti. Cio’ significa che la previsione del secondo
periodo del comma 11 dell’art. 6, che consente alle Regioni di
estendere il regime semplificato, concerne interventi diversi ed
ulteriori rispetto a quelli gia’ contemplati dalle Linee guida ed e’
pertanto solo ad essi che si applica il limite dei 50 KW.
La disposizione regionale, invece, e’ conforme a quanto statuito
dal paragrafo 12.5, lettera a), delle "Linee guida". Essa, inoltre,
appare rispettosa di quanto previsto dall’art. 11, comma 3, del
d.lgs. n. 115 del 2008 il quale dispone espressamente che «gli
interventi di incremento dell’efficienza energetica che prevedano
l’installazione di singoli generatori eolici con altezza complessiva
non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro […]
sono considerati interventi di manutenzione ordinaria» e per essi e’
sufficiente una «comunicazione preventiva al Comune».
8.- Il Presidente del Consiglio impugna, inoltre, l’art. 17,
comma 5, lettere a), b) e c), della legge reg. n. 39 del 2005, come
modificato dall’art. 37 della legge reg. n. 69 del 2012, il quale
stabilisce che «Nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 80,
comma 2, lettera a), e comma 5, della L.R. n. 1/2005, non necessitano
di titolo abilitativo, anche ai sensi della presente legge,
l’installazione degli impianti di produzione energetica aventi tutte
le seguenti caratteristiche: a) realizzati in edifici esistenti
sempre che non alterino i volumi e le superfici, non comportino
modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le parti
strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle
unita’ immobiliari e non implichino incremento dei parametri
urbanistici; b) laddove vi sia produzione di energia elettrica, la
relativa capacita’ di generazione sia compatibile con il regime di
scambio sul posto; c) laddove vi sia produzione di calore, questo sia
destinato alla climatizzazione o alla produzione di acqua calda
sanitaria dell’edificio stesso».
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma
Cost., perche’ la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con
i principi fondamentali in materia di energia. Diversi sono i
parametri interposti che si assumono violati dalla disposizione. In
particolare: la lettera a) dell’art. 17, comma 5, contrasterebbe con
l’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto,
nell’assoggettare al regime della comunicazione anche gli impianti di
produzione di energia elettrica e termica alimentati da fonti
rinnovabili, non fissa il limite di potenza fino a 50 KW stabilito
dalla normativa statale; la lettera b) assoggetta a comunicazione di
inizio lavori gli impianti che producono energia elettrica aventi una
capacita’ di generazione compatibile con il regime di scambio sul
posto (i quali sono quelli con capacita’ di generazione fino a 200 KW
e in taluni casi superiore) in contrasto con quanto statuito
dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale prevede per
l’applicazione del regime della comunicazione il limite di potenza
fino a 50 KW; la lettera c) contrasterebbe con l’art. 7, commi 1 e 2,
del d.lgs. n. 28 del 2011 in quanto assoggetta a comunicazione gli
impianti solari senza richiamare le condizioni previste dalla legge
statale ed in quanto non specifica a quale comunicazione la
disposizione regionale faccia riferimento, se a quella di cui al
d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero a quella di cui al d.lgs. n. 115 del
2008.
La disposizione impugnata, inoltre, contrasterebbe con l’art. 7,
comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011 perche’ consente la collocazione
di detti impianti anche oltre i casi previsti dalla normativa statale
(edifici e spazi liberi privati annessi).
8.1.- La censura non e’ fondata.
Il comma 5 dell’art. 17 individua le condizioni che devono
sussistere congiuntamente perche’ gli interventi in esso previsti
siano assoggettati al regime della libera attivita’.
La disposizione contempla due tipi di interventi. Innanzitutto
quelli descritti dal combinato disposto delle lettere a) e b), vale a
dire l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica
in edifici esistenti che non alterino i volumi e le superfici, non
comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non riguardino le
parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero
delle unita’ immobiliari e non implichino incremento dei parametri
urbanistici, i quali, nel caso vi sia produzione di energia
elettrica, abbiano capacita’ di generazione compatibile con il regime
di scambio sul posto.
La disposizione regionale stabilisce che l’installazione di tali
impianti, «nel rispetto di quanto disposto dall’art. 80, comma 2,
lettera a), e comma 5», della legge della Regione Toscana 3 gennaio
2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), non necessita di
titolo abilitativo.
Le disposizioni richiamate prevedono il regime della
comunicazione, assoggettandolo ad una disciplina del tutto analoga a
quella dettata dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, vale a dire,
la previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei
lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale e la
trasmissione di una relazione tecnica provvista di data certa e
corredata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di un
tecnico abilitato, il quale asseveri, sotto la propria
responsabilita’, che i lavori sono conformi agli strumenti
urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi
le vigenti norme non prevedono la formazione di un titolo
abilitativo.
Cio’ posto, si osserva che gli interventi contemplati dall’art.
17, comma 5, lettere a) e b), corrispondono a quelli gia’ previsti da
disposizioni statali.
In particolare, le "Linee guida" al paragrafo 12.3, lettera b),
assoggettano gli impianti alimentati da biomasse, gas di discarica
ecc., al regime della comunicazione laddove si tratti di interventi
che «non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche
delle destinazioni di uso, non riguardino parti strutturali
dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unita’
immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici» ed
inoltre abbiano «una capacita’ di generazione compatibile con il
regime di scambio sul posto».
Il paragrafo 12.7, lettera a), prevede le medesime condizioni per
gli impianti idroelettrici e geotermici.
L’art. 123 del d.P.R. n. 380 del 2001 al secondo periodo del
comma 1 stabilisce che gli interventi di utilizzo delle fonti di
energia rinnovabili in edifici ed impianti industriali non sono
soggetti ad autorizzazione specifica e sono assimilati alla
manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lettera a),
dello stesso decreto. Il paragrafo 11.7 delle "Linee guida" precisa
che tale disposizione deve intendersi riferita a «quegli interventi
in edifici ed impianti industriali esistenti in cui gli impianti
hanno una capacita’ di generazione compatibile con il regime di
scambio sul posto».
Tali tipi di interventi sono assoggettati dall’art. 6, comma 2,
lettera a), e comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 alla previa
comunicazione, sempre che «non riguardino le parti strutturali
dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unita’
immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici».
Dall’esame complessivo delle disposizioni richiamate, appare
chiaro come la disciplina dettata dall’art. 17, comma 5, lettere a) e
b), della legge reg. n. 39 del 2005 sia conforme alla normativa
statale concernente i medesimi impianti, laddove invece, l’art. 6 del
d.lgs. n. 28 del 2011, di cui lo Stato lamenta la violazione,
concerne interventi ulteriori e diversi rispetto a quelli in oggetto.
8.2.- La seconda tipologia di interventi disciplinata dall’art.
17 risulta dal combinato disposto delle lettere a) e c). Si tratta
dell’installazione degli impianti di produzione energetica realizzati
in edifici esistenti, sempre che non alterino i volumi e le
superfici, non comportino modifiche delle destinazioni d’uso, non
riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento
del numero delle unita’ immobiliari e non implichino incremento dei
parametri urbanistici, i quali producano calore che sia destinato
alla climatizzazione o alla produzione di acqua calda sanitaria
dell’edificio stesso. Anche tali interventi sono assoggettati al
medesimo regime semplificato visto sopra della comunicazione di cui
all’art. 80 della legge reg. n. 1 del 2005.
Il ricorrente sostiene che tale disposizione contrasterebbe con
l’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2011: a) in quanto
prevede la comunicazione senza tuttavia richiamare le condizioni
previste dalla legge statale; b) in quanto non specifica a quale
comunicazione essa faccia riferimento, se a quella di cui al d.P.R.
n. 380 del 2001, ovvero a quella del d.lgs. n. 115 del 2008. Inoltre
violerebbe l’art. 7, comma 5, perche’ consentirebbe la collocazione
di detti impianti anche oltre i casi previsti dalla normativa statale
(edifici e spazi liberi privati annessi).
Anche tali censure non sono fondate.
Innanzitutto si rileva che il richiamo all’art. 7, commi 1 e 2,
del d.lgs. n. 28 del 2011, e’ inconferente in quanto esso disciplina
interventi diversi da quelli contemplati dalla disposizione impugnata
e per i quali la legge regionale detta una disciplina uguale a quella
prevista dalla norma statale (cfr. art. 17, comma 3, lettera b, e
comma 6).
La norma impugnata, a differenza di quanto sostenuto dal
ricorrente, riproduce la disciplina statale risultante dal combinato
disposto dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 28 del 2011 e dell’art.
6, comma 2, lettera a), e comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001.
Essa, infatti, contempla impianti di produzione di energia
termica diversi da quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 7 del
d.lgs. n. 28 del 2011. Mentre tale ultima disposizione ha ad oggetto
gli impianti solari termici aderenti e integrati nei tetti di edifici
esistenti, ovvero posti su tali edifici, la disposizione impugnata fa
riferimento a impianti realizzati all’interno di edifici esistenti e
destinati alla produzione di acqua calda e aria per gli edifici
stessi. Essa, inoltre, richiede il rispetto dei parametri urbanistici
e degli altri requisiti previsti dall’art. 6, comma 2, lettera a),
dal d.P.R. n. 380 del 2001.
Non fondata e’ anche la censura relativa alla asserita mancata
specificazione di quale tipologia di comunicazione troverebbe
applicazione riguardo agli interventi in parola.
Infatti, come si e’ gia’ detto, la norma regionale richiama
l’art. 80, commi 2, lettera a), e 5, della legge reg. n. 1 del 2005
che prevede il medesimo regime di cui all’art. 6, comma 2, del d.P.R.
n. 380 del 2001.
9.- Il Presidente del Consiglio ha, infine, impugnato l’art. 17,
comma 11, della legge reg. n. 39 del 2005 come modificato dalla legge
reg. n. 69 del 2012.
Tale disposizione stabilisce che «Non necessitano di titolo
abilitativo, ai sensi della presente legge e della L.R. n. 1/2005, le
modifiche e manutenzioni degli impianti di cui agli articoli 11, 13,
15, 16, comma 3, e 16-bis, comma 4, esistenti o in corso di
realizzazione, salvo quanto previsto dall’articolo 16, comma 4 e
dall’articolo 16-bis, comma 5».
Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost. in quanto la disposizione impugnata contrasterebbe con il
principio fondamentale della materia «produzione trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia» dettato dall’art. 5, comma 3,
del d.lgs. n. 28 del 2011 il quale in via transitoria assoggetta alla
procedura abilitativa semplificata (PAS) le sole modifiche non
sostanziali e per i soli impianti esistenti, mentre per le modifiche
sostanziali, in attesa della adozione di apposito decreto
interministeriale, fa salvo il principio della identita’ di forma tra
il provvedimento abilitativo originario e la sua variante.
In particolare, l’art. 5, comma 3, richiamato stabilisce che «Con
decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
previa intesa con la Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati, per
ciascuna tipologia di impianto e di fonte, gli interventi di modifica
sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica,
fermo restando il rinnovo dell’autorizzazione unica in caso di
modifiche qualificate come sostanziali ai sensi del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Fino all’emanazione del decreto di
cui al periodo precedente non sono considerati sostanziali e sono
sottoposti alla disciplina di cui all’articolo 6 gli interventi da
realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici
esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano
variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della
volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli
impianti stessi, ne’ delle opere connesse. Restano ferme, laddove
previste, le procedure di verifica di assoggettabilita’ e valutazione
di impatto ambientale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152. Per gli impianti a biomassa, bioliquidi e biogas non sono
considerati sostanziali i rifacimenti parziali e quelli totali che
non modifichino la potenza termica installata e il combustibile
rinnovabile utilizzato».
La questione non e’ fondata nei termini di seguito specificati.
Il ricorrente sostiene che la norma regionale assoggetterebbe
tutte le modifiche impiantistiche, a prescindere dalla loro natura
sostanziale, al regime della libera attivita’, in contrasto con
quanto stabilito in via transitoria dall’art. 5, comma 3, del d.lgs.
n. 28 del 2011.
In realta’, l’art. 17, comma 11, stabilisce che non necessitano
di titolo abilitativo le manutenzioni e le modifiche di tutti gli
impianti esistenti che non rientrino tra quelle per cui e’ prevista
la PAS ai sensi dell’art. 16-bis, comma 5, o la SCIA, ai sensi
dell’art. 16, comma 4. Nulla prevede invece con riguardo alle
modifiche sostanziali.
La mancanza di un espresso richiamo a tale tipologia di
modificazioni non puo’ tuttavia essere interpretata nel senso che le
medesime siano senz’altro assoggettate al regime della libera
attivita’, tanto piu’ in presenza di una specifica disciplina per
tipologie di modifiche meno incisive, dettata dagli art. 16, comma 4,
e 16-bis, comma 5.
In realta’, le modifiche sostanziali devono ritenersi rientrare
nell’art. 13 della legge reg. n. 39 del 2005 il quale, nel
disciplinare l’autorizzazione per gli impianti di produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili, al comma 10 rinvia per quanto
da esso non disciplinato alle norme di cui al d.lgs. n. 28 del 2011.
Pertanto, la norma regionale impugnata deve essere interpretata
nel senso che essa sottopone al regime semplificato unicamente le
modifiche non sostanziali. Per quelle sostanziali, invece, in forza
del rinvio operato dall’art. 13 della legge reg., si applicano le
disposizioni contenute nell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del
2011.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 17 della
legge della Regione Toscana 3 dicembre 2012, n. 69 (Legge di
semplificazione dell’ordinamento regionale 2012);
2) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 37 della
legge reg. Toscana n. 69 del 2012 nella parte in cui modifica l’art.
17, comma 2, lettere a), b) ed f), della legge della Regione Toscana
24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia);
3) dichiara inammissibile la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 35 della legge reg. Toscana n. 69 del 2012,
promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimita’
costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge reg. Toscana n. 69
del 2012, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.,
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 37 della legge reg. Toscana n. 69 del 2012,
nella parte in cui modifica l’art. 17, commi 3, lettera a), 5,
lettere a), b) e c), e 11, della legge reg. Toscana n. 39 del 2005,
promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in
epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2014.

F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

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