Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 21-07-2011, n. 29199

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. L’1 ottobre 2010 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da R.D., tesa ad ottenere la sospensione dell’ordine di esecuzione emesso dalla locale Procura della Repubblica in relazione alla pena di due anni e cinque giorni di reclusione (costituente la pena residua, a seguito di applicazione dell’indulto) irrogata in relazione al delitto di rapina aggravata dal Tribunale di Milano con sentenza del 13 luglio 2004 (irrevocabile il 10 giugno 2009).

Il Tribunale riteneva ostativo all’accoglimento della domanda il disposto dell’art. 656 c.p.p., comma 9, atteso che il ricorrente era stato condannato per un reato ricompreso nell’elencazione contenuta nella L. n. 354 del 1975, art. 4-bis, essendo irrilevante sia l’intervenuta concessione delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata che l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, R.D., il quale deduce erronea applicazione della legge penale, in quanto, a seguito della concessione delle circostanze attenuanti generiche dichiarate prevalenti sulla contestata aggravante, non sussisteva la condizione preclusiva di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. A seguito della novella dell’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. c) ad opera della L. 5 dicembre 2005, n. 251, la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva – anche se costituente residuo di maggior pena – non superiore a tre anni di reclusione (o sei anni nei casi disciplinati dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, artt. 90 e 94 e successive modificazioni), contemplata dal quinto comma della medesima disposizione di legge, non può essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4-bis.

3. La lettura della norma prospettata dal ricorrente non è corretta, tenuto conto del dato testuale della disposizione dell’art. 656 c.p.p. e della sua interpretazione logico-sistematica.

L’art. 656 c.p.p., comma 1, che delinea l’oggetto e l’ambito di applicazione della norma, contiene un esplicito e univoco riferimento all’esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva e alle relative competenze del pubblico ministero, organo propulsivo dell’esecuzione. I commi successivi costituiscono l’ulteriore articolazione del principio generale contenuto nel primo comma, laddove dettano un’articolata disciplina modulata sull’entità della pena detentiva da espiare, sulle differenti modalità di esecuzione, finalizzate, tra l’altro, alla possibile applicazione di benefici penitenziari e delineano in maniera tassativa le preclusioni alla sospensione dell’esecuzione della pena, fondate sull’esclusivo riferimento alla concreta pena detentiva da eseguire e non certo alla configurazione normativa di un "tipo d’autore" (quale, nel caso di specie, il recidivo ex art. 99 c.p., comma 4) e a una scelta general- preventiva che si porrebbe in evidente contrasto con la finalità rieducativa della pena e vanificherebbe i principi di proporzione e di individualizzazione della stessa (Sez. Un. 30 maggio 2006, ric. Aloi).

In particolare, l’art. 656 c.p.p., comma 5 individua i presupposti generali per la sospensione dell’ordine di esecuzione di pene detentive brevi, funzionale alla formulazione della domanda di ammissione ad una misura alternativa, rinviando alle deroghe disciplinate dai successivi commi sette e nove (il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione).

Il comma 9 della medesima disposizione contiene, a sua volta, l’elencazione tassativa delle situazioni derogatrici al principio generale fissato dal precedente quinto comma, stabilendo, in particolare, alla lett. a) che la sospensione dell’esecuzione della pena non possa essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis ord. pen..

Il tenore letterale della disposizione in esame e il richiamo, quale condizione ostativa, alla intervenuta condanna per uno dei delitti indicati nell’art. 4-bis ord. pen. rende evidente che il legislatore, ai fini del diniego del beneficio, ha voluto attribuire rilievo esclusivo a tale profilo (Sez. 1, 2 aprile 2008, n. 16741; Sez. 1, 10 ottobre 2001, n. 45638; Sez. 2, 20 settembre 2001, n. 36764).

Pertanto il divieto di sospensione dell’esecuzione della pena opera anche quando la sentenza abbia ritenuto l’equivalenza o, come nel caso in esame, la prevalenza, sulla aggravante contestata, delle attenuanti generiche, atteso che il giudizio di comparazione rileva solo quoad poenam, ma non incide sugli elementi circostanziali, tipizzanti la condotta dell’agente.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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