Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 21-07-2011, n. 29198

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 7/10/2000 il Tribunale di sorveglianza di Milano rigettava l’istanza presentata da G.L., volta ad ottenere il differimento dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 146 c.p., n. 3.

Il Tribunale premetteva: che l’istante doveva espiare la pena residua di anni 18 e mesi 2 di reclusione di cui al provvedimento di cumulo immesso in data 13/11/2009 dalla Procura della Repubblica di Pesaro;

che detto provvedimento comprendeva l’esecuzione della sentenza di condanna alla pena di anni 30 di reclusione per omicidio volontario, commesso in Milano nel 1994, e per duplice tentato omicidio, commesso In Milano nel 1991, nonchè, la sentenza di condanna per i reati di ricettazione continuata e falsità materiale commessi nel 2005; che con ordinanza del 15/3/2005 il tribunale di sorveglianza di Milano aveva concesso al G. il differimento della esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare per mesi sei e che tale misura era stata revocata con ordinanza del 19/8/2005, atteso che il predetto nel luglio 2005 era evaso dal domicilio commettendo i reati di ricettazione falsità materiale di cui si è detto; con successiva ordinanza del 14/12/2006 il G. otteneva il differimento dell’esecuzione della pena per un anno più volte prorogato; che nell’ottobre 2009 veniva tratto in arresto in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Milano in relazione alla partecipazione ad un’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, commessa tra il 2005 e il 2006; che successivamente, in data 31/3/2010, la predetta misura cautelare veniva sostituita con quella degli arresti domiciliari in considerazione dell’assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e degli esiti della perizia che evidenziava un aggravamento delle condizioni di salute del detenuto dovute ad un’ulteriore decadimento della situazione immunologica; che l’istanza di differimento dell’esecuzione era stata respinta dal magistrato di sorveglianza con provvedimento del 22/6/2010 in quanto dalla relazione sanitaria del carcere emergeva che il detenuto si trovava in condizioni generali discrete, che la terapia antiretrovirale risultava ben tollerata e che la verifica della immunodepressione non era stata effettuata secondo i criteri previsti dalla legge.

Tanto premesso, il tribunale evidenziava che la relazione sanitaria aggiornata al 2 settembre 2010 del carcere di Milano Opera dava atto della sussistenza di attuale infezione da HIV stadio C3 per polmonite interstiziale e di una severa immunodepressione con linfociti sotto la soglia di 200 e che, comunque, vi è una buona risposta la terapia. Rilevava, inoltre, che la consulenza tecnica della difesa riferiva l’attuale sintomatologia di calo ponderale di cinque chili di un mese, di sudorazione notturna e di febbricola, concludendolo per la diagnosi di AIDS conclamata con linfociti inferiori a 200 e il rischio di contrarre malattie infette linee dell’ambiente promiscuo del carcere, potenzialmente a rischio di decesso.

Alla luce di quanto acquisito agli atti, il tribunale riteneva, quindi, che poteva individuarsi un miglioramento delle condizioni del G. rispetto a quanto valutato in occasione della precedente ordinanza, allorchè il virus risultava resistente ai farmad disponibili in commercio e, pertanto, si rendeva necessario ricorrere a nuovi farmaci non ancora in commercio, disponibili presso centri di malattie infettive e, quindi da somministrare in ambiente esterno al carcere.

Riteneva quindi, il tribunale che alla luce dell’interpretazione dell’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, esplicitata dal giudice delle leggi con la sentenza n. 264 del 2009 – secondo la quale la predetta norma non impone un’applicazione automatica del differimento obbligatorio della pena in presenza dei parametri per la sussistenza di AIDS, dovendosi necessariamente verificare caso per caso la compatibilita delle condizioni di salute del soggetto con la detenzione – nel caso di specie, il G. non si trova in uno stadio della malattia così avanzato da non rispondere alle terapie praticate che, anzi, si sono rivelate utili come documentato dalla relazione aggiornata in data 2/9/2010.

Pertanto, le esigenze di cura del condannato possono efficacemente essere soddisfatte in carcere, anche con l’eventuale ricovero ex art. 11 Ord. Pen. se necessario, mentre il rischio di contrazione di infezioni potrà essere più efficacemente controllato mediante ricovero presso il reparto malattie infettive del carcere.

Concludeva, quindi, il Tribunale ritenendo non necessario, allo stato, il differimento obbligatorio della pena ai sensi dell’art. 146 cod. pen., neppure nelle forme della detenzione domiciliare, misura che si è rivelata inidonea in rapporto alla elevata ed attuale pericolosità sociale manifestata dal G. il quale, non soltanto ha commesso reati durante il periodo in cui si era sottratto l’esecuzione della pena, bensì anche in epoca recente essendo stato denunciato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale nell’aprile 2008 e segnalato per la violazione amministrativa quale assuntore di sostanza stupefacente.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, il G., il quale denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento all’art. 146 c.p., comma 1, n. 3.

In particolare, ad avviso del ricorrente il Tribunale di sorveglianza di Milano avrebbe travisato il contenuto degli atti di acquisiti. La stessa relazione resa dal carcere di Opera in data 2 settembre 2010 afferma che in occasione degli esami effettuati 24 maggio 2010 il nuovo test mostrava sensibilità HIV a tutte le classi di farmaci evento che in genere può essere osservato in pazienti in terapia antiretrovirale efficace o in pazienti che non assumono terapia antiretrovirale.

D’altro canto, il consulente della difesa ha evidenziato la sostanziale Inefficacia del trattamento farmacologico nel incrementare le competenze immunitarie. Le affermazioni del tribunale in ordine allo stato delle condizioni di salute dell’istante, ritenute non particolarmente gravi, è contraddetto dalla circostanza che il G. ha riportato, a seguito delle verifiche dei valori linfocitari effettuate rispettando i parametri temporali di legge, valori che si corrono stabilmente sotto la soglia dei 200 mmc. Il travisamento dei fatti è ulteriormente dimostrato alla luce dell’esito della perizia di ufficio disposta dal gip ai fini dell’applicazione della misura cautelare. Invero, il medico legale ha concluso per l’incompatibilità con il regime carcerario determinando la concessione della misura degli arresti domiciliari da parte del giudice.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione ed erronea interpretazione dell’art. 146 cod. pen., nonchè, il vizio di motivazione con riferimento alla valutazione dell’attuale pericolosità sociale dell’istante.

Si censura, in specie, il percorso motivazionale dell’ordinanza impugnata laddove viene valutata la sperimentata inidoneità della misura della detenzione domiciliare in rapporto alla pericolosità sociale attuale manifestata dal condannato, tanto sotto il profilo della necessità di un contemperamento fra valori contrapposti, – secondo l’insegnamento della Corte di legittimità in materia di applicazione dell’art. 147 cod. pen. – tanto ha avuto riguardo alla pericolosità sociale ritenuta sulla base di un dato squisitamente formale, senza una compiuta valutazione in concreto di elementi di fatto volti a dimostrare detta pericolosità.

Con nota trasmessa il 30 maggio 2011 il ricorrente ha proposto motivi aggiunti evidenziando come le condizioni di salute si siano ulteriormente aggravate, di tal che appare ancora più attuale la fondatezza del gravame; sul punto richiama il contenuto della relazione redatta dai consulenti di parte in data 4 maggio 2011 (allegata).

Alla luce della predetta condizione di salute ulteriormente aggravata viene ribadita la censura in ordine alla assenza di motivazione ha avuto riguardo alla pericolosità sociale del ricorrente ed alla comparazione tra il diritto alla salute e le esigenze di tutela della collettività.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Va preliminarmente ricordato che il differimento della pena, secondo la disciplina di cui agli artt. 146 e 147 cod. pen., può essere provvedimento necessitato ovvero facoltativo a seconda della sussistenza di determinati presupposti.

Nel caso in esame il Tribunale di sorveglianza ha rigettato l’istanza ai sensi dell’art. 146 c.p., comma 1, n. 3 in considerazione delle risultanze diagnostiche alla luce delle quali, pur in presenza di patologia AIDS conclamata, non risultava esclusa la rispondenza dell’interessato ai trattamenti ed alle terapie disponibili, nonchè, sul rilievo della pericolosità sociale, manifestata anche nel corso della detenzione domiciliare precedentemente concessa.

Ciò posto osserva la Corte che l’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, stabilisce l’obbligatorio rinvio dell’esecuzione della pena nella ipotesi in cui essa deve aver luogo nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertata ai sensi dell’art. 286-bis c.p.p., comma 2.

Tale regola è stata interpretata costantemente da questa Corte nel senso che, ai fini del rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, nel caso previsto dall’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, non basta che il condannato sia affetto da sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) conclamata o da grave deficienza Immunitaria, ma occorre che sussista anche l’ulteriore condizione che la malattia sia giunta ad una fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative (Sez. 1, n. 41580, 01/10/2009, Cesarini, rv. 245054; Sez. 1, n. 42276, 27/10/2010, Gradizzi, rv. 249019).

In tale ipotesi, quindi, non è richiesta affatto dalla legge una valutazione di compatibilità o meno della patologia descritta con lo stato di detenzione, come del resto si evince anche dalla stessa norma nell’altra ipotesi tipizzata che contempla "altra malattia particolarmente grave", ed esige, invece, la necessità di valutarne la compatibilità carceraria intramuraria.

Peraltro, nei casi di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena non viene mai in considerazione la pericolosità sociale del detenuto come requisito negativo per l’applicazione della disciplina di favore, tutelando quest’ultima beni non comprimibili in assoluto per disposto costituzionale, come il diritto alla salute, il diritto alla vita, il divieto di trattamenti detentivi contrari al senso di umanità.

Nella fattispecie in esame ritiene la Corte che il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei ribaditi principi, per un verso richiamando il requisito decisivo per l’applicazione della norma invocata, lo stato cioè di conclamata affezione da AIDS, accertata ai sensi dell’art. 286-bis c.p.p., comma 2, nei termini di cui alla lezione ermeneutica di questa Corte innanzi evocata e, per altro verso, proprio perchè accertata l’insussistenza delle condizioni di legge per l’applicazione della disciplina di favore di cui all’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, utilizzando l’argomento, al di fuori di questo caso consentito dalla legge, della pericolosità sociale dell’istante, non ricorrendo, come detto, una ipotesi di rinvio obbligatorio della esecuzione della pena.

La valutazione della situazione clinica del G. operata, all’evidenza, allo stato degli elementi acquisiti non consente in questa sede di prendere in esame circostanze di fatto ulteriori, quali quella allegate ai motivi nuovi, che potranno formare oggetto di nuova valutazione di merito.

Per queste ragioni, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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