T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento Sez. Unica, Sent., 27-07-2011, n. 204 Annullamento dell’atto in sede giurisdizionale Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 1 giugno 2005 il Comune di Lavis ha rilasciato alla Società ricorrente la concessione edilizia n. 103 che ha autorizzato la demolizione dell’edificio esistente – già identificato con la p.ed. 1202, ed ora p.ed. 2152, sito in via Rosmini n. 30 sull’angolo con via Brigà – e la realizzazione di un nuovo fabbricato ad uso residenziale bifamiliare, con autorimessa. Il titolo è stato rilasciato "condizionatamente" al rispetto della seguente prescrizione: "la fascia di terreno posto sul lato ovest del lotto, all’esterno della recinzione, necessaria al raggiungimento della larghezza di m. 5,00 della viabilità esistente, dovrà essere lasciata libera al transito".

2. Il 9 febbraio 2009 la ricorrente ha presentato una domanda per il rilascio di un provvedimento in sanatoria per una serie di opere eseguite in difformità rispetto alla predetta concessione n. 103 del 2005 ed alle successive varianti, quali alcune modifiche alla distribuzione interna delle unità abitative, la mancata ultimazione di alcuni lavori e le "sistemazioni esterne".

Con nota del 20.4.2009 l’Amministrazione comunale ha comunicato alla ricorrente che la Commissione edilizia, sentita nella seduta del 25 febbraio, aveva accolto la richiesta solo in parte, in quanto, per ciò che riguardava la sistemazione esterna dell’edificio ed in particolare il mancato allargamento di via Brigà, l’aveva denegata, accertando la non conformità con la prescrizione contenuta nella concessione edilizia. Richiamando il parere espresso dalla Commissione edilizia, con ordinanza sindacale n. 61 del 15 aprile 2009 l’Amministrazione ha notificato l’ordine di provvedere all’esecuzione dei lavori come erano stati prescritti al momento del rilascio della concessione n. 103/2005.

3. Con ricorso notificato in data 19 giugno 2009 Co.v.edil ha impugnato i due provvedimenti, esattamente citati ai n. 1) e n. 2) in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I – "violazione e falsa applicazione dell’art. 129 della l.p. 5.9.1991, n. 22; eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti e travisamento dei fatti; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; violazione della l. 7.8.1990, n. 241 e della l.p. 30.11.1992, n. 23; violazione dell’art. 843 c.c.". La ricorrente assume innanzitutto che la prescrizione contenuta nella concessione del 2005 sarebbe illegittima perché imporrebbe al proprietario la cessione di una parte del suo terreno a favore delle proprietà limitrofe; inoltre, detta prescrizione non sarebbe giustificata da alcuna norma urbanistica, in quanto l’art. 130 del regolamento edilizio, sulla larghezza minima delle strade private, non sarebbe applicabile alle strade esistenti;

II – "violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 nonché dell’art. 27 bis della l.p. n. 23 del 1992; violazione dell’art. 6 della CEDU": non sarebbero stati comunicati i motivi ostativi all’accoglimento della domanda di sanatoria;

III – "violazione dell’art. 122 della l.p. n. 22 del 1991; violazione del principio dell’esatta specificazione dei poteri sanzionatori; eccesso di potere per violazione dei principi di legalità e di buona amministrazione, per contraddittorietà, perplessità e illogicità, per indeterminatezza dell’oggetto": non sarebbe stata esattamente qualificata la tipologia dell’abuso contestato.

La ricorrente ha altresì chiesto, in via cautelare, la sospensione dei provvedimenti impugnati.

4. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, eccependo in rito e chiedendo la reiezione nel merito del ricorso.

5. Con ordinanza n. 67, adottata nella camera di consiglio del 23 luglio 2009, la domanda cautelare è stata respinta.

6. Con provvedimento a firma del Sindaco datato 29.12.2009, prot. n. 19090, adottato a seguito del sopralluogo effettuato in data 14 dicembre, che aveva riscontrato la mancata ottemperanza alla precedente ordinanza n. 61, l’Amministrazione di Lavis ha comunicato alla ricorrente che avrebbe ordinato la rimessa in pristino a spese dei responsabili dell’abuso.

7. Con un primo ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 16 – 19 febbraio 2010, la stessa Co.v.edil ha impugnato anche detto provvedimento, esattamente citato al n. 3) in epigrafe, deducendo i seguenti, nuovi e ulteriori motivi:

IV – "illegittimità derivata per le illegittimità dedotte con il ricorso principale";

V – "violazione dell’art. 122 della l.p. n. 22 del 1991; eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti, per difetto di istruttoria e di motivazione; violazione degli artt. 2 e 3 della l. n. 241 del 1990 e degli artt. 2 e 4 della l.p. n. 23 del 1992; violazione del principio costituzionale di buona amministrazione", perché l’Amministrazione non avrebbe qualificato il contestato abuso e non avrebbe altresì verificato la sussistenza dei presupposti per applicare una sanzione pecuniaria.

Anche per questa impugnativa, con istanza depositata presso la Segreteria del Tribunale in data 24.5.2010, la ricorrente ha chiesto l’adozione di un provvedimento cautelare.

8. Con ordinanza n. 61, adottata nella camera di consiglio dell’11 giugno 2010, la domanda cautelare è stata accolta.

9. Sentita la Commissione edilizia comunale in data 24.11.2010, con ordinanza n. 193, datata 21.12.2010, l’Amministrazione comunale ha nuovamente ingiunto alla ricorrente di provvedere all’esecuzione dei lavori in ottemperanza alla menzionata prescrizione, avvertendo che, in difetto, avrebbe ordinato la rimessa in pristino a spese dei responsabili dell’abuso.

10. Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 18 febbraio 2011, Co.v.edil ha impugnato anche detto provvedimento, esattamente citato al n. 4) in epigrafe, deducendo i seguenti, nuovi e ulteriori motivi:

VI – "illegittimità derivata per le illegittimità dedotte con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti";

VII – "eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti, per difetto di istruttoria e di motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 129 della l.p. 4.3.2008, n. 1, dell’art. 61 del regolamento edilizio comunale, degli artt. 2 e 4 della l.p. n. 23 del 1992; violazione del principio costituzionale di buona amministrazione; eccesso di potere per carenza di potere", atteso che l’opera asseritamente abusiva non contrasterebbe con rilevanti interessi urbanistici e che la sua demolizione pregiudicherebbe l’accesso al garage sotterraneo; inoltre, si deduce violazione del principio ne bis in idem in quanto il Comune, emanando la precedente ordinanza n. 61 del 2009, avrebbe esaurito il proprio potere sanzionatorio.

11. In vista dell’udienza di merito le parti costituite hanno depositato ulteriore documentazione e memorie conclusionali.

12. Alla pubblica udienza del 14 luglio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1a. Preliminarmente, occorre dichiarare l’improcedibilità del ricorso introduttivo, siccome proposto avverso l’originaria ordinanza n. 61 del 2009, con la quale il Comune aveva ingiunto di provvedere all’esecuzione dei lavori in ottemperanza della prescrizione indicata nella concessione edilizia n. 103/2005, provvedimento ormai definitivamente superato dalla successiva ordinanza n. 193 del 2010, assunta dall’Amministrazione a seguito del riesame della vicenda.

L’Amministrazione, sulla scorta di una rinnovata istruttoria e sulla base di una nuova motivazione, ha dimostrato di voler confermare la volizione già espressa nel precedente provvedimento, in tal modo adottando un successivo provvedimento non avente natura di atto meramente confermativo ma di nuova determinazione seppure ad effetti confermativi, che rende improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse processuale, il ricorso avverso il provvedimento sostituito in pendenza del giudizio.

Infatti, il provvedimento ad effetti confermativi, anche se frutto di un riesame indotto dall’ordinanza cautelare n. 61 del 2010 di questo Tribunale, riflette una nuova valutazione dell’Amministrazione ed implica il definitivo superamento di quelle poste a base del provvedimento "confermato", rispetto alla cui impugnazione la ricorrente non ha più interesse per difetto di utilità di una pronuncia di accoglimento.

1b. Alla luce di dette argomentazioni, si rivelano palesemente infondate le argomentazioni della difesa della ricorrente contenute nelle ultime memorie e volte a sostenere che l’Amministrazione non avrebbe potuto emanare una nuova ingiunzione di rimessa in pristino avendo esaurito il potere sanzionatorio.

All’opposto, anche in pendenza di un ricorso giurisdizionale non esiste alcun divieto per l’Amministrazione di rivedere ed eventualmente di confermare il provvedimento impugnato, sussistendo soltanto la necessità che ciò non costituisca espressione di una volontà elusiva della tutela giurisdizionale, fattispecie questa non attinente al caso in esame atteso che la nuova ordinanza di ripristino ha recepito le osservazioni che il Tribunale, in sede cautelare, aveva ritenuto di formulare.

1c. Per le stesse argomentazioni è divenuto improcedibile anche il primo ricorso per motivi aggiunti, con cui è stata impugnata la nota comunale datata 29.12.2009, con la quale, constatata la mancata ottemperanza all’ordinanza n. 61, l’Amministrazione aveva comunicato che il Comune avrebbe provveduto alla rimessa in pristino a spese dei responsabili dell’abuso.

Infatti, anche tale nota è stata superata dal provvedimento di conferma di cui all’ultima ordinanza n. 193 del 2010 che, come già visto, nella vicenda di causa costituisce la nuova e conclusiva delibazione dell’Amministrazione.

1d. In definitiva, le impugnazioni dell’ordinanza n. 61 del 15.4.2009 e del successivo atto prot. n. 19090, datato 29.12.2009, devono essere dichiarate improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.

2a. Il ricorso introduttivo è anche rivolto contro il provvedimento datato 20 aprile 2009 con il quale il Comune di Lavis ha comunicato alla ricorrente che la Commissione edilizia aveva accolto la sua istanza di sanatoria con la sola eccezione dell’omessa esecuzione delle opere per l’allargamento di via Brigà, come era stato puntualmente prescritto in sede di rilascio della concessione edilizia del 2005.

In proposito, la deducente lamenta sia la mancata ricezione della comunicazione con l’indicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria, sia carenza di motivazione.

2b. Dette argomentazioni non possono essere condivise.

Se la nota datata 20 aprile 2009, obiettivamente, appare carente di motivazione, e pur rispondendo al vero che la sua adozione non è stata preceduta dall’invio della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento di quella parte dell’istanza di sanatoria, come previsto dall’art. 27 bis della l.p. 30.11.1992, n. 23, è altrettanto vero che l’atto di diniego in esame ha concluso un’istruttoria iniziata ancora in data 11.9.2007, quando il tecnico della ricorrente, geom. Viola, aveva chiesto al Comune di Lavis la "riduzione della prescrizione relativa all’allargamento della strada". In quell’occasione la Commissione edilizia, in data 22.10.2007, aveva riscontrato negativamente la richiesta e, successivamente, con la lettera di data 10.11.2008, il Sindaco aveva ribadito all’interessata la necessità che la prescrizione concernente l’allargamento della strada d’accesso venisse rispettata "per ragioni di sicurezza e per conformare la nuova edificazione all’obbligatoria larghezza di mt. 5,00 per la viabilità d’accesso". Ciononostante, C. ha presentato la formale domanda di rilascio di un provvedimento in sanatoria, conclusosi dunque con l’impugnata nota del 20.4.2009.

Contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, il diniego di rilascio di un titolo in sanatoria per il mancato allargamento della sede stradale ha dunque avuto come parametro di riferimento non tanto il contrasto fra l’opera realizzata ed il progetto approvato (atteso che ciascuna istanza di sanatoria trova la sua ragione proprio in detta difformità), bensì l’art. 130 del R.E.C. con il quale l’intervento edilizio realizzato contrasta.

2c. Di conseguenza, nel caso all’esame deve essere fatta applicazione dell’art. 21 octies, comma 2, primo periodo, della legge 7.8.1990, n. 241, non potendo essere annullati per vizi esclusivamente formaliprocedimentali quei provvedimenti che non avrebbero potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato: se non a pena di violazione dei principi di economicità, celerità ed efficacia del procedimento (cfr., T.R.G.A. Trento, 26.1.2011, n. 10; 24.2.2010, n. 60; cfr., anche, C.d.S., sez. V, 7.9.2009, n. 5235; sez. IV, 13.3.2008; sez. IV, 10.10.2007, n. 5314).

2d. Nel caso de quo è dunque palmare che la contestata mancata applicazione dell’istituto di partecipazione di cui all’art. 27 bis della l.p. n. 23 del 1992, così come la non riportata motivazione nell’atto finale, non sono di per sé rilevanti in quanto alcun diverso elemento, capace di modificare la conclusione del relativo procedimento, avrebbe potuto essere in quella sede dedotto a cura della ricorrente.

Questa parte del ricorso introduttivo va, perciò, respinta.

3a. Il Collegio deve ora esaminare il secondo ricorso per motivi aggiunti, che ha per oggetto l’ordinanza di rimessa in pristino n. 193 del 21.12.2010.

Le argomentazioni della ricorrente sono principalmente rivolte avverso la prescrizione contenuta nella più volte ricordata concessione edilizia n. 103 rilasciata nell’anno 2005 e che, come già visto nella parte in fatto, aveva autorizzato l’intervento edilizio "condizionatamente" al rispetto della già ricordata prescrizione relativa alla "larghezza di m. 5,00 della viabilità esistente".

L’interessata assume che detta prescrizione sarebbe illegittima e che non sarebbe giustificata da alcuna norma urbanistica.

3b. In linea generale, occorre rammentare che la giurisprudenza amministrativa – sempre in ossequio ai principi di celerità, economicità ed efficacia del procedimento amministrativo – ha da tempo ammesso l’istituto del titolo concessorio condizionato (cfr., C.d.S., sez. V, 17.7.2004, n. 5127; sez. IV, 6.10.2010, n. 7344), con la precisazione che l’apposizione di una condizione è legittima quando incide su aspetti legati alla realizzazione dell’intervento costruttivo, sia da un punto di vista tecnico che strutturale, e se ciò trova un fondamento, diretto o indiretto, in una norma di legge o regolamento (cfr., T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 10.9.2010, 5655).

Non è invece ammessa la possibilità di apporre condizioni al titolo abilitativo estranee alla fase di realizzazione dell’intervento edilizio (cfr., T.A.R. Abruzzo, 8.2.2007, n. 153).

In proposito, è stato anche condivisibilmente osservato:

– che in base al principio di buona amministrazione, quando un progetto edilizio presenta elementi ostativi alla sua approvazione di modesta rilevanza e tali da poter essere individuati e corretti o attraverso la modifica del progetto o il meccanismo della concessione condizionata, il sindaco non deve negare il titolo richiesto ma deve invitare l’interessato a modificare il progetto o rilasciare la concessione sub condicione, "in tal modo tutelando sia l’interesse pubblico al pieno rispetto della normativa urbanistica, sia l’interesse privato alla rapidità ed efficienza della pubblica amministrazione" (cfr., TAR Sicilia, Catania, sez. I, 25.10.2006, n. 1960);

– che, "se alla semplice alternativa approvare/non approvare si aggiunge, infatti, anche la possibilità di approvare con prescrizioni, si ampliano i poteri conformativi dell’Amministrazione che ha la possibilità in questo modo di modellare meglio la propria decisione alle particolarità del caso di specie" (cfr., T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 17.6.2010, n. 232);

– che la violazione delle prescrizioni ha l’effetto di privare di titolo ciò che è stato realizzato sulla base del provvedimento cui era apposta la condizione non rispettata (cfr., T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 2.11.2010, n. 4520).

3c. Alla luce dei suddetti principi, il Collegio non può non osservare che le censure in esame, prima che infondate, sarebbero inammissibili per evidente tardività, atteso che la riportata prescrizione, come sopra rilevato più volte, era stata apposta al titolo concessionario rilasciato in data 1 giugno 2005 e che è rimasta inoppugnata.

In ogni caso, la prescrizione imposta dal Comune di Lavis appare palesemente volta a dare attuazione a quanto prescritto in materia di larghezza delle strade private dall’art. 130, comma 7, del regolamento edilizio (attuale art. 104 del nuovo regolamento approvato il 29.3.2010), che stabilisce una larghezza non inferiore a metri cinque. In tal senso, in sede di nuova edificazione, anche a seguito della demolizione di una precedente struttura, l’Amministrazione può perseguire l’obiettivo di assicurare alle strade private la prescritta larghezza minima. A maggior ragione nel caso de quo, posto che il raggiungimento della larghezza di cinque metri è stata imposto non su tutto il lato della proprietà che confina con via Brigà (più di 30 metri), ma solamente sul tratto terminale (più precisamente, "sino al cancello"), ossia nei soli pressi dell’incrocio con la Via pubblica, ove la pericolosità dell’accesso, a causa della limitata visibilità dell’incrocio, rende imperativa la tutela della pubblica incolumità.

In definitiva, l’ordinanza n. 193/2010 che ingiunge l’esecuzione dei lavori nel rispetto della vista prescrizione è retta da un dato di fatto pacifico e comprovato dai documenti versati in atti: la non conformità dell’opera realizzata con il titolo abilitativo rilasciato nel 2005.

Detto presupposto è sufficiente a sorreggere l’impianto del provvedimento, che costituisce un atto dovuto in presenza di opere realizzate in difformità dal titolo abilitativo ai sensi dell’art. 129 della l.p. 4.3.2008, n. 1 (cfr., T.R.G.A. Trento, 5.10.2010, n. 189; 7.1.2010, n. 4).

4a. Da ultimo, si deve constatare che l’Amministrazione, dopo aver qualificato l’abuso in esame come "difformità parziale", ha posto in essere la procedura prescritta dal comma 6 dell’art. 129 della legge urbanistica provinciale n. 1 del 2008 che recita: "per le opere eseguite in difformità parziale il comune ordina la demolizione a spese dei responsabili dell’abuso oppure, se esse non contrastano con rilevanti interessi urbanistici e comunque quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il pagamento di una sanzione determinata in misura pari al valore delle parti eseguite in difformità".

La Commissione edilizia, appositamente interpellata in merito dopo l’effettuazione di un sopralluogo, ha ribadito la pericolosità dell’accesso, sia veicolare che pedonale, da via Rosmini con l’incrocio con via Brigà, come la pericolosità dell’immissione di veicoli e del passaggio di persone dalla via Brigà alla via Rosmini, "data la limitata visibilità prodotta dal muro di recinzione della p.ed. 2152, lato ovest", con ciò concludendo che l’abuso contrasta con "rilevanti interessi urbanistici in relazione al venir meno di essenziali parametri di sicurezza stradali – ambientali". Ha poi accertato che l’arretramento del muro di confine, dall’incrocio "sino al cancello", non pregiudica la parte dell’edificio (conforme alla concessione) che continua a godere del cortile pertinenziale e dei parcheggi interni.

Sulla base di detti presupposti, l’Amministrazione ha quindi avvertito la società ricorrente che, scaduto il termine di novanta giorni assegnato per provvedere al ripristino, avrebbe ordinato la demolizione a spese dei responsabili dell’abuso.

4b. Con l’ultimo mezzo del secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente contesta dette risultanze, assumendo che non sussisterebbe l’asserito contrasto con rilevanti interessi urbanistici; che alla limitata visibilità si potrebbe ovviare con il posizionamento di specchi parabolici, che l’allargamento riguarda una parte limitata della strada la quale sarebbe quindi caratterizzata da dimensioni disomogenee; che l’abbattimento del muro pregiudicherebbe il regolare accesso al garage sotterraneo.

Le riportate deduzioni sono infondate, oltre che semplicistiche.

In disparte la non sostituibilità degli apprezzamenti di merito, non palesemente illogici od inverosimili, della P. A. con valutazioni opinabili dell’interessato, resta comunque assodato che non abbisogna di alcuna soverchia dimostrazione il fatto che una congrua larghezza della carreggiata stradale assolve alle esigenze della sicurezza, complessivamente intesa, in misura maggiore rispetto all’apposizione di uno specchio parabolico.

Infine, quanto al fatto che la demolizione del muro pregiudicherebbe l’accesso al garage sotterraneo situato sul lato frontistante via Brigà, il Collegio rileva che quell’ingresso è stato previsto ab initio su quel lato, quindi progettato come fruibile anche con l’edificazione arretrata del muro che si trova oltre il cancello. Inoltre, come ha precisato il Comune, dall’esame delle tavole di progetto che la ricorrente aveva allegato alla domanda di sanatoria si evince che la rampa del garage è sita ben oltre il cancello e che, in definitiva, l’ingresso all’autorimessa sotterranea non riguarda l’area oggetto della sanzione (cfr., tavola stato di raffronto, doc. n. 10 ter in atti dell’Amministrazione).

5. In definitiva, per quanto sopra esposto, il ricorso deve essere in parte dichiarato improcedibile e, per altra parte, respinto.

Le spese, come di regola, seguono la soccombenza nella misura liquidata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica)

definitivamente pronunciando sul ricorso n. 123 del 2009, lo dichiara in parte improcedibile e, per altra parte, lo respinge.

Condanna C. S.r.l. al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 3.000,00 (tremila), (di cui Euro 2.500,00 per onorari ed Euro 500,00 per diritti), oltre a I.V.A. e C.N.P.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari e dei diritti a titolo di spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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