T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento Sez. Unica, Sent., 27-07-2011, n. 203 Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo Forma dell’atto Nullità e inesistenza dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso notificato in data 13 novembre 2010 il sig. H.B., cittadino marocchino nato nel 1977, ha impugnato il provvedimento del Direttore del Servizio lavoro della Provincia autonoma di Trento datato 10 agosto 2010, esattamente citato in epigrafe, con il quale è stata respinta l’istanza di emersione dal lavoro irregolare che, quale datore di lavoro, aveva presentato nel mese di settembre 2009 in favore del sig. N.E.A., lavoratore dipendente, nato nel 1973 ed anche lui di nazionalità marocchina.

Ad avviso del ricorrente sarebbero nulli gli atti della procedura di audizione delle parti, nel corso della quale non sarebbe stato garantito al lavoratore il diritto alla comprensione delle domande a lui rivolte dai funzionari dell’Ufficio. Di conseguenza, il provvedimento impugnato sarebbe annullabile ai sensi dell’art. 21 octies della legge 7.8.1990, n. 241.

Con il ricorso è stata presentata istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato.

2. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione statale intimata, deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo essa estranea alla materia del contendere.

3. Si è costituita in giudizio anche l’Amministrazione provinciale per chiedere che il ricorso sia respinto, in quanto infondato nel merito.

4. Con ordinanza n. 158, adottata nella camera di consiglio di data 9 dicembre 2010, la domanda cautelare è stata respinta.

5. Alla pubblica udienza del 14 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

6. Il ricorso è privo di pregio giuridico.

7a. Innanzitutto, occorre rammentare che il comma 1 dell’art. 1 ter del D.L. 1.7.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 3.8.2009, n. 102, stabilisce che "le disposizioni del presente articolo si applicano ai datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero ai datori di lavoro extracomunitari… che alla data del 30 giugno 2009 occupavano irregolarmente alle proprie dipendenze, da almeno tre mesi, lavoratori italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero lavoratori extracomunitari, comunque presenti nel territorio nazionale, e continuano ad occuparli alla data di presentazione della dichiarazione di cui al comma 2 (dal 1° al 30 settembre 2009), adibendoli: a) ad attività di assistenza per se stesso o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza; b) ovvero al lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare".

Il comma 7 dello stesso art. 1 ter affida la verifica della condizione oggettiva, ossia "l’ammissibilità della dichiarazione di emersione", allo sportello unico dell’immigrazione, il quale deve acquisire il parere della competente Questura sull’insussistenza dei motivi ostativi, quindi sulle condizioni soggettive per la regolarizzazione.

7b. Nel territorio trentino le funzioni di sportello unico per l’immigrazione sono svolte dalla Provincia, in forza del protocollo d’intesa sottoscritto con lo Stato in data 6.3.2007, nel quale sono state espressamente definite le modalità di collaborazione per l’esercizio da parte della Provincia delle funzioni amministrative in materia di lavoro attribuite allo sportello unico per l’immigrazione dagli articoli 22, 24 e 27 del D.lgs. 25.7.1998, n. 286, e dall’art. 40 del regolamento di attuazione.

Con lo stesso protocollo è stato altresì previsto che, nelle more dell’approvazione delle apposite norme di attuazione dello Statuto d’autonomia, dette funzioni siano esercitate dagli uffici provinciali.

7c. Presupposto oggettivo per l’ammissibilità della dichiarazione di emersione è, dunque, la sussistenza di un rapporto di lavoro in essere per il periodo minimo richiesto: ossia dal 1° aprile 2009 alla data di presentazione della dichiarazione (da formalizzarsi entro il 30 settembre 2009). Da ciò consegue che, per verificare l’ammissibilità della domanda occorre accertare, in fatto, l’effettività di un rapporto di lavoro con una precisa collocazione temporale, condizione per la successiva stipulazione del contratto di soggiorno.

Ciò significa, in diversi termini, che è precluso l’accoglimento dell’istanza di emersione e conseguentemente la regolarizzazione dell’eventuale beneficiario quando l’assunta attività di rilievo sociale prestata presso il declinato datore di lavoro risulta priva delle condizioni di oggettiva sussistenza.

7d. Applicando la riportata disciplina al caso sottoposto all’esame del Collegio, emerge con evidenza che l’Amministrazione provinciale ha respinto l’istanza di emersione perché il lavoratore risulta in possesso di un passaporto emesso in data 29.1.2010; perché solo da tale data è stata provata la sua presenza in Italia; perché, in definitiva, non ha fornito alcuna prova della sussistenza di un rapporto di lavoro durante la sua eventuale, precedente presenza irregolare nel territorio italiano.

Il Collegio rileva altresì che non solo in occasione dell’istruttoria procedimentale eseguita dall’Amministrazione provinciale ma nemmeno in sede di giudizio è stata concretamente dimostrata l’esistenza di un rapporto di lavoro tra il sig. E.A., lavoratore, ed il ricorrente, potenziale datore di lavoro.

Il che preclude, in fatto, l’accoglimento del ricorso, atteso che:

– la procedura in esame è rivolta alla modifica della condizione giuridica (di soggiorno) dello straniero ed è chiaramente connessa con l’effettiva esistenza di uno specifico, risalente, rapporto di lavoro;

– sotto diverso ma correlato profilo, non possono assumere alcuna rilevanza le diverse dichiarazioni successivamente rese sia dagli interessati che da altri soggetti interpellati per la difesa del ricorrente, atteso che, da un lato le dichiarazioni sulla sussistenza dei nominati requisiti devono essere rese e valutate nel procedimento e, per altro lato, che dette dichiarazioni allegate di soggetti terzi si limitano ad attestare la presenza irregolare in Italia del sig. E.A..

8a. Il ricorrente assume, ancora, la nullità degli atti del procedimento di audizione, contestando le modalità di redazione del verbale ed assumendo che non sarebbe stato garantito al lavoratore il diritto alla piena comprensione delle domande che gli sono state rivolte. Perciò chiede l’annullamento del provvedimento impugnato.

8b. Dette argomentazioni non possono essere condivise.

Rammenta il Collegio che, per gli atti amministrativi, l’art. 21 septies della legge 7.8.1990, n. 241, ha codificato in termini rigorosi e tassativi la categoria della nullità, precisando che possono essere dichiarati nulli solo per le ipotesi specificamente indicate. I casi di nullità costituiscono pertanto un numero chiuso.

Nel diritto amministrativo, all’opposto, la regola è quella dell’annullabilità dell’atto, le cui ipotesi tradizionali sono ora formalmente ribadite dal comma 1 dell’art. 21 octies della stessa legge n. 241 del 1990.

Tuttavia, il legislatore statale ha successivamente disposto, al primo periodo del comma 2, che: "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Tale regola generale, definita in dottrina quale codificazione del principio del raggiungimento dello scopo dell’azione amministrativa, peraltro già anticipato da taluni indirizzi della giurisprudenza amministrativa, esclude dunque che l’omissione di formalità che non abbiano inciso sul contenuto dell’atto finale possa condurre ad annullamenti di matrice meramente formale, quando, cioè, il provvedimento finale non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato.

8c. Tornando al caso in esame, il Collegio non può non osservare che una più scrupolosa cura nella redazione dei processi verbali di audizione, con la puntuale indicazione non solo di quanto verbalizzato ma anche dei presenti e delle loro qualifiche, contribuirebbe, non solo formalmente, alla chiarezza dei rapporti tra Amministrazione ed interessati ed a prevenire motivi di contenzioso fondati su elementi puramente formalistici.

8d. Tuttavia, osserva il Collegio che la sottoscrizione del funzionario provinciale che ha raccolto le dichiarazioni degli interessati senza che il relativo nominativo sia prestampato, così come l’identica modalità con la quale l’interprete ha sottoscritto il medesimo verbale, ed anche la mancanza della sottoscrizione di esso da parte del funzionario della Questura, costituiscono mere irregolarità non invalidanti la procedura in esame, posto che, come è già stato rilevato, le risultanze di essa non sono state smentite in alcun modo, neppure in sede di giudizio.

Quanto alla deduzione che il lavoratore sig. N.E.A. non comprende la lingua italiana e che, di conseguenza, non dovrebbe essere valutata la sua dichiarazione, con la quale ha affermato che il rapporto di lavoro era iniziato a "luglio del 2009", si deve osservare che la circostanza è del tutto irrilevante per il ricorrente, supposto datore di lavoro, posto che anche lui – in Italia dal 1999 ed attualmente in possesso di un permesso di soggiorno CE e quindi presumibilmente a conoscenza della lingua italiana ed in grado di comprendere le semplici domande che gli sono state rivolte senza l’ausilio di un interprete – ha dichiarato che "l’inizio del rapporto di lavoro risale a luglio 2009".

8e. Dunque, alla luce delle suddette circostanze si deve osservare che la dichiarazione di emersione pare, in definitiva, essere stata presentata al solo fine di far conseguire al presunto lavoratore un titolo di soggiorno, del tutto indipendentemente dai presupposti come stabiliti dall’eccezionale disciplina legislativa sull’emersione del lavoro irregolare.

9a. Resta da definire la posizione della Questura di Trento, cui è stato notificato il ricorso. La stessa ha chiarito di aver espresso parere favorevole al rilascio del nulla osta richiesto dalla già menzionata legge n. 102 del 2009, posto che i controlli effettuati nei confronti del sig. E.A. avevano dato esito negativo sotto il profilo della pubblica sicurezza, ed ha osservato che non è stato impugnato alcun atto riferibile all’Amministrazione dell’Interno. In relazione a ciò, ha chiesto di essere estromessa dal giudizio per difetto di legittimazione passiva.

9b. Il Collegio rileva che, nella presente vicenda, la Questura di Trento non appare quale Amministrazione resistente in senso proprio, in quanto alcun atto né alcuna attività sono ad essa da imputarsi. Di conseguenza, deve disporsi la sua estromissione dal giudizio, in quanto carente di legittimazione passiva.

La sua evocazione in giudizio non è stata, peraltro, da ascriversi ad inutile tuziorismo, posto che risultava destinataria dell’impugnato provvedimento e che ciò ha indotto il ricorrente a ritenere che fosse coinvolta nelle vicende di causa.

Essendosi essa costituita al solo scopo di chiarire la propria posizione, può essere disposta la compensazione delle spese tra la stessa e il ricorrente.

10. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio possono, tuttavia, essere compensate fra le parti in causa, avuto riguardo alla particolarità della vicenda sopra definita.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica)

definitivamente pronunciando sul ricorso n. 255 del 2010, lo respinge.

Compensa le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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