Cass. civ. Sez. III, Sent., 13-12-2011, n. 26706 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il 12 marzo 2009 la Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale di quella città che aveva condannato il Ministero del Tesoro, ora Ministero dell’economia e delle finanze, al pagamento in favore di S.F., a titolo di risarcimento del danno patito dalla S. a seguito della mancata restituzione di un immobile di sua proprietà e locato al Ministero, della somma di Euro 149.430,00 e di cui Euro 90.000,00 per mancata disponibilità della predetta somma dal momento dell’insorgenza del danno sino alla decisione, con interessi dalla sentenza al saldo.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il Ministero, affidandosi a due articolati motivi.

Resistono con controricorso N.R.A. e N.B.A., eredi della S., nelle more deceduta.

I resistenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo (violazione e/ o falsa applicazione degli artt. 1591, 1223, 1224, 1227, 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) il ricorrente Ministero lamenta che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe ritenuto applicabile la disciplina di cui all’art. 1227 c.c., non potendosi ravvisare nel diritto di opzione concesso a titolo gratuito dalla S. al Banco di Napoli una circostanza idonea a dimostrare il concorso di colpa della creditrice. La censura va disattesa.

In primis ed ictu oculi essa si appalesa incentrata non già su di un errore di diritto, bensì su una rivisitazione dell’iter logico- giuridico della motivazione.

In punto di fatto rileva il Collegio che il ricorrente Ministero e i resistenti, come si evince in modo chiaro dalla sentenza impugnata, concordano che il Ministero fu con sentenza del 12 aprile 1989 condannato dal Tribunale al rilascio dell’immobile in virtù di rapporto contrattuale ritenuto cessato il 31 dicembre 1987, ma l’immobile continuò ad essere occupato dal conduttore fino al 23 gennaio 1993, data del rilascio.

Così come circostanze pacifiche sono che la S. concesse una opzione gratuita dell’immobile al Banco di Napoli il 1990; che la vendita fu effettuata nell’aprile 1993, quando l’immobile fu finalmente lasciato libero; che la S. era abituale investitrice dei suoi risparmi in titoli di Stato. Ciò posto, contrariamente all’assunto del Ministero, si evince dalla sentenza impugnata che il giudice dell’appello ha fatto buon governo delle norme dallo stesso Ministero ritenute applicabili. Infatti, il giudice dell’appello:

a) ha ritenuto che la concessa opzione per un anno, anche se a titolo gratuito, e poi rinnovato, era ascrivibile non già ad una incuria della locatrice, ad una sua condotta colposa, ma perchè ella confidava nell’adempimento del Ministero, una volta intervenuta la sentenza di rilascio nell’aprile 1989. b) ha accertato che le trattative con il Banco di Napoli, infatti, si conclusero nel 1990, per cui la S. aveva mostrato di confidare ragionevolmente che l’immobile si fosse liberato subito dopo la sentenza di rilascio e rinnovò l’opzione onde non perdere la possibilità di disfarsi dell’immobile che la Banca intendeva occupare, essendo già proprietaria di altra parte del fabbricato.

Il ricorrente Ministero non solo contesta, ma sembra in modo molto generico, quanto ritenuto dal giudice dell’appello, ma sembra soffermarsi sulla circostanza, a suo giudizio, dalla natura iniqua e sperequata, della opzione di vendita, che, invece, il giudice del merito ha disconosciuto sia perchè non si può pretendere che il creditore in buona fede, come nella specie, corra il rischio di perdere l’intero affare non riconoscendo il diritto di opzione, sia perchè, contrariamente all’assunto del Ministero, il prezzo originariamente concordato nel 1990 non rimase invariato, ma aumentato di circa 30 mila/00 euro (p. 9 sentenza impugnata).

Peraltro, il giudizio sulla mancata cooperazione del creditore è giudizio di merito, che sfugge al sindacato di legittimità se logicamente e congruamente motivato, come nel caso in esame.

Di qui, l’assorbimento del secondo motivo che prospetta vizio di motivazione e che sembra non corredato del necessario momento di sintesi nei suoi vari profili. Nè vi è una motivazione insussistente, come invece viene dedotto; non vi è alcuna iniquità del patto di opzione; non vi è alcuna violazione della presunzione del pregiudizio subito, stante la riconosciuta abitualità della S. di investire i suoi risparmi in titoli del debito pubblico.

In effetti, il Ministero è stato condannato per gli interessi non percepiti, a causa del suo inadempimento alla obbligazione di rilascio dell’immobile e della conseguente impossibilità di procedere alla sua immediata dismissione patrimoniale, ossia è stato condannato a corrispondere il maggior danno, in quanto la S. – creditore – aveva perso la possibilità di impiegare ed investire il suo danaro che ragionevolmente e legittimamente riteneva di potere incassare solo dopo la scadenza del rilascio stabilita dal giudice e che, invece, per colpa esclusiva del Ministero avvenne dopo circa quattro anni dalla sentenza di rilascio. Di qui, la correttezza sotto ogni profilo della sentenza impugnata alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, che con l’odierna decisione va ribadita, soprattutto in riferimento al criterio presuntivo posto a fondamento di essa, ossia – e non è contestato nemmeno dallo stesso Ministero – che la S. fosse abitualmente propensa, come dimostrato nelle fasi di merito, ad acquistare titoli del debito pubblico in riferimento alla sua condizione di modesto consumatore (Cass. n. 4919/03).

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Ministero al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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