Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-06-2011) 21-07-2011, n. 29169

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza della quinta sezione di questa corte, in data 21.10.2009, veniva annullata con rinvio la sentenza del tribunale di Palermo che aveva a sua volta confermato la sentenza del giudice di pace di Palermo, che aveva condannato l’imputato per il reato di ingiuria a danno di L.G., sul presupposto che non era stato adeguatamente motivato sulla insussistenza dell’esimente di cui all’art. 599 c.p., comma 2, sulla reciprocità delle offese. Secondo la corte di legittimità, nella sentenza faceva difetto una adeguata motivazione sul diniego della scriminante, poichè 1) la ratio basata sulla priorità della offese da parte del S., sarebbe in contrasto con il principio affermato, secondo cui può beneficiare della causa di non punibilità anche colui che abbia offeso per primo e 2) il fatto che nessuno dei testimoni abbia specificato il tenore delle espressioni offensive utilizzate dal L. non può essere considerato ostativo, una volta che sia provato con la necessaria certezza l’uso di parole offensive da parte di costui.

In sede di giudizio di rinvio, il tribunale di Palermo riteneva ricorrente la prova sulla insussistenza di reciprocità delle offese, alla luce di contributi testimoniali di La. e M.:

secondo il primo, solo S. usò parole sconvenienti ed offensive verso il L., secondo il M., fu S. ad aver apostrofato il L. con (OMISSIS). Tale realtà induceva il giudice di Palermo ad escludere la reciprocità delle offese.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato con un articolato atto, che sviluppa più motivi di ricorso:

2.1 con un primo motivo viene dedotta la violazione art. 606 c.p.p., lett. e): il tribunale sarebbe incorso in un travisamento del fatto, poichè le dichiarazioni del M. andavano lette nella loro completezza, avendo egli aggiunto che dopo essersi preso del magnaccia, il L. "rimase male di tale intervento e rispose". 2.2 Con un secondo motivo deduce violazione art. 606, lett. c), in relazione all’art. 500 c.p.p.: il tribunale prese a base del suo convincimento la dichiarazione che il M. rese in sede di indagini, che valeva solo ai fini della contestazione, con il che detta frase non poteva essere utilizzata.

2.3 con un terzo motivo ha dedotto violazione art. 606 c.p.p., lett. d): non sarebbe stata assunta una controprova decisiva, ovverosia l’acquisizione della denuncia querela sporta dal S. contro il L. in data 10.1,2010 ed il confronto tra le due parti. Tale mezzo probatorio avrebbe potuto chiarire che le espressioni offensive furono pronunciate da entrambe le parti.

2.4 con un quarto motivo deduce violazione art. 606 c.p.p., lett. e) e lett. b) per erronea applicazione di norma penale ed in particolare degli artt. 210 e 197 bis c.p.p..

Il L. era a sua volta imputato in reato connesso e pertanto il suo esame andava disciplinato secondo le norme per l’esame dell’imputato in procedimento connesso ex art. 12 c.p.p., ed in ogni caso la di lui dichiarazione andava valutata secondo i parametri dell’art. 197 bis c.p.p.; inoltre detta testimonianza era inaffidabile in quanto il teste era portatore di pretese economiche, per cui il controllo di attendibilità doveva essere più rigoroso ed incisivo.

2.5 con un quinto motivo deduce violazione art. 606 c.p.p., lett. e) e b), per erronea applicazione art. 627 c.p.p.. Sarebbe stato violato il dictum della corte, avendo il tribunale ribadito l’esclusione della scriminante.

2.6 violazione art. 606 c.p.p., lett. e) e b), per l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 627 c.p.p.: il tribunale avrebbe omesso tutti gli elementi probatori che deponevano sia singolarmente, che nel loro complesso nel senso della reciprocità delle offese. Avrebbe limitato la sua disamina alle dichiarazioni dei due testimoni, omettendo di considerare le dichiarazioni dell’imputato e quelle del teste Sc..

2.7 Con un settimo motivo si duole la difesa del travisamento del fatto: è stato sottovalutato che tra le parti esisteva una forte conflittualità, sarebbe stata data una lettura parziale delle dichiarazioni del teste M., sarebbe stata pretermessa la dichiarazione dello Sc. che disse chiaramente che i due litigavano verbalmente tra loro e l’uno insultava l’altro, sarebbe stata trascurata la dichiarazione dello stesso imputato, che ammise di avere dato del cornuto al L., ma aggiunse di aver ricevuto lo stesso epiteto. Ulteriore elemento che doveva essere valutato e non lo fu, sarebbe rappresentato dalla sentenza irrevocabile acquisita da cui emergeva che il S. fu oggetto di violenta aggressione da parte del L.. Tutto ciò avrebbe dovuto fare addivenire ad una diversa conclusione sulla reciprocità delle offese.

Motivi della decisione

A fronte di motivi non manifestamente infondati, che non precludono l’instaurarsi di un corretto rapporto processuale avanti questa Corte (Sez. Un. 22.3.2005, n. 23428, Bracale), si impone di verificare l’intervenuto decorso della prescrizione, avuto riguardo al tempus commissi delicti. La verifica porta a rilevare che il termine di prescrizione che avrebbe dovuto scadere naturalmente il 15.8.2010, va prorogato di sessanta giorni a seguito di impedimento dell’imputato, che comportò il differimento dell’udienza del 13.12.2006 al 7.3.2006 : pertanto il reato si è estinto il 15.10.2008, avendosi riguardo a fatto commesso fino al 5.2.2003, pel quale opera la normativa vigente in tema di prescrizione, atteso che la sentenza di primo grado venne emessa dopo l’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 (disciplina che prevede peraltro la medesima durata del termine, rispetto alla precedente normativa).

In presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve operare appartenga più al concetto di "constatazione" nel senso di percezione ictu oculi, che non a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di approfondimento. Pertanto, non sono ritenuti rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla dichiarazione della causa estintiva che, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può più essere ritardata (Sez. Un. 28.5.2009, n. 35490, Tettamanti).

Nel caso di specie, il supporto testimoniale delle dichiarazioni rese in dibattimento su cui è stata basata la mancanza di prova, quanto all’asserita reciprocità delle offese, non consente l’applicazione dell’art. 129 c.p., ed impone di dichiarare estinto il reato.

La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione, restando salve le statuizioni civili adottate dal tribunale ex art. 578 c.p.p., su cui peraltro questa Corte non può interloquire.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, fatte salve le statuizioni civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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