Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 28-07-2011, n. 518 Procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – La signora Be., nella qualità di titolare e legale rappresentante dell’omonima impresa individuale, ha impugnato la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha respinto l’impugnativa, articolata in un ricorso introduttivo e in motivi aggiunti, promossa in primo grado dall’odierna appellante, onde ottenere l’annullamento dei seguenti atti:

– il provvedimento, prot. n. 2010/16554/FSIC7BVC, con cui l’Agenzia del Demanio Filiale Sicilia revocò l’aggiudicazione provvisoria, conseguita dalla Be., dell’affidamento, per l’ambito territoriale provinciale di Messina, del servizio di prelievo, trasporto, messa in sicurezza, demolizione e radiazione dal P.R.A. di veicoli confiscati ed assoggettati alla procedura di cui al D.P.R. n. 189/2001;

– il provvedimento, reso dalla Prefettura di Messina a norma dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998.

2. – Si sono costituiti, per resistere all’impugnazione, le amministrazioni indicate nelle premesse.

3. – All’udienza pubblica del 18 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. – Per i fini della successiva esposizione delle ragioni del decidere è sufficiente riferire, in punto di fatto, che la signora Be., dopo essersi aggiudicata in via provvisoria la procedura di affidamento sopra indicata, ricevette dall’Agenzia del demanio, stazione appaltante, una nota con la quale si comunicava l’impossibilità di procedere all’aggiudicazione definitiva del servizio esitato "in relazione alle informazioni rese dal competente Ufficio ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998", con conseguente revoca dell’aggiudicazione provvisoria.

5. – L’odierna appellante impugnò detti atti, con un ricorso introduttivo (diretto contro l’atto emanato dall’Agenzia del demanio) e con motivi aggiunti (l’informativa prefettizia), avanti il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania; il Tribunale adito tuttavia, dopo aver disposto un’acquisizione documentale giusta ordinanza collegiale istruttoria n. 485/2010, respinse l’articolata impugnativa proposta dalla signora Be.. In dettaglio, giova riferire che la sentenza (breve), ora avversata, è sorretta dalla seguente motivazione: "Considerato che il ricorso per motivi aggiunti, rivolto contro la nota prefettizia ex art. 10 D.P.R. n. 252/1998 assume valore pregiudiziale;

– che le doglianze dedotte non appaiono meritevoli di accoglimento tenuto conto della valutazione prognostica rimessa all’ampia valutazione discrezionale del Prefetto; – che nella specie il Prefetto richiama specifiche relazioni della Questura e dell’Arma dei Carabinieri;

– che il Prefetto ha dedotto (induttivamente) da dette relazioni il possibile rischio di infiltrazioni mafiose, il che non appare palesemente irrazionale o privo di elementi di fondamento avuto riguardo all’oggettivo quadro di parentele e di vicende processuali penali che per quanto risalenti nel tempo non sembrano essere prive di valenza prognostica ex art. 10 D.P.R. n. 252/1998;

– che conseguentemente appare legittimo il provvedimento oggetto del ricorso introduttivo, in quanto atto conseguenziale alla informativa prefettizia interdittiva di cui sopra; (…)".

6. – Contro la sentenza del T.A.R., sopra ricostruita nel suo contenuto essenziale, la signora Be. ha interposto un atto di appello affidato alle seguenti censure:

I) error in procedendo – violazione del principio del giusto procedimento e del diritto di difesa – emessa pronuncia di legittimità di un provvedimento non acquisito agli atti del giudizio – conseguente carenza e/o erroneità di presupposto del deciso rigetto del ricorso n. 2215/10 – contraddittorietà procedimentale – illogicità e difetto di motivazione – concorso nella violazione delle disposizioni della legge n. 241/90 – sviamento degli strumenti processuali;

II) violazione di legge per errata applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. n. 490/94 e dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998 – travisamento dei fatti ed erroneità del presupposto – carenza di motivazione.

La signora Be. ha altresì riproposto la domanda risarcitoria formulata in primo grado.

In estrema sintesi l’appellante, con il primo motivo, ha lamentato l’illegittimità della sentenza impugnata, in quanto pronunciata senza che fosse stata preventivamente acquisita agli atti del processo l’informativa prefettizia impugnata; mentre con il secondo motivo ha dedotto che l’informativa resa dalla Prefettura non poggiasse su elementi idonei a desumere l’esistenza di un pericolo di infiltrazioni mafiose nell’azienda dell’appellante.

7. – Tanto premesso, il Collegio osserva che la riportata motivazione della sentenza gravata si incentra esclusivamente su tale secondo aspetto della controversia e, sul medesimo profilo, si è focalizzata anche la delibazione cautelare di questo Consiglio, allineata al decisum contenuto nella pronuncia impugnata. Sennonché, ad un più approfondito esame di tutto il materiale cognitorio e decisorio acquisito al secondo grado del giudizio, il Collegio ha potuto verificare che, effettivamente, l’informativa prefettizia, atto presupposto al provvedimento dell’Agenzia del demanio, non risulta esser stata acquisita agli atti del fascicolo di primo grado. La circostanza impone l’esigenza di uno scrutinio prioritario della prima censura d’appello, trattandosi di doglianza che, per le ragioni di seguito illustrate, assume valenza assorbente.

8. – Occorre, invero, soggiungere in fatto che:

– con la citata ordinanza istruttoria n. 485 del 2010 il T.A.R. dispose l’acquisizione agli atti del giudizio dell’informativa in questione;

– la Prefettura di Messina, invece di produrre l’atto richiesto dal Tribunale (ossia la suddetta informativa), depositò la nota 24 settembre 2010, n. 21770/10/Area Sic. I/U.A., nella quale erano richiamate altrettante note della Questura di Messina e del Comando provinciale dei Carabinieri di Messina, dalle quali erano stati asseritamente tratti gli elementi posti a base dell’informativa.

La circostanza della mancata produzione dell’informativa appare incontestabile e non è superata dalle contrarie deduzioni dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui l’informativa prefettizia non sarebbe altro che la nota n. 21770/2010 sunnominata. L’erroneità di tale identificazione è palese, dal momento che:

– il provvedimento dell’Agenzia del demanio, emesso sul presupposto del ricevimento dell’informativa, è stato adottato in data 5 luglio 2010 (e quindi, prima del 24 settembre 2010);

– nella stessa comunicazione prefettizia del 24 settembre 2010 si dà atto, a pag. 3, dell’esistenza di un’informativa del 25 maggio 2010.

9. – Al lume dei superiori rilievi la prima doglianza di appello è fondata e merita accoglimento: sussiste, infatti, la violazione del diritto di difesa della signora Be. dovuta alla mancata acquisizione al giudizio dell’informativa prefettizia in questione. Deve, invero, ritenersi irrimediabilmente viziata da un grave error in procedendo una sentenza, resa in sede di giurisdizione di legittimità e pronunciata in relazione ad un atto amministrativo, impugnato, ma non anche acquisito al materiale cognitorio del giudizio. Una volta doverosamente premesso che il Collegio non ha motivi per dubitare che il contenuto dell’informativa sia realmente quello descritto negli atti difensivi dell’Avvocatura dello Stato, nondimeno è altrettanto doveroso rilevare come siffatta acquisizione fosse assolutamente imprescindibile sia per decidere sul ricorso promosso in prime cure sia, soprattutto, per la piena estrinsecazione del diritto inviolabile alla difesa della signora Be.. L’indispensabilità di detta produzione documentale, oltre a discendere da evidenti ragioni di logica processuale (posto che l’atto impugnato integra, in relazione ai motivi di legittimità contro di esso diretti, il precipuo oggetto del giudizio amministrativo), è sancita espressamente dall’art. 46, comma 2, del codice del processo amministrativo (e, in costanza del precedente regime, dall’art. 21, comma 4, della L. n. 1034/1971). Inoltre, nella fattispecie, il deposito dell’informativa prefettizia era stato anche ordinato dal T.A.R. con specifico provvedimento istruttorio.

Orbene, la sanzione per la violazione del citato art. 46 del codice del processo amministrativo, nonché per l’inottemperanza all’ordinanza istruttoria eventualmente emessa (dal presidente) o dal collegio – sempre che il giudice di primo grado non si sia avvalso degli ulteriori strumenti previsti dall’ordinamento per porre rimedio agli inadempimenti di carattere istruttorio (quali, ad esempio, la rinnovazione dell’ordinanza interlocutoria, l’acquisizione del documento presso terzi, l’applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 116 c.p.c., ecc.) – è rinvenibile, come extrema ratio, nel disposto dell’art. 105 del codice del processo amministrativo. Quest’ultima previsione stabilisce che il Consiglio di Stato debba rimettere la causa al giudice di primo grado quando, tra l’altro, sia stato leso il diritto di difesa di una delle parti. In questa prospettiva deve allora ritenersi insanabilmente invalida una sentenza pronunciata, previo scrutinio di motivi di legittimità, ma in assenza dell’imprescindibile presupposto rappresentato dall’acquisizione agli atti del giudizio dell’atto impugnato: non soltanto una decisione del genere risulterebbe emessa "al buio" ossia, in carenza di un’idonea cognitio, ma soprattutto quel che più rileva è che, in relazione ad una sentenza resa su un provvedimento che la parte ricorrente non abbia mai potuto esaminare, si configura una patente violazione del diritto di difesa e pure del fondamentale principio costituzionale della parità delle parti. La signora Be. non è stata infatti posta nelle condizioni di poter pienamente ed effettivamente controdedurre rispetto a quanto segnalato dalla Prefettura di Messina.

10. – Contro quanto appena osservato nemmeno vale opporre la natura riservata delle informazioni su cui si basa l’atto prefettizio, dal momento che questo Consiglio ha ampiamente chiarito che il divieto di accesso stabilito dal D.M. n. 415/1995 non è assoluto, ma superabile sia pure entro i limiti e con le cautele indicate nelle decisioni nn. 406/2009, 281/2010 e 9/2011.

11. – Parimenti non è ipotizzabile che il giudice di appello superi il profilo della mancata acquisizione dell’atto impugnato in prime cure facendo ricorso ai poteri ufficiosi previsti e disciplinati dall’art. 104, comma 2, del codice del processo amministrativo, giacché:

a) l’indispensabile presenza, tra gli atti della causa, del provvedimento impugnato è imposta direttamente dalla volontà legislativa e non discende da una valutazione del giudice di appello;

b) il provvedimento impugnato, ancor prima di essere un documento utilizzabile come mezzo di prova, costituisce l’oggetto stesso del giudizio di legittimità;

c) il provvedimento impugnato è sempre nella disponibilità dell’amministrazione resistente e pertanto nemmeno è concepibile la dimostrazione dell’impossibilità della sua produzione;

d) da ultimo, ma non per ultimo, costituirebbe ugualmente una violazione della parità delle parti, oltre che del principio del doppio grado di giurisdizione, ricorrere all’art. 104, comma 2, del codice del processo amministrativo allorquando proprio sulla mancata acquisizione dell’atto impugnato si fondi – come nella fattispecie – la difesa in secondo grado dell’appellante.

12. – Alla stregua di tutto quanto sopra osservato e considerato, il Collegio ritiene di poter assorbire ogni altro motivo o eccezione, in quanto ininfluenti e irrilevanti ai fini della presente decisione.

13. – In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio della controversia al giudice a quo per l’ulteriore corso.

14. – Il regolamento delle spese processuali del doppio grado del giudizio, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata e rimette la causa avanti il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania.

Condanna le amministrazioni appellate, in solido, alla rifusione in favore dell’appellante delle spese processuali del doppio grado del giudizio, incluse quelle relative alla fase cautelare, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre I.V.A. e C.P.A.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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