Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 28-07-2011, n. 513 Diritto comunitario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. Sicilia, Sezione staccata di Catania, la Nebrodi Inerti s.r.l. chiedeva l’annullamento della determina n. 3 del 16 febbraio 2007 con la quale l’ingegnere capo del distretto minerario di Catania del corpo regionale delle miniere aveva annullato in autotutela il provvedimento autorizzativo di ampliamento n. 29 del 29 dicembre 2004, relativo all’esercizio dell’attività estrattiva di cava denominata "cava rosmarino", rilasciato originariamente alla società Agnello Costruzioni a cui era subentrata nel 2005 la società ricorrente.

2) Con sentenza n. 1508 del 14 maggio 2010, il giudice adito respingeva il ricorso.

In particolare, detto giudice, richiamando la sentenza della Corte di giustizia CE, Sez. V, 7 gennaio 2006, reputava legittima la sottoposizione della richiesta di ampliamento dell’attività estrattiva di cava alla valutazione d’impatto ambientale.

Il T.A.R. respingeva, poi, le ulteriori censure con le quali la ricorrente lamentava l’omissione del preavviso di rigetto, il difetto di motivazione, l’errato giudizio negativo sull’incompatibilità ambientale, la violazione dei principi generali in materia di autotutela.

3) La società Nebrodi Inerti ha proposto appello contro la summenzionata sentenza.

Resiste all’appello l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo.

E’ intervenuto in giudizio il sig. Te.Br.

4) Con il primo motivo d’appello la ricorrente sostiene che il giudice di primo grado ha obliterato l’applicazione dell’art. 2 della legge regionale siciliana n. 10 del 2004, ritenendo direttamente applicabile la direttiva CE 85/337 e la sentenza della Corte di giustizia C.E., Sez. V, 7 gennaio 2004.

A suo avviso, la summenzionata sentenza della Corte di giustizia è stata erroneamente applicata, poiché essa ha risolto un caso – riguardante la possibilità del terzo danneggiato di agire in giudizio al fine di provocare l’annullamento e la revoca di una concessione mineraria – del tutto diverso dalla fattispecie in esame.

Il motivo di appello è infondato.

La Corte di giustizia ha testualmente affermato: "l’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, letto in combinato disposto con l’art. 4, n. 2, della stessa, deve essere interpretato nel senso che le decisioni adottate dalle autorità competenti, che abbiano l’effetto di consentire la ripresa di un’attività di estrazione, costituiscono, nell’insieme, un’autorizzazione ai sensi dell’art. 1, n. 2, di tale direttiva, per cui le autorità competenti hanno l’obbligo di effettuare qualora occorra, una valutazione dell’impatto ambientale di tale attività".

Ed ancora: "In forza dell’art. 10 CE, le autorità competenti hanno l’obbligo di adottare, nell’ambito delle loro attribuzioni, tutti i provvedimenti, generali o particolari, atti a rimediare alla mancata valutazione dell’impatto ambientale di cui al progetto ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 85/337".

La pronuncia del giudice comunitario si riferisce indiscutibilmente alla valutazione d’impatto ambientale.

Ne consegue che l’Amministrazione ha fatto corretta applicazione del principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di giustizia delle Comunità europee è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno e impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che risultino in contrasto o incompatibili con essa (cfr., ex multis, Cass. Civ. 8 novembre 2004, n. 21248, 21 dicembre 2009, n. 26897 e 6 luglio 2010, n. 15980).

5) Quanto al giudizio negativo di compatibilità ambientale, appare ineccepibile l’osservazione del giudice di primo grado secondo cui detto giudizio si giustifica in relazione "all’inserimento dell’attività di cava all’interno di zona di protezione speciale (ZPS) che, alla luce della deliberazione del comitato nazionale per le aree naturali protette del 2.12.1996, sono classificate come aree protette ex art. 3 legge n. 394 del 6.12.1991 (cfr. la delibera che ha ripreso vigore al momento dell’adozione dell’atto impugnato, a seguito di intervento del Consiglio di Stato con ord. n. 783/06).

5) L’appellante ha, infine, riproposto, gli originari motivi di censura che vanno anch’essi respinti.

La L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, aggiunto dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 14, dispone che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Il provvedimento amministrativo non è, comunque, annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

In base a tale norma, entrata in vigore anteriormente all’adozione del provvedimento impugnato, l’annullabilità di un provvedimento amministrativo per la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio di procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi, prescritto dall’art. 7 della stessa legge – salvo il caso in cui sussistano "ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento" – è esclusa: a) quanto ai provvedimenti di natura vincolata, al pari che per la violazione delle altre norme del procedimento, per la sola evidenza dell’inidoneità dell’intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse ad interferire sul loro contenuto; b) quanto ai provvedimenti di natura non vincolata, subordinatamente alla prova da parte dell’amministrazione che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento di detti interessati (cfr., di recente, Cass. SS.UU. 25 giugno 2009, n. 14878).

Nella specie, l’attività posta in essere dall’Amministrazione rientra nella sfera di applicazione dell’art. 21 octies, come rettamente rilevato dal giudice di prime cure.

6) In conclusione, per le suesposte considerazioni, previo assorbimento di ogni altra censura o eccezione in quanto non rilevanti ai fini della decisione, l’appello deve essere respinto.

Si ravvisano, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli altri oneri di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, respinge l’appello indicato in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese, le competenze e gli onorari di questo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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