Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-05-2011) 21-07-2011, n. 29191 Esecuzione di pene detentive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 21.7.2010 il Magistrato di sorveglianza di Trento respingeva l’istanza di liberazione anticipata presentata da T.P. in relazione ai semestri di pena espiata dal 16.3.2009 al 16.3.2010.

Il Tribunale di sorveglianza della stessa città, con ordinanza in data 11.10.2010 rigettava il reclamo proposto dall’interessato avverso detta decisione.

In specie, il tribunale premetteva che il T., tratto in arresto il (OMISSIS), veniva condannato con sentenza del 20.3.2009 e, a far data dal 13.7.2009, la originaria misura cautelare inframuraria veniva sostituita con quella degli arresti domiciliari; il 9.10.2009 veniva nuovamente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere in relazione ad un ulteriore fatto ed anche detta misura cautelare, in data 14.10.2009, veniva sostituita con quella domiciliare.

Divenuta definitiva, il 14.12.2009/la suddetta sentenza di condanna, il T., ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 10, proseguiva la detenzione in regime di arresti domiciliari c.d. esecutivi e veniva autorizzato – sia dal Gip del tribunale di Bari, con riferimento alla procedimento ancora in corso, sia dal Magistrato di sorveglianza di Trento – a svolgere attività lavorativa alle dipendenze di un’azienda agricola gestita da D.C..

Precisava, altresì, il tribunale che la condotta del T. risultava regolare sia per il breve periodo di custodia carceraria, sia nel periodo di regime detentivo domiciliare nel quale aveva osservato le prescrizioni e non aveva frequentato persone pregiudicate, nè aveva dato adito ad alcun rilievo. Tuttavia, ad avviso del tribunale, il condannato che chiede il riconoscimento della liberazione anticipata con riferimento a periodi trascorsi in regime domiciliare deve dimostrare, o quantomeno allegare, di essersi positivamente attivato nel percorso di rieducazione attraverso la partecipazione ad attività nelle quali è stato autorizzato (lavoro, corsi di formazione, frequenza di iniziative risocializzanti) o, quanto meno, presentando le relative richieste, in modo da porre l’organo giudicante nelle condizioni di poter apprezzare gli sforzi compiuti per perseguire l’obiettivo della rieducazione.

Riteneva, quindi, il tribunale che, nella specie, il T. nel lungo periodo trascorso in regime di arresti domiciliari sino al 16/3/2010 non risultava aver avanzato richiesta di prestazione di attività lavorativa o di partecipazione ad altra iniziativa di natura di risocializzante; si era, dunque, registrata un’inerzia protratta per diversi mesi senza che di ciò sia stata fornita alcuna ragionevole spiegazione. Soltanto nell’aprile 2010 il T. aveva chiesto di essere autorizzato a svolgere attività lavorativa alle dipendenze della D. come operaio; tuttavia, benchè autorizzato, il predetto non aveva mai iniziato il lavoro.

La circostanza addotta dal condannato di non aver potuto iniziare l’attività lavorativa a causa della patologia dalla quale è affetto (discopatia), ad avviso del tribunale, non era idonea a giustificare detta condotta, trattandosi di patologia cronica preesistente alla proposta lavorativa dallo stesso presentata.

In sintesi: il condannato è rimasto inerte durante il periodo di arresti domiciliari sino al 16/3/2010, limitandosi al mero rispetto delle prescrizioni inerenti alla misura; in seguito ha avanzato una proposta lavorativa cui non ha dato seguito; non ha collaborato fattivamente con gli organi preposti all’esecuzione segnalando ad essi le difficoltà che a suo dire aveva incontrato nel dare concreto avvio al rapporto di lavoro.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il T., a mezzo del difensore di fiducia, censurando l’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione.

In specie, lamenta che il Tribunale non ha adeguatamente valutato come dagli atti emerga che il T. e la sua convivente abbiano un tenore di vita piuttosto misero vivendo di modeste rimesse da parte delle rispettive famiglie; inoltre, come confermato dalla stessa D., il mancato inizio del rapporto lavorativo non è stato causato nè indotto in alcun modo dal T. le cui intenzioni sono sempre state serie e reali e l’unica motivazione per la quale non si è adoperato concretamente all’indomani del provvedimento del tribunale di sorveglianza di ammissione alla misura della detenzione domiciliare è riconducibile alle sue condizioni di salute come documentate dalla certificazione medica allegata.

Evidenzia, altresì, il ricorrente che, del resto, la detenzione domiciliare è l’unica misura alternativa che non presuppone la sussistenza di un’attività lavorativa ai fini della concessione, pertanto, il condannato ben avrebbe potuto avanzare la richiesta della misura alternativa senza fornire alcuna indicazione in ordine alla possibilità di lavorare.

La valutazione globale del comportamento del T. per un lungo periodo di tempo in cui è stato ristretto agli arresti domiciliari, improntato al pieno rispetto delle prescrizioni e delle regole, costituiscono manifestazione del serio e radicato intento di risocializzazione e di reinserimento consentendo un giudizio probabilistico di irreversibilità del processo di rieducazione che non risulta affatto compromesso dalla ritardo involontario dello svolgimento dell’attività lavorativa.

Rileva, infine, il ricorrente che secondo il principio della valutazione frazionata semestrale della condotta del condannato ai fini della concessione del beneficio della liberazione anticipata, perchè un fatto negativo possa riverberarsi anche sulla valutazione dei semestri anteriori, occorre che si tratti di una condotta particolarmente grave, tale da lasciar dedurre la mancata partecipazione del condannato all’opera di rieducazione anche per il periodo precedente; tale valutazione richiede una motivazione puntuale, logica e coerente.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

Come correttamente ricordato dal ricorrente, in tema di liberazione anticipata la partecipazione positiva del detenuto all’opera di rieducazione va desunta autonomamente per ogni singolo semestre di detenzione, avendo il legislatore ancorato al periodo temporale di tale entità la possibilità di adeguata valutazione della condotta dell’interessato, con la conseguente possibilità di escludere il beneficio della liberazione anticipata per uno o alcuni periodi e concederlo per altri. Detta valutazione impone, all’evidenza, una puntuale motivazione in ordine ai connotati di gravità concretamente ravvisati, tali da riverberare gli effetti negativi sui semestri diversi (Sez. 1, n. 775, 06/02/1996, Erre, rv. 203989; Sez. 1, n. 5819, 22/10/1999, Signorello).

E’, peraltro, noto che allorchè la pena venga espiata agli arresti domiciliari, e manchino, quindi, il trattamento rieducativo svolto in istituto e la correlativa partecipazione ad esso del detenuto, ai fini della liberazione anticipata assume rilevanza decisiva la valutazione della sua condotta sotto il profilo del modo con cui egli ha saputo trarre profitto dai margini di libertà offertigli. Detto parametro di valutazione investe l’esame del comportamento complessivo del soggetto in modo da trarre da esso quegli elementi positivi che, aggiunti alla mera condotta regolare, indicano un’evoluzione positiva della personalità mediante l’abbandono delle precedenti scelte devianti e l’accettazione di modelli di vita socialmente corretti (Sez. 1, n. 6259, 07/11/1997, Pistoiesi, rv.

209522).

Alla luce del ribaditi principi, deve rilevarsi che nell’ordinanza impugnata, per quel che riguarda i semestri in valutazione, pur dandosi atto della piena e costante condotta regolare del T. e del rispetto di tutte le prescrizioni imposte con il regime detentivo domiciliare (cautelare e definitivo), tuttavia, si enfatizza la mera inerzia del predetto – in specie con riferimento alla mancata richiesta di prestazione di attività lavorativa o di partecipazione ad altra iniziativa di natura di risocializzante – senza dare alcun contenuto specifico a tale inerzia, tenuto conto delle condizioni socio-ambientali del detenuto e della circostanza che successivamente il T. ha chiesto di svolgere attività lavorativa.

Anche la valutazione negativa del mancato inizio dell’attività lavorativa cui il condannato era stato autorizzato che afferisce ad un periodo successivo ai semestri in valutazione non è supportata da motivazione compiuta avuto riguardo al necessario connotato di gravità, tale da riverberarsi sui semestri precedenti essendosi limitato il tribunale a ritenere che la patologia dalla quale il T. è affetto (discopatia) non era idonea a giustificare il mancato inizio dell’attività lavorativa, trattandosi di patologia cronica preesistente.

Conseguentemente, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Trento.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Trento.

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