Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-05-2011) 21-07-2011, n. 29190 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Bari, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., in data 30.12.2010 annullava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, in data 28 dicembre 2010, con la quale veniva applicata la misura cautelare della custodia cautelare in carcere a G.G., indagato, unitamente ad altre numerose persone, per i delitti di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo B della rubrica) e per i reati di detenzione a fine di spaccio delle medesime sostanze.

Riteneva, in particolare, che l’ordinanza impugnata, limitandosi al mero rinvio al contenuto delle schede-reato e delle schede personali redatte dalla polizia giudiziaria con riguardo, rispettivamente, ai fatti indagati ed ai presunti autori di essi, senza operare alcuna valutazione critica ed unitaria degli atti investigativi, oltre a violare la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di legittimità della motivazione per relationem, risultava in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c bis), mancando totalmente l’esposizione degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza.

Il tribunale rilevava, altresì, la carenza dell’enunciazione delle esigenze cautelari con riferimento alla posizione di ciascuno degli indagati – tenuto anche conto della distanza temporale delle condotte contestate, risalenti ad oltre quattro anni addietro – essendosi il giudice limitato ad una trattazione generica e cumulativa delle posizioni delle numerose persone sottoposte alle indagini.

Pertanto, la motivazione dell’ordinanza cautelare veniva ritenuta inesistente e, quindi, insanabile e non suscettibile di integrazione attraverso i poteri riconosciuti al giudice del riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 9. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, denunciando con un unico motivo la violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c bis), art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 309 c.p.p., comma 9.

La pretesa assoluta carenza motivazionale sia in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, sia in materia di esigenze cautelari, con la conseguente preclusione dei poteri integrativi del tribunale, ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 9, sarebbe testualmente smentita dal contenuto dell’annullata ordinanza applicativa della misura cautelare la cui motivazione viene integralmente trascritta dal ricorrente.

In sintesi, nella trattazione dei gravi indizi di colpevolezza, il Giudice per le indagini preliminari, dopo avere illustrato le modalità e i tempi in cui si era articolata l’attività di indagine relativa al sodalizio facente capo a L.G., si era soffermato sull’analisi del linguaggio utilizzato dagli associati durante le conversazioni intercettate, ponendo in evidenza una serie di dati sintomatici che attestavano come i termini utilizzati, prevalentemente tratti dall’attività ittica effettivamente esercitata da uno degli indagati, D.N.A., fossero convenzionalmente riferibili ad operazioni correlate al traffico e allo spaccio di droga.

A conferma della predetta interpretazione il Giudice per le indagini preliminari aveva anche riportato analiticamente i riscontri che erano stati effettuati a seguito delle intercettazioni, costituiti da numerosi sequestri di sostanza stupefacente e da controlli sul territorio che avevano consentito di accertare gli effettivi contatti tra gli interlocutori delle assidue comunicazioni identificati negli indagati.

Solo dopo la ricostruzione del modus operandi interno al circuito associativo il Giudice per le indagini preliminari aveva rinviato, per i dettagli relativi ai singoli delitti fine ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, alle schede-reato allegate alla richiesta cautelare (schede che, peraltro, sarebbero state predisposte dal pubblico ministero e non dalla Polizia giudiziaria, come sostenuto dal tribunale del riesame), non omettendo l’esame dell’ipotesi delittuosa di cui al cit. D.P.R., art. 74, ricostruendo dapprima in generale gli assetti organizzativo-funzionali del sodalizio per illustrare, successivamente, i ruoli assunti all’interno dell’associazione dai singoli presunti sodali, con un rinvio finale alle schede personali e alle schede reato, al solo fine riepilogativo di tutte le fonti di prova a carico di ciascun indagato con riferimento ai fatti a lui specificamente ascritti.

Parimenti congrua e non inesistente deve ritenersi la motivazione del Giudice per le indagini preliminari in ordine alle esigenze cautelari, con esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione per ciascun indagato e particolare attenzione prestata al requisito dell’attualità delle esigenze di cautela.

Inoltre, la riprova della pregnante analisi motivazionale compiuta nell’ordinanza annullata discenderebbe dalla considerazione che lo stesso giudice per le indagini preliminari non ha accolto la richiesta del pubblico ministero con riguardo ad altri diciotto indagati per il diverso reato associativo in materia di sostanze stupefacenti, di cui al capo A) della rubrica, e ciò proprio per la rilevata mancanza di attualità delle esigenze cautelari.

Deduce, quindi, il ricorrente che il tribunale del riesame, a fronte di un nucleo motivazionale sufficientemente apprezzabile presente nell’ordinanza applicativa, avrebbe dovuto necessariamente entrare nel merito della valutazione cautelare e procedere ad un proprio autonomo apprezzamento del quadro di gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, senza poter evocare alcun profilo di nullità- inesistenza dell’ordinanza applicativa, configurabile solo in presenza di una mancanza radicale e assoluta di giustificazione e non certo a fronte di una motivazione da ritenersi eventualmente viziata solo sul piano qualitativo, come nel caso di specie.

Quindi, alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, esclusa l’inesistenza della motivazione, pur volendo ritenere che l’ordinanza cautelare genetica fosse viziata per violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c bis), l’effetto interamente devolutivo del riesame, ex art. 309 c.p.p., avrebbe imposto al giudice collegiale di sanare, con la propria motivazione, le eventuali carenze argomentative della prima ordinanza, ancorchè fonte di nullità, rilevabili d’ufficio, del medesimo provvedimento.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

Secondo il costante orientamento di questa Corte in ordine alla motivazione dell’ordinanza con la quale viene applicata una misura cautelare personale, può ravvisarsi nullità della stessa solo in presenza di mancanza grafica della motivazione o di adozione di motivazione meramente apparente, ovvero a mezzo di clausole di stile prive di un reale substrato storico-fattuale (Sez. 3, n. 33753, 15.07.2010, Lteri Lulzim, rv. 249148; Sez. 2, n. 39383, 08.10.2008, D’Amore, rv. 241868; Sez. 2, n. 3103, 18.12.2007, Di Vincenzo, rv.

239267; Sez. 1, n. 266, 06.12.2007, Gabriele, rv. 238774; Sez. 4, n. 45847, 08.07.2004, Chisari, rv. 230415). Ove, dunque, la motivazione del provvedimento genetico non sia graficamente mancante o meramente apparente, si impone l’integrazione da parte del giudice del controllo cautelare, posto che la declaratoria di nullità deve essere considerata, secondo la citata giurisprudenza, extrema ratio, ed atteso che l’ordinanza genetica e l’ordinanza del riesame sono destinate ad integrarsi (Sez. 2, n. 774, 28.11.2007, Beato, rv.

238903).

Deve, altresì, ricordarsi che anche per i provvedimenti cautelari – sia pure entro certi limiti trattandosi della limitazione della libertà personale – è consentita la motivazione per relationem, sempre che si possa apprezzare la specifica valutazione operata dal giudice rispetto al materiale confluito tramite l’atto in tal modo recepito e sia rinvenibile l’iter logico-giuridico che sostiene il provvedimento (Sez. 4, n. 17566, 18.12.2003, Florio, rv. 228169).

Infine, occorre rammentare che questa Corte sullo specifico tema del rinvio operato dall’ordinanza genetica alle c.d. schede personali redatte dalla polizia giudiziaria, si espressa nel senso che tale rinvio determina nullità dell’ordinanza genetica per motivazione totalmente assente solo laddove non vi sia alcuna apprezzabile delibazione valutativa da parte del giudice (Sez. 6, n. 35823, 01.02.2007, Pellegrini, rv. 237841).

2. Tanto premesso, nel caso di specie – come ha già ritenuto questa Corte in sede di valutazione delle posizioni di altri indagati attinti dalla medesima ordinanza cautelare – dal testo stesso dell’ordinanza impugnata è dato rintracciare, oltre alla riproduzione della scheda personale (che contiene gli elementi di fatto rilevanti emersi dalle indagini), un pur minimo percorso argomentativo del Gip che, all’evidenza, fa propri tali esiti assumendoli ai fini della ritenuta sussistenza dei gravi indizi dei contestati reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, nonchè in ordine alla concreta sussistenza di esigenze cautelari.

Si tratta, pertanto, di uno schema motivazionale asfittico sotto il profilo argomentativo, ma non insussistente (fatta salva, evidentemente, la valutazione di merito). Una motivazione, quindi, che andava eventualmente integrata.

In accoglimento del ricorso del pubblico ministero, pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Bari per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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