Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-05-2011) 21-07-2011, n. 29257

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Roma avverso la sentenza in data 19 ottobre 2009 con la quale il Gip del locale Tribunale, richiesto di decreto penale di condanna, ha invece dichiarato ex art. 129 c.p.p. non doversi procedere nei confronti di D.L.M., D.T., M. C. e S.R. in ordine al reati di furto aggravato – in concorso – di una catena con lucchetto perchè il fatto non sussiste.

Il Giudice rilevava che gli imputati erano già stati giudicati in via definitiva – avendo patteggiato la pena ex art. 444 c.p.p. – in ordine ad un episodio di violazione di domicilio aggravato dalla violenza sulle cose e di danneggiamento commesso nelle stesse circostanze di cui ai fatti in esame.

Era accaduto che i prevenuto si erano introdotti abusivamente nella proprietà di C.A., previa effrazione dei mezzi di chiusura, tra i quali una catena con lucchetto.

Poichè della catena non era stata trovata traccia il PM aveva successivamente formulato richiesta di decreto penale di condanna, con riferimento come anticipato in premessa, alla ipotesi criminosa di furto aggravato.

Secondo il Gip gli imputati erano già stati chiamati a rispondere della sparizione della catena attraverso la contestazione delle aggravanti dei reati di violazione di domicilio e danneggiamento.

Il fatto reato della violazione di domicilio non poteva essere commesso se non previa effrazione della catena e la circostanza che la stessa non fosse stata trovata poteva avere spiegazione nel fatto che non era stata nemmeno cercata sul posto mentre era da escludersi qualsiasi fini di profitto collegabile alla sparizione di un oggetto rotto e privo di valore.

Deduce il PM il vizio di motivazione.

L’assorbimento del contestato reato di furto della catena in quello di violazione di domicilio aggravato dalla effrazione di mezzi di chiusura non è consentito.

Diversi sono i fatti materiali e diversi i beni giuridici lesi dalle differenti condotte: liberà domiciliare in un caso e patrimonio nell’altro.

Inoltre è configurabile l’impossessamento (negato dal Tribunale) da individuarsi nella sottrazione, così come il fine di profitto può essere riscontrato nella volontà di privare la catena della sua funzionalità.

Il PG presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Tra gli argomenti fondanti la decisione del Gip in ordine alla insussistenza del reato contestato vi è quello, assorbente degli altri in quanto decisivo, della non configurabilità, nel caso di specie, del dolo specifico del reato di furto.

Lo scopo cioè di ricavare un profitto dalla ipotizzata sparizione ella catena è stato escluso fondatamene dal Gip come segnalato anche dal Procuratore Generale presso questa Corte.

Invero la giurisprudenza di legittimità ha posto in evidenza più volte che "il profitto, richiesto nel suo profilo soggettivo fra gli estremi del reato di furto, è quello che deriva dall’uso della cosa" senza che possa identificarsi con intenti diversi perseguiti dall’agente.

Infatti il profitto necessario ad integrare il reato in discussione, ancorchè possa consistere in una qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale (soddisfazione, piacere o godimento) deve tuttavia derivare dall’uso della cosa (Cass. 26 novembre 1973, Mannelli).

Ne consegue che il ricorso, volto a sostenere che il profitto consisteva nel fine di privare la catena della funzionalità sua propria, non è fondato perchè manifestamente non in linea con i citati principi.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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