Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-05-2011) 21-07-2011, n. 29256

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 17/12/2010 il Tribunale di Palermo – Sez. Riesame confermava il provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso dal GIP presso il Tribunale citato in data 25-11-2010, a carico di D.G.F.P., indagato per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 3, 4, 5, e 6, per aver fatto parte in concorso con altri esponenti indicati nella rubrica dell’associazione mafiosa denominata "Cosa Nostra", con l’aggravante di essere l’associazione armata e con l’aggravante di cui al comma 5 inerente all’essere l’associazione finanziata in parte con il prezzo, il prodotto ed il profitto di delitti.

Il D.G. veniva indicato come colui che aveva costituito il punto di riferimento mafioso della famiglia di Partinico, ed aveva mantenuto i contatti con altri adepti, in stato di libertà e con un detenuto- C.S. – al fine di gestire gli affari del clan. In tale veste egli aveva secondo l’accusa fatto da intermediario per la restituzione di un fuoristrada che era stato rubato nell’ottobre del 2009 al proprietario Ch.Pi..

Inoltre gli si addebitava di avere ricevuto durante il periodo di detenzione, somme di denaro per sè e per la propria famiglia.

Infine era stata contestata al D.G. l’aggravante di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 7, per aver commesso il fatto durante il periodo in cui era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS con obbligo di soggiorno, per la durata di anni due inflittagli dal Tribunale di Palermo, (con la recidiva specifica infraquinquennale)con decorrenza dal 17/3/2006.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo.

1 – la violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3 e art. 271 c.p.p. in relazione alla utilizzazione delle intercettazioni ambientali di cui ai Decreti n. 775/09, n. 2043/09, e n. 453/2009.

A riguardo il ricorrente allegando documentazione dei CC evidenziava l’illegittimità dell’ordinanza, ove il Collegio aveva erroneamente ritenuto che le operazioni fossero avvenute ritualmente presso gli uffici della Procura, rilevando che le operazioni si erano svolte attraverso apparecchiature di una ditta privata e poi sarebbero state trasferite le registrazioni presso gli uffici giudiziari.

Peraltro deduceva la carenza di motivazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni circa l’utilizzo di impianti esterni.

In tal senso la difesa rilevava il vizio di violazione di legge, censurando l’ordinanza sul punto ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B).

2-Con il secondo motivo rilevava la illogicità del provvedimento, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. E) avendo il Collegio ritenuto esistenti gli indizi di partecipazione del D.G. al sodalizio mafioso, attraverso elementi-quali i contatti con altri indagati – perduranti nel tempo – senza tuttavia indicare un contributo fornito dal predetto indagato, così ritenendo che gli indizi fossero inadeguati a sorreggere l’ipotesi accusatoria.

La difesa riteneva ininfluenti in tal senso sia i predetti contatti del D.G. con altri indagati, dei quali non veniva negata l’esistenza, sia il finanziamento fornito da altri in favore dei familiari del D.G., durante la detenzione, ritenendo pur sempre incerto il contributo del predetto ricorrente al sodalizio mafioso.

3 – Infine il difensore censurava il provvedimento per avere attribuito valore indiziario alle dichiarazioni del D.G., colte in una conversazione avvenuta in occasione della cattura di un latitante, (avendo l’indagato espresso il timore che potesse essere trovato nella documentazione sequestrata il proprio nominativo).

Ugualmente deduceva che sarebbero carenti i riscontri dell’intervento dell’indagato per la restituzione del veicolo fuoristrada sottratto al proprietario.

A riguardo rilevava che il Tribunale non aveva tenuto conto di note difensive, e concludeva chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.

Per ciò che concerne il primo motivo di ricorsoci rileva che il provvedimento impugnato rende conto del giudizio di utilizzabilità, e di legittimità dei decreti autorizzativi emessi dalla Procura della Repubblica, dopo avere evidenziato che, essendo l’intercettazione una operazione tecnicamente a carattere complesso, che prevede la fase di ascolto, la trasposizione dei dati su supporti informatici e la loro registrazione, ciò che resta vincolato alla esigenza di utilizzo degli impianti esistenti presso la Procura è la operazione di registrazione dei dati, che rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3.

Inoltre evidenzia che la registrazione delle comunicazioni avviene con il trasferimento delle stesse sulla memoria del sistema informatico esistente nei locali della Procura.

Quanto ai decreti ai quali la difesa faceva riferimento (aventi i numeri 775/09 e 2034/09 R. int.), il Tribunale ha evidenziato "che dai verbali di chiusura delle operazioni di intercettazione risulta che le registrazioni sono state effettuate mediante l’utilizzo del sistema MITO, con macchinari installati presso la sala ascolto della Procura della Repubblica di Palermo, sicchè nessuna violazione di legge può dirsi realizzata".

Il Tribunale cita altresì la nota dei CC. di Monreale in data 24 novembre 2010, dalla quale si evince che le conversazioni intercettate sulla base del decreto n. 453/09 del 25.2.2009 sono state registrate sul server installato presso la Procura della Repubblica di Palermo, con il sistema MITO. Da tali elementi il Collegio desumeva che era da ritenere che l’utilizzazione degli impianti esistenti per l’ascolto presso i CC. si era limitata alle sole apparecchiature per la "remotizzazione dell’ascolto", ma la registrazione era avvenuta correttamente presso i locali della Procura.

Tale interpretazione resta valida alla stregua della giurisprudenza di legittimità. Invero secondo sentenza Sez. 1, n. 35643 del 18.9.08 – RV 240988 -, nonchè Sez. 6, sent. n. 20058 del 20.5.2008 – Rv 239356 – "La remotizzazione delle intercettazioni presso gli uffici di polizia giudiziaria non esclude la piena utilizzabilità dei risultati di tale mezzo di ricerca della prova, essendo sufficiente che la registrazione sia avvenuta per mezzo di impianti installati presso la Procura della Repubblica, anche se le operazioni di ascolto, verbalizzazione e riproduzione dei dati così registrati siano eseguite negli uffici della polizia giudiziaria" – V. ancora Sez. 3, sent. n. 4111 del 28.1.2008 – RV 238534, nonchè Sez. 2, sent. n. 14030 del 3.4.2008 – RV 239395 – per cui "Sono utilizzabili le intercettazioni di conversazioni eseguite mediante apparecchi esistenti negli uffici della Procura della Repubblica anche quando l’ascolto avvenga in sede remota da parte degli organi di Polizia giudiziaria… ".

Deve altresì ritenersi legittimo l’uso di impianti esterni, come si evince da altra pronunzia di legittimità: – Sez. 6 – del 2-11-2009, n. 2744 – RV 242682 – recita "In materia di intercettazioni ambientali è legittima, in caso di urgenza e nell’ipotesi in cui la polizia giudiziaria non sia dotata delle necessarie apparecchiature, l’utilizzazione di impianti e mezzi appartenenti a privati, purchè le operazioni, autorizzate con decreto motivato del PM, si svolgano sotto il diretto controllo degli organi di polizia giudiziaria, in modo che i privati vengano ad agire, in tale evenienza, come longa manus o ausiliari del P.M. o della polizia".

Quanto alla censura riguardante la carenza della motivazione dei decreti del PM. essa si basa sulla pretesa ingiustificata valutazione di insufficienza degli impianti esistenti presso la Procura. Sul punto il rilievo della difesa resta ininfluente – non prospettando una assoluta mancanza di motivazione dei decreti.

D’altra parte, alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, in precedenza menzionato, deve ritenersi legittima l’esecuzione delle operazioni di intercettazione, in presenza delle condizioni di urgenza esplicitamente richiamate dal PM nella motivazione del decreto autorizzativo (che faceva riferimento alla nota trasmessa dai Carabinieri del gruppo investigativo) dovute alla esigenza di non pregiudicare l’esito delle indagini.

Per tali motivi la Corte ritiene insussistente il vizio di violazione di legge.

Il secondo motivo appare argomentato in fatto, e proponendo interpretazione diversa circa il quadro indiziario, mentre non vengono smentiti in concreto i collegamenti tra il ricorrente ed altri soggetti aderenti al sodalizio, come descritto nell’ordinanza impugnata.

Peraltro deve evidenziarsi la valenza indiziaria degli elementi riferiti – quale il contributo che ricevevano durante la detenzione del predetto ricorrente i congiunti, dal sodalizio (fatto desunto da una conversazione menzionata dal Tribunale nella motivazione del provvedimento, nella quale altri facevano riferimento alle somme di denaro da ricevere per consegnarle alla famiglia del detenuto).

Tale elemento, risulta valutato insieme ad altri dati processuali, quali il comportamento tenuto dal D.G. stesso, che ha mantenuto il contatto con il sodalizio contestato, emergendo – a livello indiziario – un complesso di risultanze che il Giudice del riesame ha coerentemente e adeguatamente valutato ai fini della legittimità del titolo cautelare.

Va infatti rilevato che, in presenza di congrua motivazione del provvedimento cautelare, sorretta da dati processuali specificamente richiamati, l’ordinanza deve ritenersi in questa sede incensurabile.

La Corte deve dunque pronunziare il rigetto del ricorso.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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