Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 05-05-2011) 21-07-2011, n. 29252 Dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione T.G. avverso l’ordinanza in data 28 dicembre 2010 con la quale il Tribunale del riesame di Lecce ha confermato, quale giudice dell’appello ex art. 310 c.p.p., l’ordinanza – del novembre precedente – con cui la Corte di assise di Brindisi aveva rigettato una istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere.

T., attualmente imputato, dinanzi alla detta Corte di Assise di tre reati di omicidio volontario aggravati sia dalla premeditazione che dal ricorso a modalità mafiose (omicidi di C. e R. commessi il (OMISSIS) e omicidio di M., commesso nel (OMISSIS)), era stato a suo tempo sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per tali reati sulla base di una seriali elementi ritenuti gravemente indizianti: e cioè la chiamata in correità effettuata dal coimputato D.E.V., divenuto collaboratore di giustizia, nonchè le dichiarazioni "de relato" di altri due collaboratori ( Co. e L.) ed infine il tenore di conversazioni dello stesso T., intercettate mentre parlava con i familiari nella sala-colloqui del carcere di (OMISSIS) ove era ristretto.

Era poi accaduto che nel corso del processo il D.E., escusso all’udienza del 15 aprile 2010, non aveva confermato le originarie dichiarazioni accusatorie. Solo in seguito, il 3 giugno 2010, era tornato ad accusare il T. ma con dichiarazioni spontanee e cioè sottraendosi all’esame da parte dei difensori. Su tale base la difesa aveva richiesto la revoca della misura per sopravvenuta mancanza dei gravi indizi di colpevolezza ma la Corte aveva respinto la richiesta e il Tribunale aveva confermato tale assunto ritenendo che il mutamento di versione da parte del D.E. fosse solo motivo di valutazione sulla attendibilità del dichiarante e che vi fossero comunque altri importanti elementi indiziari a carico.

Deduce la violazione degli artt. 273, 494 e 526 c.p.p. e art. 111 Cost. oltre al vizio di motivazione.

Le dichiarazioni accusatorie del D.E. rese, nella forma solo spontanea (art. 494 c.p.p.), alla udienza del 3 giugno 2010 sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, introdotto con L. n. 63 del 2001 per rendere il codice adeguato al corrispondente principio posto all’art. 111 Cost., comma 4.

Infatti tale novella, vietando che la prova della colpevolezza di un reato possa essere desunta dalle dichiarazioni di chi volontariamente si sottrae all’esame da parte dell’imputato o del difensore, non può non riverberare i propri effetti e limitare, negli stessi sensi, la utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee. Si sarebbe in presenza, in caso contrario, di una prova che, nei confronti dei terzi, risulterebbe comunque in violazione dell’art. 6 della Convenzione di Roma, in base alla stessa interpretazione della convenzione offerta dalla Corte europea.

Ne consegue che tali dichiarazioni non possono nemmeno essere valutate alla stregua dell’art. 192 c.p.p., comma 3.

D’altra parte la difesa critica anche la parte della motivazione del provvedimento impugnato con la quale sembrerebbe effettuata, con esito positivo, anche la sola prova di resistenza.

Le due chiamate in correità citate dal Tribunale del riesame, essendo de relato, non possono riscontrarsi reciprocamente (Cass. Sent. N. 710 del 2002). In secondo luogo le dichiarazioni di Co.

(il quale ha riferito le confidenze fattegli dallo stesso imputato) sarebbero frutto di una interpretazione "alterata oggettivamente". Il difensore invita questa Corte, infatti, a leggere il verbale delle dichiarazioni del Co., rese il 4 dicembre 2009, nel quale l’autore afferma che era stata una propria personale deduzione quella di ritenere che le confidenze del T., a proposito delle modalità dell’omicidio di C., si sarebbero realmente riferite a tale soggetto, mai indicato dal T. per nome.

Oltretutto si tratterebbe di dichiarazioni massimamente inattendibili perchè riferite ad una fonte (il T.) che non può essere escussa a sua volta per la qualità soggettiva del dichiarante (imputato).

Le dichiarazioni accusatorie del L., parimenti de relato, poi, sono state indicate dal Tribunale del riesame senza menzione alcuna della fonte. Tali fonti, in realtà individuabili nel padre e nello zio del L., erano a loro volta autori di dichiarazioni de relato perchè avevano reso informazioni su fatti appresi da terzi ignoti. Dunque fonti doppiamente de relato, rispetto alle quali la giurisprudenza richiede una particolare cura nella analisi devoluta la giudice del merito.

Il Tribunale non avrebbe poi motivato in ordine alla circostanza che alla udienza del 4 dicembre 2009, altro collaboratore, tale M., ha indicato soggetti diversi quali autori dell’omicidio di C. e R..

Infine, quanto all’elemento indiziario costituito dalle intercettazioni ambientali del 29 giugno e 27 luglio 2001, il difensore rileva ugualmente una carenza di motivazione a proposito del fatto che la trascrizione operata dalla Polizia giudiziaria non coincide con quella affidata al perito di ufficio successivamente.

Tale nuova trascrizione inficerebbe completamente la interpretazione accreditata in fase di riesame ex art. 309 c.p.p..

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Non si apprezzano le violazioni di legge e tantomeno il vizio di motivazione lamentato dal ricorrente.

Il Tribunale del riesame quale giudice dell’appello ha infatti prospettato un costrutto delle emergenze gravemente indizianti e della loro attualità che non si espone alle censure articolate dalla difesa.

Si tratta invero della chiamata di correo operata dal D.E. sia nella fase delle indagini preliminari che, successivamente, mediante – sia pure in maniera altalenante – dichiarazioni spontanee; inoltre degli elementi di riscontro costituiti dalle dichiarazioni accusatorie de relato di altri due collaboratori di giustizia nonchè del tenore di intercettazioni ambientali relative a conversazioni con parenti che si dicono ammissive di responsabilità da parte del T..

La censura del ricorrente si appunta in primo luogo sulla attitudine probatoria dell’ultima chiamata di correo operata dal D.E., mediante dichiarazioni spontanee e quindi senza che il dichiarante abbia dovuto subire l’esame e il controesame delle parti. Senonchè non deve cadersi nell’errore prospettico da cui sembra affetta la osservazione del difensore atteso che la regola di giudizio posta dall’art. 526 c.p.p., comma 1 bis – che nega attitudine probatoria alle dichiarazioni rese da chi volontariamente si è sempre sottratto all’esame delle parti, regola di cui il difensore reclama la applicazione- non opera nella situazione procedimentale qui in esame.

L’art. 526 c.p.p., comma 1 bis – con la categoria della inutilizzabilità della prova assunta in violazione dei detti precetti, che da essa può ricavarsi – attiene al piano della dimostrazione della colpevolezza, nel giudizio sulla responsabilità e non anche a quello indiziario proprio del procedimento cautelare, come si desume sia dalla collocazione nel codice di rito ("deliberazione" della "sentenza", capo 1, tit. 3, libro 7), sia dalla terminologia utilizzata (…colpevolezza…provata..) sia, infine, dal fatto che la osmosi delle regole del giudizio in quelle della cautela, così come regolata dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, non è estesa all’art. 526 c.p.p., comma 1 bis.

Discende da ciò che, come rilevato dal Tribunale del riesame e dalla giurisprudenza della Cassazione anche successiva alla novella del 2001, le dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell’art. 494 c.p.p. da chi si avvale della facoltà di non sottoporsi ad esame nel contraddittorio fra le parti, sono emergenze non inutilizzabili ma valutabili dal giudice del merito, sia pure con un certo logico sfavore derivante dalla modalità di acquisizione (vedi Sez. 1, Sentenza n. 25239 del 20/05/2001 Ud. (dep. 21/06/2001) Rv. 219432).

Ciò posto è poi da considerare che nella situazione descritta nella ordinanza ed anche ricavabile dal ricorso, la originaria chiamata di correo operata dal D.E. nella fase delle indagini preliminari non ha perso automaticamente valore indiziante per ciò che concerne la decisione sul gravame riguardante la misura cautelare.

La valutazione degli atti di indagine resta superata infatti soltanto dalla emissione della sentenza di primo grado (confr. tra le molte, Sez. 1, Sentenza n. 2350 del 22/12/2009 Cc. (dep. 19/01/2010) Rv.

246037).

In difetto, resta al giudice procedente, quale giudice anche della cautela ed al Tribunale del riesame, il potere ed il dovere di apprezzare, in presenza dei presupposti formali, la incidenza di eventuali novità dibattimentali rispetto al quadro indiziario delineato e rimasto confermato in sede di riesame.

E nella specie il Tribunale del riesame ha, con motivazione congrua e logica, affermato che non è apprezzabile un mutamento sostanziale del quadro indiziario implicitamente anche sostenendo che le ultime dichiarazioni spontanee del chiamante si saldano – lo si ripete, sul piano indiziario ed ai fini della cautela- con quelle accusatorie rese nelle indagini preliminari.

In altri termini, tutto il costrutto difensivo teso ad accreditare la tesi che la chiamata di correo del D.E. sarebbe costituita, allo stato, dalle sole sue dichiarazioni spontanee, come tali non utilizzabili neanche ai fini della verifica di cui al l’art. 192 c.p.p., comma 3, deve ritenersi non fondata.

La chiamata di correo, allo stato persiste sul piano tecnico- giuridico e dunque correttamente le dichiarazioni accusatorie de relato degli altri due collaboratori di giustizia sono state valorizzate come riscontro ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3, unitamente alle intercettazioni ambientali.

Quanto a tali ultime emergenze, poi, è da evidenziare che le critiche formulate dalla difesa sono inammissibili proprio nella relativa prospettazione.

Certamente non può essere devoluto al giudice della legittimità l’apprezzamento diretto ed immediato di emergenze indiziarie quali il tenore delle dichiarazioni dei detti collaboranti de relato sia in quanto si tratta di un giudizio di merito sul fatto, di competenza esclusiva del Tribunale a quo, sia in quanto sembra comprendersi che tali dichiarazioni abbiano già formato oggetto di disamina in sede di riesame con ordinanza del 30 maggio 2008, citata anche nel provvedimento impugnato. Il fatto che l’art. 606 c.p.p., lett. e) sia stato modificato dal legislatore del 2006 non implica affatto, diversamente da quanto il difensore sembra sostenere a pag. 12 del gravame, che la Cassazione possa oggi essere chiamata a valutare il merito delle risultanze di prova, sol perchè la parte gliele sottoponga mediante citazione nel ricorso.

Il vaglio della Cassazione è rimasto quello della sola legittimità, come affermato dalla giurisprudenza assolutamente univoca di questa Corte e la innovazione introdotta nell’art. 606 c.p.p., lett. e) consiste esclusivamente nell’avere legittimato il ricorso per cassazione per presunto travisamento della prova: questo si ha quando la parte alleghi e dimostri che il contenuto di una emergenza assolutamente decisiva per le sorti della procedura, sia stato apprezzato in maniera del tutto difforme dalla realtà. Non anche quando la prova, specie quella dichiarativa, abbia formato oggetto di un vaglio da parte del giudice del merito, che in quanto tale si sottrae alla critica dell’interessato volta soltanto ad accreditare una diversa interpretazione dell’emergenza stessa.

Sono dunque da qualificare come irricevibili tutte le doglianze della difesa mirate a sollecitare questa Corte ad una rilettura delle dichiarazioni dei pentiti, per le quali oltretutto, opera il principio generale del formarsi della preclusione dovuta vuoi al già avvenuto apprezzamento della stessa emergenza con provvedimento del Tribunale del riesame divenuto definitivo, vuoi al fatto che, nella procedura incidentale in esame, la parte avrebbe dovuto dimostrare di avere sottoposto la medesima questione in primo luogo al giudice del merito, del quale oggi potrebbe dunque, solo criticare la logica del ragionamento e non la conclusione della valutazione.

Infine palesemente inammissibile è la doglianza con cui si rappresenta una certa divergenza tra il contenuto delle intercettazioni come trascritte dalla PG e quello trascritto dal perito del dibattimento.

Tale censura è infatti formulata in termini assolutamente generici ed assertivi, senza la indicazione delle ragioni di fatto, richieste dall’art. 581 c.p.p., che dovrebbero sostenere il motivo di ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Manda la cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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