Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-04-2011) 21-07-2011, n. 29111

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.F. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ex art. 625 bis c.p.p. avverso la sentenza n. 698/2010 emessa il 7 aprile 2010 dalla 6 sezione penale della Corte di cassazione con cui è stato dichiarato inammissibile il suo ricorso con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di n.d.p. per prescrizione.

A sostegno dell’impugnazione il ricorrente deduce:

a) l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità relativo all’errore percettivo causato da una svista nella lettura degli atti interni al giudizio e connotato dall’influenza esercitata nel processo formativo della volontà, viziato dalla inesatta percezione delle risultanze processuali che, in caso contrario, avrebbe condotto ad una decisione diversa (testimonianza del Ma. da cui non sarebbe desumibile con certezza, in assenza della mancata testimonianza del teste F., ritenuto residente all’estero, senza possibilità di verifica, la presenza del M. all’interno dell’ufficio postale da cui è stata spedita la lettera in base alla quale lo stesso M. è stato poi individuato; la testimonianza doveva ritenersi inutilizzabile e a questa eccezione la Corte di cassazione non avrebbe risposto. b) censura poi la motivazione in base alla quale è stato ritenuto che il fatto narrato nella missiva del 30 aprile 2001, come indicato nel capo di imputazione, fosse riferibile a F.A.M., indicata come parte offesa, anzichè, al limite, come era logico dedurre dal contenuto della lettera, ed era stato evidenziato nel ricorso, verso l’arch. Fa.Al..

Il ricorso è inammissibile in quanto il M. non può ritenersi legittimato ad adire questa procedura.

Con sentenza del 10 febbraio 2009 la Corte d’appello di Roma ha dichiarato di n.d.p. nei confronti del ricorrente essendo i reati a lui ascritti estinti per intervenuta prescrizione. La declaratoria d’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso tale sentenza ha fissato la condizione del ricorrente in quella di soggetto nei cui confronti è stata pronunciata una sentenza di improcedibilità per tale motivo. Lo stesso pertanto non riveste la qualità di "condannato", condizione essenziale e legittimante per esperire il ricorso in esame (v. Cass., sez. 1, 20 maggio 2008, n. 23150, C.E.D. cass., n. 240202). Tale circostanza è assorbente delle censure relative ai motivi di merito, in ordine ai quali peraltro non sussistono le condizioni per l’accoglimento della domanda.

Sotto questo profilo occorre sottolineare che storia, ratio e lettera dell’art. 625 bis c.p.p., – introdotto dalla L. 19 aprile 2001, n. 128, art. 6, su sollecitazione della Corte Costituzionale (sent. n. 395 del 2000) e sul modello di quanto era avvenuto in relazione l’art. 395 c.p.c., comma 4, (sentenza n. 17 del 1986 cui seguiva l’introduzione dell’art. 391 bis, sentenza n. 36 del 1991) – hanno contribuito alla formazione di canoni interpretativi divenuti consolidati (v. tra le molte altre, Sez. un. c.c. 27 marzo 2002, Basile), anche per via della sostanziale adesione ad essi di larga parte della dottrina e della speculare elaborazione già formatasi, appunto, sull’art. 395 c.p.c., comma 5.

Così, il rilievo che la regola dell’intangibilità dei provvedimenti della Corte di Cassazione – pur avendo perduto il carattere di assolutezza per effetto appunto dell’art. 625 bis c.p.p. in materia penale e di quello, analogo, della revocazione per la materia civile – resta un cardine del sistema delle impugnazioni e della formazione del giudicato nonchè del sistema stesso processuale (Sezioni Unite, sentenza 2002, Basile nonchè C. Cost. n. 294 del 1995, e ivi citate nn. 247 del 1995, 21 del 1982, 136 del 1972, 51 e 50 del 1970; Corte di Giustizia, sentenza 1.6.1999, C-126/97, punto 46; sentenza 30.9.2003, C-224/01, p. 38; Corte EDU, sentenza del 12 gennaio 2006, Kehaya e altri c. Bulgaria, ric. n. 47797/99 e 68698/01), e sta alla base del principio che le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario non possono trovare applicazione oltre i casi in esse considerati in forza del divieto sancito dall’art. 14 disp. gen., costituendo appunto deroga all’intangibilità del giudicato.

Natura eccezionale del rimedio e lettera della disposizione che lo istituisce non consentono di sindacare a mezzo di ricorso straordinario altro (asserito) errore di fatto che non sia quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte di Cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità, che deve essere connotato altresì dall’influenza esercitata sulla decisione (in tal senso "viziata") dalla inesatta percezione di risultanze processuali, il cui svisamento conduce ad una sentenza diversa da quella che sarebbe adottata senza l’errore e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono effetto di detto errore.

Di conseguenza: – va esclusa ogni possibilità di dedurre errori valutativi o di giudizio;

– l’errore di fatto censurabile secondo il dettato dell’art. 625 bis c.p.p., deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di Cassazione (S.U. n. 16103 del 2002, Basile citata), e, per usare la terminologia dell’art. 395 c.p.c., n. 4, cui si è implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione dell’art. 625 bis c.p.p., nel supporre "la esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa" ovvero nel supporre "l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita": e purchè tale fatto non abbia rappresentato "un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare", anche implicitamente ovvero che al dibattito processuale "appartiene per legge (questioni rilevabili d’ufficio)" (cfr. S.U. civili nella sentenza 14.2.1983 da cui C. Cost. n. 17 del 1986 e, per ulteriori canoni interpretativi, v. il dibattito in Assemblea nella seduta 844 del 24.1.2001, in relazione all’emendamento 5.56.3 degli onorevoli P., S., m.);

– l’errore di fatto deve dunque rivestire "inderogabile carattere decisivo";

– può consistere anche nell’omissione dell’esame di uno o più motivi del ricorso per Cassazione, sempre che risulti dipeso "da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura", ovverosia sempre che l’omesso esplicito esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo "un rapporto di derivazione causale necessaria", una decisione che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo; con l’avvertenza (cfr. Cass. Sez. 5, n. 11058 del 10/12/2004, Buonanno) che il disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, secondo cui "nella sentenza della Corte di Cassazione i motivi di ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili per la motivazione", non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure e non analiticamente riprodotto in sentenza sia stato non letto anzichè implicitamente ritenuto non rilevante;

– deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunziabile con ricorso straordinario possano essere ricondotti gli errori percettivi non inerenti al processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perchè riferibili alla decisione del giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione (S.U. n. 16103 del 2002 citata, Basile).

2.1. In conclusione, e per quel che rileva ai fini del presente giudizio, esulando dall’errore di fatto ogni profilo valutativo, esso coincide con l’errore revocatorio, secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della "invenzione" o della "omissione", non estensibile al travisamento delle risultanze, in cui sia in tesi incorsa la stessa Corte di Cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio. Il cosiddetto "travisamento del fatto", e cioè il travisamento del significato anzichè del significante, non può in nessun caso legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., tantomeno quando sia dedotto come vizio della decisione del giudice di merito. E neppure può essere, comunque, dedotto ai sensi dell’art. 625 bis c.p., l’errore revocatorio in cui sarebbe incorso il giudice di merito. I criteri di interpretazione dei fatti, dibattuti nel giudizio di legittimità e oggetto di valutazione anche implicita, non possono essere riproposti sotto forma di errori di fatto.

2.2. Tanto premesso, è evidente dalla lettura dello stesso ricorso straordinario, oltre che dalle sentenze impugnate e dagli atti di legittimità, che il ricorrente ipotizza difetti di giudizio estranei al paradigma dell’art. 625 bis c.p.p..

Non può in particolare ricondursi alla nozione di errore di fatto nessuno degli "errori" di lettura, comprensione o valutazione degli atti processuali del giudizio di merito, che il ricorrente denunzia ripetendo prospettazioni difensive già esaminate sia nella prima sia nella seconda sentenza. Tutte le questioni sulla testimonianza attengono a valutazioni di merito, ampiamente dibattute e motivate per gli aspetti ritenuti logicamente essenziali. Il travisamento dei significati e del valore probatorio delle loro dichiarazioni non costituisce travisamento del fatto nella sola accezione compatibile con il giudizio di legittimità. Le prove che si sostengono non considerate dal giudice di merito potrebbero semmai integrare un errore revocatorio di quello, ove ne risultasse la decisività, ma non riguardano errori interni al giudizio di legittimità.

Allo steso modo non può essere censurata sotto il profilo invocato la valutazione del contenuto della missiva sopraindicata.

3. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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