Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-04-2011) 21-07-2011, n. 29088

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.G.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, in data 22 aprile 2010, della Corte d’appello di Reggio Calabria, pronunciato a seguito di rinvio della Corte di cassazione in data 28 aprile 2008, con la quale è stata confermata la sentenza emessa dal GUP di Messina in data 24 maggio 2004, in ordine al reato di calunnia.

A sostegno del ricorso la ricorrente ha dedotto:

a) Contraddittorietà della motivazione.

La ricorrente contesta l’adeguamento operato dalla Corte di Messina rispetto alle indicazioni contenute nella sentenza di rinvio della Corte di cassazione; in particolare censura la mancata revisione in ordine alla motivazione relativa all’attendibilità della testimonianza di A.M.A..

In particolare contesta il mancato giudizio di inattendibilità della figlia, pur riconoscendo che la stessa è risultata essere un soggetto facilmente suggestionabile; in conclusione anche se la figlia risultasse essere un soggetto passivo di circonvenzione, la ricorrente non potrebbe essere ritenuta responsabile del reato di calunnia, avendo riferito quello che ha appreso dalla figlia stessa. b) Illogicità della motivazione. Errore sulla capacità dell’ A.M.A..

Con riferimento alla censura formulata in sede di rinvio e relativa alla mancata considerazione "dell’ipotesi che la madre possa aver sopravvalutato particolari sui rapporti rivelatile liberamente dalla figlia", la ricorrente censura le valutazioni operate dalla Corte di merito che ha ricondotto le dichiarazioni dell’ A.M.A. alle indicazioni impostele dalla madre, che sarebbe stata l’ideatrice del contenuto delle false dichiarazioni.

Tali conclusioni sarebbero smentite dalle dichiarazioni rese dalla stessa A.M.A. ai CC di S. Teresa di Riva, in data 6 giugno 2000, e dalla condizione di soggetto facilmente suggestionabile, che sarebbe confluito anche sull’attendibilità della testomonianza convergente della sorella A.S..

Queste circostanze avrebbero dovuto portare la Corte di merito a ritenere insussistente l’elemento soggettivo del reato di calunnia.

I motivi sono infondati e il ricorso deve essere rigettato.

In apparenza si deduce un vizio attinente alla contraddittorietà della motivazione inerente ad una scorretta valutazione delle prove concernenti il fatto reato ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole alla ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità; si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità, (Cass. sez. 4^, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n 12/2000, Jakani, rv 216260), in particolare con il vaglio operato nei confronti delle deposizioni della teste A.M.A., presunta protagonista della vicenda oggetto della denuncia sporta da A.G.C. nei confronti del figlio A. A., la cui attendibilità è stata valutata in maniera approfondita, con spirito critico ed in modo esaustivo,(si vedano le considerazioni sulla piena attendibilità della teste, nonostante il ritardo mentale di grado medio della medesima – p.6 e segg. della sentenza -, in base alle conclusioni della consulenza tecnica psichiatrica).

Della coerente capacità critica della A.M.A. correttamente la Corte ha individuato logici riscontri nella dichiarazione testimoniale della sorella A.S., che ha riferito le confidenze fattele dalla sorella sull’ideazione della inesistente violenza del fratello nei suoi confronti durante la gita al mare del giugno 1999.

La motivazione del disegno criminogeno dell’imputata viene ricondotto dunque alla volontà di fare uscire il figlio Am.An. di casa in modo definitivo, vista la sua posizione fortemente critica nei confronti della vita che conduceva la madre, circostanza confermata dalla stessa A.S..

Appare pertanto pienamente condivisibile la ritenuta sussistenza del dolo di calunnia da parte della Corte di merito, una volta esclusa la possibilità della sopravvalutazione delle dichiarazioni della A.M.A. da parte della A.G.C., rispetto all’effettivo contenuto, proprio per la loro caratteristica di dichiarazioni indotte e non spontanee e l’assenza di qualsiasi carattere confidenziale.

Peraltro è stato correttamente sottolineato come l’ A.G.C. abbia addirittura negato di aver avuto la volontà di denunciare gli abusi sessuali che sarebbero stati perpetrati dal figlio nei confronti della sorella, nonostante la chiara indicazione riportata nella denuncia.

Alla luce delle suesposte considerazioni l’impugnazione va rigettata.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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