T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 28-07-2011, n. 6732

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

parte ricorrente, da tempo detentore di licenza per porto di fucile da caccia nonché di licenza per porto d’arma per difesa personale, veniva rinvenuto, da personale dell’Arma dei CC, in data 08.3.2011, riverso ed in stato di incoscienza al volante della propria autovettura: fatto dovuto, come successivamente riscontrato in sede ospedaliera (ove l’infermo veniva tempestivamente condotto tramite il "Servizio 118"), ad una elevata ed incongrua assunzione del farmaco "Valium" e, probabilmente, originato – come riferito nell’immediatezza del fatto dalla consorte della ricorrente – da una lite (risalente al giorno precedente) di quest’ultimo con la propria figlia (nell’occasione, dietro richiesta della consorte, i militari rinvenivano all’interno dell’autovettura, una bottiglia di plastica contenente veleno per topi, che veniva riconosciuta, senza dubbi dalla moglie: ved. Relazione servizio militari Arma dell’8.3.2011 depositata da parte resistente);

Considerato che, di seguito a tale accaduto, le competenti Autorità (acquisito il referto dell’Ospedale: ved. nota CC Orte del 9.3.2011), provvedevano:

– il Questore di VT a revocare la licenza di porto di fucile da caccia;

– il Prefetto di VT a revocare la licenza di porto d’arma corta per difesa personale e, con separato provvedimento, a vietare al medesimo ricorrente, ex art.39 Tulps, la detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente;

Considerato che avverso i sopra citati atti parte ricorrente si è gravata con i ricorsi in epigrafe, sostanzialmente del medesimo tenore, deducendo che il proposito suicida manifestato (al personale ospedaliero) è conseguenza del pericoloso mix di sostanze farmaceutiche ingerite i cui effetti, una volta cessati, hanno consentito il ripristino di situazione di equilibrio; e cioè di quella situazione che mai ha lasciato temere che esso ricorrente possa fare un uso improprio delle armi che ha licenza di portare e delle quali è detentore;

Considerato che, stante l’evidente connessione che caratterizza i ricorsi in epigrafe, gli stessi possono essere riuniti per essere definiti con un’unica decisione in forma abbreviata: evenienza questa della quale sono state informate le parti presenti, nessuna delle quali ha manifestato l’intendimento di assumere alcuna delle iniziative indicate nell’art.60 del C.p.a.;

Considerato che:

– è riconosciuta dal ricorrente la circostanza della manifestazione, ai sanitari ospedalieri, pur nell’imminenza del fatto e a cagione della sopra descritta situazione psichica, del citato proposito suicida;

– nel "Modulo attivazione piantonamento per patologia psichiatrica" dell’Asl di VT, unito in atti dallo stesso ricorrente, la "Possibilità di comportamenti suicidi o violenti" viene giudicata "media" (su tre voci: scarsa, media, elevata);

– nella certificazione neurologica del Prof. Brogi, Primario di Neurologia, del 13.2.2011, viene indicata la causa originatrice della malattia che affligge il ricorrente, definita "lentamente ingravescente" e causa di circoli viziosi che alimentano il dolore (terapia suggerita: farmaci muscolo rilassanti, sedativi ad azione centrale ed antidolorifici, oltre al consiglio di evitare stress);

Considerato che la corte Costituzionale (sentenza n. 24 del 1981), sia pure ai soli fini dell’ammissibilità del quesito referendario volto a conseguire l’abrogazione della norma che abilita al porto d’armi, ha statuito che detto porto costituisce "una deroga al divieto sancito dall’art. 699 del codice penale e dall’art.4, primo comma. della legge n. 110 del 1975". E tanto, ha osservato la stessa Corte nella sentenza nr. 440 del 1993, "in una linea pressoché conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, attenta a rimarcare come il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il "buon uso" delle armi stesse; in modo tale – così e testualmente detto in alcune decisioni -da scagionare dubbi o perplessità sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività, dovendo essere garantita anche l’intera, restante massa dei consociati sull’assenza di pregiudizi (di qualsiasi genere) per la loro incolumità";

Considerato che tale principio trovava e trova tuttora conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che non ha esitato a ribadire che il possesso da parte di un cittadino di un’arma, o l’utilizzo della medesima a fine di caccia, non rientra nello "statuto ordinario dei diritti della personalità appartenenti al singolo", ma costituisce un quid pluris, la cui concessione risente della necessità che, stante il potenziale pericolo rappresentato dal possesso e dall’utilizzo dell’arma, l’Amministrazione si cauteli mercè un giudizio prognostico che, ex ante, escluda la possibilità di abuso" (cfr. Cons. St. ex plurimis, nn. 3558 e 3293 del 2010).

Considerato che altro principio che connota la materia è quello (affermato dalla Corte Costituzionale nella sent. n.440 del 1993) in sintonia al quale dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità é tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli a situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti. Il che consente che il diniego all’uso dell’arma si fondi su concreti elementi che, pur non tradottisi in una condanna o nell’inizio di un procedimento penale, siano rivelatori di una condotta per di più sintomatica di una possibilità di abuso delle armi;

Considerato che anche l’appena delineato principio trova pacifico, consolidato e granitico riscontro nella giurisprudenza amministrativa. Così più volte il Consiglio di Stato ha affermato che "in subiecta materia, l’orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente ha costantemente ritenuto che "la revoca della licenza del porto di fucile costituisce esercizio del potere di cui all’art. 43 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, che implica una valutazione tipicamente discrezionale in ordine all’affidabilità del titolare della licenza ai fini dell’uso dell’arma…..(VI^, nr. 2495 del 2006). Si è pertanto affermato che sono legittimi il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi e la revoca del permesso al porto di pistola disposti sulla base di una serie di fatti i quali, nell’apprezzamento che ne fa l’amministrazione, possono indurre in quel momento ad ipotizzare un uso improprio dell’arma in modo da non recare danno ed altri…… Sotto il profilo della consistenza del dato probatorio sotteso alla valutazione amministrativa, la Sezione ha in passato affermato che ai fini della revoca del porto d’armi è sufficiente che sussistano elementi indiziari circa la mera probabilità di un abuso dell’arma da parte del privato………(VI, nr.6170 del 2005) L’art. 39 del R.D. n. 773/1931, nel prevedere il potere del Prefetto di vietare la detenzione di armi, munizioni ed esplosivi a carico delle persone ritenute capaci di abusarne, configura un potere di valutazione eminentemente discrezionale, da esercitarsi con prevalente riguardo all’interesse pubblico all’incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo di turbamento che può derivare dall’eventuale uso delle armi, in riferimento alla condotta ed all’affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità di abuso delle stesse. A tale affermazione consegue, tra l’altro, che, considerato il carattere preventivo delle misure di polizia, non è richiesto che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso da parte del soggetto interessato, essendo sufficiente che – sulla base di elementi obiettivi – quest’ultimo dimostri una scarsa affidabilità nell’uso delle armi, o un’insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni….(cfr. VI^, n. 238 del 2004 e nn. 3558 e 3293 del 2010 sopra richiamate);

Considerato che, nel caso di specie, il pericolo dell’appena citata "insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni" costituisce, anche sulla base delle certificazioni mediche esibite dallo stesso ricorrente, un dato, obiettivamente, non confutabile e che i provvedimenti impugnati fanno chiaro riferimento al pericolo di detta insufficienza, con accessiva infondatezza delle doglianze prospettate in gravame;

Considerato che le spese di lite, attesa la peculiarità della controversia, possono essere compensate tra le parti in causa;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) previa riunione dei gravami in epigrafe, pronunciandosi ai sensi dell’art.60 del C.p.a., li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *