Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-12-2011, n. 26877 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata, fra l’altro, accoglie l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro in data 10 febbraio 2005 e, per l’effetto, respinge la domanda originaria di S.G. volta ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto alle differenze retributive per le superiori mansioni (asseritamente dirigenziali) svolte dal 31 dicembre 1990 al 4 giugno 2001.

La Corte d’appello di Ancona, per quanto qui interessa, precisa che:

a) deve essere confermata la sentenza di primo grado, nella parte in cui ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per le questioni attinenti il rapporto di lavoro antecedenti al 30 giugno 1998, essendo esse devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

b) infatti, in base ad un consolidato orientamento delle Sezioni unite della Corte di cassazione, nelle ipotesi in cui, come nel presente giudizio, la pretesa azionata da un dipendente di una pubblica amministrazione sia riconducibile a fatti costitutivi posti in essere a cavallo del 30 giugno 1998 (giorno in cui è entrata in vigore la riforma del pubblico impiego che ha comportato la devoluzione all’AGO delle relative controversie) e sia scindibile in singoli rapporti obbligatori riferibili a diverse unità temporali (come le mensilità retributive) la competenza giurisdizionale deve essere ripartita tra giudice amministrativo e giudice ordinario, a seconda delle diverse fasi temporali;

c) per quel che riguarda il merito, va ricordato che, in seguito all’approvazione (con Delib. 28 luglio 1998, n. 799) del Regolamento organizzativo prescritto dalla suddetta riforma, l’INPS ha intrapreso il processo di rinnovamento della propria organizzazione, conseguente alla privatizzazione del pubblico impiego con la correlativa riforma della dirigenza, strutturandosi su tre livelli: Direzione generale nazionale, Direzione regionale, Agenzie di produzione;

d) gli inquadramenti professionali stabiliti dal c.c.n.l. 1998/2001 del settore hanno completato l’assetto organizzativo definito – nelle sue linee fondamentali – dal suddetto Regolamento;

e) sulla base del suindicato c.c.n.l. 1998/2001 il personale con qualifica ad esaurimento L. n. 88 del 1989, ex art. 15 – come il S. – è stato collocato, nell’ambito del personale non dirigenziale, nell’Area C (di cui alla tabella allegata allo stesso c.c.n.l.), al di sopra, per il trattamento economico, del livello C4 (ex 9^ qualifica funzionale) corrispondente al "funzionario apicale";

f) l’assetto previsto dal suddetto Regolamento di organizzazione è stato compiutamente realizzato con le circolari n. 17 del febbraio 1999 e n. 2 del 4 gennaio 2001 (la quale ultima ha, fra l’altro, individuato le Direzioni provinciali, fra le quali quella di Pesaro);

g) ancorchè l’organizzazione nuova dell’Istituto sia stata attuata compiutamente solo alla fine dell’anno 2001, tuttavia nell’ipotesi di rivendicazione di differenze retributive per mansioni dirigenziali – al fine della classificazione dei compiti esercitati dai dipendenti interessati – la normativa di riforma della categoria dei dirigenti introdotta dal D.Lgs. n. 29 del 1993 si deve considerare di immediata applicazione;

h) sulla base della nuova classificazione dei dirigenti introdotta dalla suindicata normativa è da escludere che le mansioni esercitate dal S. nella qualità di direttore dell’ufficio "Contabilità" (poi denominato "Contabilità e finanza") siano da considerare di carattere dirigenziale, visto che secondo l’organico previsto dalla nuova organizzazione al suddetto ufficio dovrebbe essere assegnato un "funzionario apicale" e l’unico posto di livello dirigenziale nella struttura di Pesaro è soltanto quello del Direttore provinciale;

i) del resto, dalla prova testimoniale è emerso che il S. non aveva responsabilità di gestione e di spesa e non disponeva di autonomia di budget.

2.- Il ricorso di S.G. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, l’INPS, che deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Motivi della decisione

1 – Profili preliminari.

1.- In via preliminare deve essere disattesa la richiesta del Sostituto Procuratore generale volta ad ottenere la dichiarazione di improcedibilità del ricorso, a causa del mancato deposito della contrattazione collettiva invocata.

Va, infatti, osservato che, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 – non si riferisce alle norme della contrattazione collettiva nella specie invocate, trattandosi di clausole di un contratto di diritto pubblico nazionale, che, in quanto tale, presenta una peculiare specialità in ragione della dettagliata regolamentazione della legittimazione contrattuale e del procedimento formativo, della verifica da parte della Corte dei conti della compatibilità economica e finanziaria dei relativi costi, nonchè della prescritta pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ai senti del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, (vedi, per tutte: Cass. SU 12 ottobre 2009, n. 21568; Cass. SU 4 novembre 2009, 23329; Cass. SU 23 settembre 2010, n. 20075;

Cass. 11 aprile 2011, n. 8231).

2 – Sintesi dei motivi.

2.- Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., nonchè degli artt. 2103 e 2123 cod. civ., del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 del D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e art. 69, comma 3; del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 17 come sostituito prima dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 10 e poi dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 12; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione insufficiente, confusa e contraddittoria su punti decisivi della controversia.

Si sostiene che nell’ipotesi di formale attribuzione da parte di una pubblica amministrazione, nel proprio esclusivo interesse, di un posto in organico vacante che comporti lo svolgimento di funzioni superiori a quelle di appartenenza, al dipendente, in base alla suddetta normativa, deve essere riconosciuto il diritto alle differenze retributive, con tutte le consequenziali ricadute sul trattamento previdenziale e di quiescenza.

3.- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 17 tenuto conto della delibera del Consiglio di amministrazione dell’INPS n. 7 dell’8 aprile 1993, approvata dai Ministeri vigilanti (cioè: Ministeri del Lavoro, del Bilancio e dell’Economia), ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 1; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione erronea e contraddittoria.

Si rileva che la Corte d’appello, attraverso una accorta e completa valutazione delle risultanze processuali e soprattutto con un adeguato esame della suindicata Delib. n. 7 del 1993, con la quale è stata data attuazione al D.Lgs. n. 29 del 1993, avrebbe dovuto riconoscere al S. il diritto alle differenze retributive conseguenti al formale affidamento e al comprovato esercizio delle superiori mansioni dirigenziali, svolte fino alla concreta realizzazione del nuovo modello organizzativo da parte dell’Istituto, verificatisi nell’anno 2001. 4.- Con il terzo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e del principio di cui all’art. 24 Cost., per il principio formale e sostanziale di ragionevolezza e di quello dell’economia dei giudizi del diritto sostanziale nonchè del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7.

Si sostiene che la perdurante omissione della corresponsione delle differenze retributive in argomento avrebbe realizzato un comportamento illecito permanente dell’amministrazione, fonte di un indebito arricchimento per la stessa con danno permanente del dipendente, cessato al momento della cessazione dell’illecito.

Pertanto, la determinazione della giurisdizione soltanto con riferimento a quest’ultimo momento sarebbe in contrasto con le sopra richiamate norme costituzionali. D’altra parte, si aggiunge, che la decadenza dell’azione davanti alla giurisdizione amministrativa esclusiva, derivante dalla norma transitoria di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, – derogatoria rispetto al principio generale, sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., secondo cui tempus regit actum e riformulata da parte del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, -dovrebbe considerarsi pregiudizievole del diritto sostanziale del dipendente, che dovrebbe essere temporalmente limitato solo dalla prescrizione.

2. – Esame dei motivi.

5. – In ordine logico deve essere esaminato per primo il terzo motivo.

Con esso il ricorrente non pone alla Corte una questione di giurisdizione, ma, come detto, solleva la questione del contrasto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, con gli artt. 3 e 24 Cost..

In base ad un orientamento consolidato delle Sezioni unite di questa Corte, seguito anche dalle altre Sezioni, in tema di lavoro pubblico cosiddetto privatizzato, ai sensi della norma transitoria contenuta nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, nel caso in cui il lavoratore-attore, sul presupposto dell’avverarsi di determinati fatti, riferisca le proprie pretese (nella specie, accertamento del diritto ad una superiore qualifica e alle conseguenti differenze retributive) ad un periodo in parte anteriore ed in parte successivo al 30 giugno 1998, la competenza giurisdizionale non può che essere distribuita tra giudice amministrativo in sede esclusiva e giudice ordinario, in relazione ai due periodi. Tale regola del frazionamento della domanda trova temperamento in caso di illecito permanente, nel senso che, ove la lesione del diritto del lavoratore abbia origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro (ad esempio, dequalificazione, comportamenti denunciati come mobbing), si deve fare riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e, quindi, al momento della cessazione della permanenza, con la conseguenza che va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario allorchè tale cessazione sia successiva al 30 giugno 1998 (vedi per tutte: Cass. SU 12 giugno 2006, n. 13567; Cass. SU 31 marzo 2009, n. 7768).

Ciò posto, la questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata poichè il suddetto principio del frazionamento corrisponde all’antica regola tempus regit actum, canonizzata attualmente nell’art. 11 preleggi e (pur derogabile), idonea alla precisa tutela del cittadino anche in sede giurisdizionale.

La Corte d’appello di Ancona si è conformata al suddetto orientamento, cui il Collegio intende dare continuità. 6.- Il primo e il secondo motivo – da esaminare congiuntamente, data la loto intima connessione – sono del pari infondati.

La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affrontare tematiche analoghe a quelle prospettate dall’attuale ricorrente (vedi, ex plurimis: Cass. 9 maggio 2007, n. 10540; Cass. 11 settembre 2007, n. 19025; Cass. 9 settembre 2008, n. 22890; Cass. 12 settembre 2008, n. 23567; Cass. 22 ottobre 2008, n. 25578; Cass. 23 luglio 2010, n. 17367; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4757; Cass. 6 giugno 2011, n. 12195).

Nelle suddette sentenze è stato, in particolare, precisato che:

a) in base al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 27, comma 1, (nel quale è confluito il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 27 bis aggiunto dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 17) si è stabilito che gli enti pubblici non economici nazionali e quindi l’INPS – dovessero adeguare i propri ordinamenti a quelli previsti nella nuova normativa sul lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, adottando appositi regolamenti di organizzazione;

b) l’INPS ha adempiuto a tale dovere con la ricordata Delib. 28 luglio 1998, n. 799 di approvazione del prescritto Regolamento organizzativo;

c) nell’art. 16 di tale delibera sono state ridisegnate le funzioni dirigenziali, senza prevedere alcun differimento della relativa efficacia sino alla integrale realizzazione del nuovo modello organizzativo, diversamente da quanto stabilito per altre disposizioni di carattere organizzativo;

d) dal rilievo secondo cui il differimento costituiva una conseguenza logicamente necessaria, non potendo le nuove mansioni dirigenziali essere esercitate senza quel modello, non può trarsi l’ulteriore conseguenza che le mansioni esercitate secondo il modello precedente mantenessero il loro carattere dirigenziale;

e) infatti, una simile conclusione da un lato non considera che una siffatta classificazione in definitiva comporterebbe la reviviscenza di regole sulla dirigenza pubblica del tutto incompatibili con le norme recate dal D.Lgs. n. 80 del 1998 (poi consolidate con il D.Lgs. n. 165 del 2001) e, dall’altro lato, non tiene conto dei profili valutativi (e peraltro indirettamente regolativi) delle norme di cui alla citata delibera;

f) le suddette fonti normative, nonchè il contratto collettivo nazionale di lavoro di settore 1998/2001 – sottoscritto nel febbraio 1999 ma riguardante, per volontà delle parti (art. 2, comma 1, del C.C.N.L. stesso), il periodo dal 1 gennaio 1998 portano a concludere che le medesime mansioni che nel precedente regime pubblicistico venivano considerate dirigenziali possono essere diversamente qualificate nel regime privatistico del pubblico impiego, in considerazione del diverso contenuto e rilievo che ad esse è stato attribuito in tale ultimo regime;

g) conseguentemente, la doglianza del ricorrente, fondata sul rilievo secondo cui la funzione di direzione dell’ufficio "Contabilità" (poi denominato "Contabilità e finanza") della sede INPS di Pesaro avrebbe sempre avuto natura e carattere dirigenziale, non è conducente, poichè, in base al ricordato D.Lgs. n. 80 del 1998, è dirigenziale solo la funzione che risponde al modello ivi disegnato, cosicchè, qualora l’ente pubblico interessato si adegui alle nuove regole, pur mantenendo transitoriamente un assetto non corrispondente al nuovo modello, la valutazione delle funzioni che si esercitano in tale organizzazione, per stabilire se esse siano o no dirigenziali, dovrà essere riferita alle nuove regole e non a quelle precedenti;

h) tali nuove regole portano ad inquadrare le mansioni di cui si discute nell’ambito di quelle proprie del funzionario apicale, restando irrilevante l’eventuale precedente qualificazione come funzioni dirigenziali;

i) nel suindicato ambito è collocabile anche il personale del ruolo esaurimento (espressamente preso in considerazione dall’art. 13, comma 1, del citato c.c.n.l. 1998/2001) e, nel nostro caso, gli ispettori generali del ruolo ad esaurimento, di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 15 richiamato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 3, in cui è confluito, fra l’altro, il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25 (sul punto vedi anche: Cons. Stato, sez. 6^, sentenze n. 1887 e n. 1888 del 2005).

Tali argomentazioni di carattere assorbente e in relazione alle quali, stante la loro persuasività, non si ravvisano elementi tali da condurre al mutamento del ricordato consolidato orientamento di questa Corte, sono state sostanzialmente seguite dalla sentenza impugnata, dal che discende l’infondatezza dei motivi in esame.

3 – Conclusioni.

7. – Il ricorso va quindi rigettato, per le suesposte ragioni. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011

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