Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-04-2011) 21-07-2011, n. 29220

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 8.4.2010, la corte di appello di Torino ha confermato la sentenza 9.7.08 del tribunale della stessa sede con la quale A. A. è stato condannato, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, alla pena di due anni di reclusione, al risarcimento dei danni liquidati in Euro 4.000, alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perchè ritenuto colpevole dei reati, uniti dal vincolo della continuazione, di sequestro di persona, percosse, di violenza privata, molestia continuata, in danno di P.D. e di V.S., resistenza nei confronti di carabinieri della tenenza di Settimo Torinese e lesioni in danno di uno di loro, maresciallo S. G..

L’imputato ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 605 c.p.: i giudici di merito hanno fondato l’affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, dalle quali emerge invece come la donna abbia volutamente e scientemente omesso di lasciare la stanza di albergo, la cui porta era stata chiusa a chiave dal ricorrente, all’atto dì allontanarsi per vedere i fuochi artificiali, esplosi nelle vicinanze. Infatti, nel considerevole arco di tempo, l’asserita vittima avrebbe potuto, con l’ausilio del telefono interno e/o del proprio cellulare, chiedere aiuto al portiere o ad altri per aprire la porta e riacquistare la libertà;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai reati ex artt. 610 e 660 c.p.. Quanto al primo reato, l’ A. è accusato di aver strappato dalle mani della donna le chiavi della sua auto, impedendone l’uso per recarsi in ufficio, costringendola a chiedere l’intervento di un’amica, salvo poi restituirle poco più avanti.

Nella sentenza manca la descrizione di determinate azioni di violenza e minaccia rivolte al soggetto passivo. Quanto ai reati di molestia in danno delle due donne non sono ugualmente specificati i fondamenti fattuali e giuridici che hanno determinato la conferma della sentenza di primo grado. La corte non ha tenuto conto che i messaggi telefonici non erano inviati con la coscienza e volontà di recare disturbo, ma costituivano un salvifico tentativo di metabolizzare la fine (non voluta) della relazione sentimentale, con la consapevolezza che la persona a cui erano indirizzati non li avrebbe ricevuti:

3. vizio di motivazione i giudici di merito non hanno tenuto conto delle censure formulate nei confronti della credibilità della P., che nel corso dei litigi e discussioni avvenuti durante il rapporto, si è avventata contro il ricorrente, cagionando delle ferite. La costituzione di parte civile manifesta poi un interesse personale economico per un determinato esito del processo. Inoltre non vi sono certificati medici che diano conferma alle dichiarazioni sulle percosse.

4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai reati di resistenza e lesioni in danno dei carabinieri: le dichiarazioni del maresciallo S. descrivono un atteggiamento dell’imputato depresso e in preda allo sconforto, volto a comportamenti autolesionisti. Attesa la evidente, intrinseca incapacità dell’agente nel momento dei fatti, è evidente che questi non deve risponderne per incapacità, come dimostrato dal disposto trattamento sanitario obbligatorio. Ove non si ritenga la sussistenza di questo stato di incapacità, la decisione di sottoporlo al TSO avrebbe costituito un sopruso, sicchè la resistenza dovrebbe considerarsi legittima.

5. violazione di legge in riferimento all’art. 133 c.p.: nel quantificare la pena, i giudici di merito avrebbero dovuto tener conto, nella valutazione dell’intensità del dolore del grado della colpa, in favore del ricorrente, del rapporto rissoso e fisicamente dialettico, nell’ambito del quale si sono svolti i fatti.

Il ricorso non merita accoglimento, in quanto le censure formulate sul piano della ricostruzione dei fatti hanno ad oggetto valutazioni fattuali dei giudici di merito, le cui decisioni sono caratterizzate da un concorde apparato logico argomentativo, che le rende un unicum indissolubile, sul piano storico e giuridico, che non può essere censurato con argomentazioni non collocabili nel perimetro del sindacato riconosciuto dal legislatore a questa corte.

La credibilità dei testi di accusa è stata esaminata dai giudici di merito, in maniera esaustiva, con particolare riguardo all’affidabilità della persona offesa, che ha rievocato i fatti in maniera precisa e obiettiva, mostrando di non essere animata da intenti vendicativi. La sua narrazione è stata positivamente inquadrata nella conferma, proveniente da riscontri testimoniali di conoscenti e anche da persone non legate da alcun rapporto. Quanto al disconoscimento di credibilità della persona offesa che si sia costituita parte civile, esso non solo si basa su un’inaccettabile presunzione di non veridicità della sua dichiarazioni, ma si traduce in un’ insostenibile censura di slealtà e scorrettezza nei confronti di un cittadino che abbia esercitato i propri diritti, secondo gli strumenti previsti dall’ordinamento.

Quanto al reato di sequestro di persona, è emerso dalla ricostruzione dei fatti, correttamente ed esaustivamente compiuta dai giudici di merito, la sussistenza dell’elemento materiale del delitto medesimo, consistito nella limitazione della libertà fisica e morale della donna, nonchè della sua libertà di scelta del luogo in cui restare, realizzata con percosse reiterate, immobilizzandola sul letto e chiudendo la porta della stanza di albergo, al momento di allontanarsi. Questa limitazione si è protratta per un tempo pacificamente rilevante sul piano giuridico, durante il quale alla donna è stato impossibile – sia pure non in modo assoluto – di recuperare le proprie libertà. Secondo un condivisibile orientamento interpretativo, pur senza la presenza costrittiva dell’imputato, alla donna è stato imposto un vincolo alla sua libertà, con la possibilità di eliminarlo, solo a un prezzo (esporsi al pericolo di acuire la brutalità dei comportamenti dell’uomo; dare pubblicità a un evento mortificante per la propria dignità) razionalmente ritenuto dissuasivo e non tollerabile. Quanto al reato di violenza privata, è stato correttamente sottolineato che l’imputato ha sottratto con forza la chiavi dell’auto della donna, rifiutando di restituirle e minacciandola verbalmente. Ha così manifestato e realizzato la volontà di impedire alla P. di utilizzare il proprio autoveicolo e di costringerla a procurarsi un altro mezzo di locomozione.

La condotta persecutoria dell’ A. in danno della donna (sua indesiderata presenza all’ingresso di casa e nei pressi del posto di lavoro, pedinamenti, circa 700 SMS nel corso di quattro mesi, contatti diretti e telefonici, anche molesti, con familiari e amici, con particolare riguardo a V.S.) è compiutamente descritta dai giudici di merito, che, con precisi riferimenti fattuali, ne hanno messo in evidenza l’efficacia lesiva della sfera di libertà e di serenità delle vittime e l’illecita intromissione nella vita priva e nella vita di relazione delle vittime. Le giustificazioni addotte dall’imputato, di per sè del tutto ipotetiche, si basano su argomenti del tutto privi di agganci specificamente dimostrativi della loro sussistenza.

Quanto alle condotte poste in essere nei confronti dei tutori dell’ordine, va rilevato, da un lato, che la loro illegittima aggressività e violenza ha un’indiscutibile traccia nelle lesioni certificate in danno del maresciallo S.; dall’altro, che è da escludere – come ha correttamente argomentato il primo giudice – l’equivalenza della sottoposizione a TSO e dell’incapacità psichica;

il primo era giustificato dalla sua non collaborazione a cure per lui indispensabili per far fronte a un atteggiamento pericoloso per sè e per gli altri.

La motivazione sul trattamento sanzionatorio, infine, è stata ampia, articolata ed esaustiva, in quanto i giudici di merito hanno rilevato la gravità dei fatti in base alla elevata dimensione dei danni cagionati alla persona offesa, determinati dal crescente numero e dalla costante intensità delle condotte illecite. Hanno inoltre sottolineato la spiccata capacità a delinquere dell’ A., desunta dai precedenti numerosi e anche specifici, per commettere i quali ha anche violato la misura cautelare. Razionalmente, nessun pregio è stato riconosciuto all’intento dell’imputato di ricostituire un rapporto affettivo, perchè è stato manifestato con mezzi irrispettosi della libertà e della dignità della donna interessata.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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