Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-04-2011) 21-07-2011, n. 29218 Falsità ideologica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza, la corte di appello di Catania ha confermato la sentenza 18.10.06 della sezione di Mascalcia del tribunale di Catania, con la quale V.V. è stato condannato alla pena di 4 mesi di reclusione perchè ritenuto colpevole del reato ex art. 483 c.p., per aver attestato falsamente, con dichiarazione sostitutiva di cui al D.P.R. n. 445 del 2000, presentata alla Asl (OMISSIS) di Catania, di non aver riportato alcuna condanna penale.

Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento agli artt. 483 e 496 c.p.: la norma richiamata nel capo di imputazione disciplina e stigmatizza la falsa attestazione al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, di fatti del quale l’atto è destinato a provare la verità, ma nella categoria dei "fatti" non è compresa la dichiarazione relativa alla sussistenza o meno di qualità personali, quali le pregresse censure giudiziarie. Secondo il ricorrente, la fattispecie va inquadrata nell’ipotesi criminosa ex art. 495 c.p., in quanto la dichiarazione è stata compiuta nell’ambito di un procedimento amministrativo, al fine di ottenere un’autorizzazione amministrativa all’esecuzione di operazioni relative all’impiego di gas tossici.

2. violazione di legge, in riferimento alla L. n. 689 del 1981, art. 59: la richiesta di conversione della pena detentiva è stata rigettata con motivazione carente ed erronea. Il giudice, in caso di richiesta di sostituzione della pena detentiva con corrispondente pena pecuniaria, è tenuto, ove sia rigettata, a fornire adeguata motivazione circa la ritenuta inidoneità della sostituzione al fine di reinserimento sociale e il semplice rinvio ai "plurimi precedenti", senza alcuna analisi di dettaglio su natura, tempistica e causali delle pregresse censure non appare sufficiente a tale scopo. La disamina dei precedenti penali del ricorrente non conduce a delineare una situazione soggettiva incompatibile, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 59, con la richiesta sostituzione I motivi del ricorso sono manifestamente infondati.

Quanto alla censura sulla qualificazione giuridica del fatto, il ricorrente elude completamente l’esame e la critica del consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale (sez. 5 n. 25469 del 16.4.09, rv 243897), citato nell’impugnata sentenza, secondo cui integra il delitto ex art. 483 c.p. la condotta di colui che, in sede di dichiarazioni sostitutiva di un atto notorio, attesti falsamente di non aver subito condanne penali, in quanto la dichiarazione del privato viene equiparata ad un atto pubblico, destinato a provare la verità dello specifico contenuto della dichiarazione, ivi compresa l’inesistenza di condanne, con la conseguenza che la falsa attestazione ha un decisivo rilievo, mettendo in pericolo il valore probatorio dell’atto (conf. sez. 5, n. 39317 del 18.9.07, riv 238184, in caso di attestazione false sui precedenti penali ai fini di iscrizione in pubblico registro).. Quanto al secondo motivo, si rileva che la corte territoriale confermando la sentenza di primo grado – a fronte di una richiesta del tutto generica e immotivata – richiama i numerosi precedenti penali dimostrativi di una spiccata capacità a delinquere, già evidenziata dal primo giudice e non contestata dal ricorrente. Sulla base di questo specifico presupposto (costituito da condanne "di indiscutibile pregnanza criminale, quale il furto, il danneggiamento e addirittura la rapina"), la corte ha implicitamente, ma inequivocabilmente formulato, nell’ambito del potere discrezionale L. n. 689 del 1981, ex art. 58, un negativo giudizio prognostico, nel rispetto, inoltre, dei criteri direttivi dettati, in via generale, dall’art. 133 c.p..

Pertanto nessuna censura è ipotizzabile nei confronti della adeguatezza della motivazione del rigetto della sostituzione della pena detentiva.

La manifesta infondatezza dei motivi del ricorso comporta la declaratoria di inammissibilità del gravame. Va rilevato che, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello, è maturato il termine di prescrizione che non porta però alla declaratoria di estinzione del reato. Secondo un condivisibile orientamento interpretativo, la inammissibilità, conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente l’instaurazione, in sede di legittimità, di un valido rapporto di impugnazione e impedisce di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione (S.U. n. 23428 del 22.3.2005; sez. 2, 21.4.2006, n. 19578).

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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