Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-04-2011) 21-07-2011, n. 29216 Reato continuato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 8.2.10, la corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza 11.3.06 del tribunale di Lecco, ha concesso a B.R.A. la non menzione della condanna; ha confermato l’affermazione di responsabilità, in concorso, del predetto e del fratello B.W., in ordine ai reati, uniti dal vincolo della continuazione, di sequestro di persona e di minaccia, in danno di R.K. e G.D., all’epoca minorenni, e ha confermato la condanna, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di sei mesi e 15 giorni di reclusione.

Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 605 c.p. e art. 192 c.p.p., vizio di motivazione: le prove assunte non consentono di ritenere sussistente quella situazione di persistente annullamento della volontà di autodeterminazione, caratterizzante il sequestro di persona. La ricostruzione fattuale non ha chiarito se vi sia stata una condotta violenta, chi degli imputati l’abbia posta materialmente in essere e chi sia stato il soggetto passivo di tale comportamento illecito. Le persone offese hanno dichiarato di non aver subito alcuna violenza, se non l’invito un po’ energico di uno dei due uomini, nè proposte di alcun genere se non la richiesta di ausilio al rintraccio del giovane autore del furto in danno di entrambi, gestori della giostre di Imbersago. Inoltre risulta che B. W., appena gli fu chiesto, riaccompagnò i ragazzi presso le giostre, dove erano i loro genitori. Quindi manca l’impedimento all’affrancamento che per la giurisprudenza di legittimità, costituisce un elemento costitutivo del reato di sequestro di persona. Vi è quindi da ritenere che in generale, i giudici di merito hanno violato i canoni di valutazione della prova, imposti dall’art. 192 c.p.p..

2. violazione di legge in riferimento all’art. 110 c.p. e art. 192 c.p.p.: i giudici di merito hanno omesso di rapportare la condotta tenuta da B.R. a quel contributo morale e/o materiale, necessario per l’applicazione del principio di equivalenza fissato dall’art. 110 c.p.. La persona offesa R. non ricorda di essere stato costretto a salire nell’auto, di essere stato tirato per un braccio, nè chi guidasse il veicolo; G. non sa indicare chi l’abbia strattonato per un braccio. In ogni caso, posto che la privazione della libertà deve protrarsi per un lasso di tempo apprezzabile, deve escludersi la punibilità di B.R. che non è nemmeno salito in auto.

3. vizio di motivazione sulla determinazione del trattamento sanzionatorio: la corte di appello ha completamene omesso di motivare in ordine alle ragioni che l’hanno determinata a confermare l’entità della pena, essendosi limitata a richiamare la gravità del fatto. Ha confermato così il vizio di motivazione del primo giudice.

Il ricorso è manifestamente infondato in quanto le censure formulate dai ricorrenti hanno ad oggetto valutazioni fattuali dei giudici di merito, le cui decisioni sono caratterizzate da un concorde apparato logico argomentativo, che le rende un unicum indissolubile, sul piano storico e giuridico, che non può essere censurato con argomentazioni non collocabili nel perimetro del sindacato riconosciuto dal legislatore a questa corte.

Con esse i ricorrenti pretendono la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione. Questa pretesa è tanto più inammissibile nel caso in esame, in cui la struttura razionale della motivazione è saldamente ancorata alle risultanze processuali, costituite dalle testimonianze delle persone offese e di altre persone presenti ai fatti. La credibilità dei testi è stata specificamente esaminata e giudicata positivamente dal giudice di primo grado e confermata dalla corte di merito.

Dalla ricostruzione dei fatti, svolta dai giudici di merito, è emerso che questa decisa e forte richiesta di collaborazione, da parte dei fratelli B., nelle indagini da loro stessi svolte, trova origine non solo nel furto subito, ma anche dall’iniziale mancanza di un intervento delle forze dell’ordine, in quanto, secondo la narrazione dalla sorella, B.L., l’arrivo dei Carabinieri avvenne "solo dopo un paio d’ore dalla denuncia del furto". Di qui la decisione di provvedere direttamente allo svolgimento delle anomale indagini, descritte dai giudici di merito ò Dopo una prima richiesta, rivolta alle persone offese, di informazioni sull’identità dell’autore del furto, accompagnata dalla minaccia di spaccar loro la spina dorsale, in caso di mancata collaborazione, i B. hanno continuato la loro indagine, rivolgendosi ad altri giovani e afferrandone uno, che accompagnavano presso la propria autovettura Mercedes. La fuga di questo minorenne, induceva entrambi gli imputati a tornare presso R. e G., minacciandoli e prendendoli per un braccio e spingendoli dentro l’auto, guidata dal solo B.W., che ha guidato il veicolo per le strade dei paesi vicini e dopo 15/20 minuti, nel corso dei quali ha ripetuto minacce nei confronti di entrambi i giovani, decideva di riaccompagnarli alle giostre, piangenti e spaventati.

Al di là di un’articolata descrizione, da parte delle vittime, di specifiche azioni dei fratelli B., i giudici, hanno messo in evidenza, come dalle testimonianze di tutti i presenti emerga che all’origine dell’ingresso dei giovani nell’auto vi sia stata una parità di comportamenti intimidatori e costrittivi (la minaccia di rompere la schiena, l’impedimento di allontanarsi bloccandone un braccio) parimenti proiettati verso l’obiettivo di imporre la loro collaborazione nell’indagine privata, diretta alla scoperta dell’autore del furto. L’efficacia di quest’opera intimidatrice e costrittiva si è protratta durante l’inefficace ricerca e la sua intensità e la sua durata (15/20 minuti) è stata oggettivamente e inequivocabilmente descritta dallo stato psicologico percepito dai presenti, al momento del riacquisto della libertà (entrambi erano piangenti ed impauriti). E’ emerso dalla ricostruzione dei fatti, correttamente ed esaustivamente compiuta dai giudici di merito, la sussistenza, per entrambi gli imputati, dell’elemento materiale del sequestro di persona, consistito nella limitazione della libertà fisica e morale dei giovani, nonchè della loro libertà di scelta dei propri movimenti, protrattasi per un tempo pacificamente rilevante sul piano giuridico, durante il quale è stato loro impossibile – sia pure non in modo assoluto – di recuperare queste libertà. Sulla pena, la prima sentenza ha giustificato, in maniera adeguata la sua entità, in relazione alle modalità dell’azione e alla gravità del danno cagionate alle persone offese, richiamando, "la circostanza che i due uomini hanno agito nei confronti di due minorenni", senza alcuna giustificazione, essendo entrambi estranei, sotto tutti i punti di vista, rispetto all’illecito subito dagli imputati, nonchè la suindicata fase finale della ricostruzione dei fatti, descritta dai testi oculari, secondo cui i due giovani erano "piangenti ed impauriti".

I motivi sono quindi manifestamente privi di reale e rilevante spessore critico e i ricorsi vanno quindi dichiarati inammissibili con condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro .1000 in favore della Cassa delle Ammende. Oscuramento dei dati identificativi delle persone offese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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